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Panorama-Facciamo l'esame alla scuola.

In Francia più di 3 mila ispettori misurano i "tassi di riuscita" degli studenti. In Gran Bretagna gli istituti vengono giudicati ogni sei anni. E adesso anche il nostro Paese darà i voti alle strut...

01/02/2003
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Panorama

In Francia più di 3 mila ispettori misurano i "tassi di riuscita" degli studenti. In Gran Bretagna gli istituti vengono giudicati ogni sei anni. E adesso anche il nostro Paese darà i voti alle strutture di insegnamento, dalle elementari alle superiori.

Facciamo l'esame alla scuola.

Seimila scuole italiane stanno affrontando un esame decisivo: la valutazione della loro attività. Saranno innanzitutto gli studenti, attraverso questionari distribuiti a febbraio, a fornire le risposte a quelle domande che spesso ossessionano le famiglie: che cosa hanno imparato, quali problemi hanno nell'apprendimento di singole materie, se sono soddisfatti di ciò che ricevono durante le ore di lezione. In una parola: come funziona la scuola.
I risultati completi del test saranno pronti entro il prossimo mese di maggio, in tempo per consentire agli istituti di intervenire con eventuali correzioni organizzative prima dell'inizio del nuovo anno scolastico.
L'operazione "scuola sotto esame" ha il potenziale di una vera svolta nel sistema della pubblica istruzione per tre motivi. In primo luogo le 6 mila scuole (elementari, medie e superiori) che, in piena autonomia, hanno scelto di sottoporsi all'indagine rappresentano più della metà dei 10.800 istituti italiani. Sono tante e dimostrano una diffusa disponibilità ad accettare una scomoda verifica. Ciò consentirà di chiudere con l'estate una fase sperimentale e di trasformare delle "prove tecniche" in un servizio stabile di rilevazione (questo è il secondo punto fondamentale) che è stato affidato all'Invalsi, l'istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione.
La terza novità riguarda il confronto internazionale: la valutazione delle scuole in tutti i paesi europei esiste già da almeno 15 anni e l'Italia si porta dietro un'anomalia che, nel campo della formazione, ci allontana dagli standard di qualità dell'Unione.
Per avere un'idea della distanza che ci separa dal resto dell'Ue, è sufficiente dare uno sguardo ai due sistemi più significativi, e diversi per il metodo e per gli obiettivi, applicati nelle scuole francesi e inglesi.
La Francia ha un servizio ispettivo capillare nel quale lavorano 3.400 addetti e ogni anno viene pubblicato un rapporto sulla scuola (L'Etat de l'école) con i valori di 30 indicatori sulla qualità dell'insegnamento. Per ogni istituto si misurano i "tassi di riuscita" degli alunni, la regolarità dei percorsi scolastici e il funzionamento della scuola rispetto alle prestazioni attese. Nelle indagini rientrano anche i test per valutare la collaborazione tra gli insegnanti, il clima pedagogico dell'istituto e i rapporti tra scuola e famiglia.
L'approdo di questo lavoro a tappeto è una classificazione delle scuole che diventa un parametro decisivo per la distribuzione dei fondi pubblici e per gli interventi, nazionali e locali, necessari a correggere i punti di debolezza di ciascun istituto. In pratica, chi funziona meglio ha più soldi dello stato; chi è indietro deve cambiare registro.
Lo schema anglosassone è più orientato all'obiettivo di fornire alle famiglie e all'opinione pubblica tutti gli elementi utili per le loro scelte scolastiche. L'ente statale Ofsted (Office for standards in education) organizza squadre di consulenti che comprendono anche dei rappresentanti delle famiglie, incaricate di valutare tutte le scuole, una per una, almeno ogni sei anni. Il team di ispettori per dieci giorni vive nell'istituto sotto esame; assiste alle lezioni in aula; intervista dirigenti, insegnanti, alunni e genitori; passa in rassegna le attrezzature, dalle palestre ai computer. Poi mette i voti alla scuola, su una scala che va da uno (eccellente) a sette (molto scarso): e le classifiche sono pubblicate sui giornali locali e inserite nella rete internet.
Si apre così una discutibile corsa alla scuola eccellente, nel segno delle spietate e spesso ingiuste leggi del mercato. Con effetti a catena che incidono non soltanto sulle rette scolastiche ma addirittura sui valori degli immobili: due case identiche, sui lati opposti di una strada, possono variare di prezzo fino a 50 mila euro se rientrano nella circoscrizione di una scuola con un punteggio eccellente piuttosto che di un'altra considerata meno buona.
In Francia e in Gran Bretagna la rete della valutazione si allunga anche nel campo minato del corpo docente, dove le resistenze sindacali sono fortissime. Per vincerle, i due governi hanno scelto strade diverse. Gli ispettori francesi esaminano l'attività di ogni insegnante attraverso i controlli in classe del lavoro didattico e i risultati ottenuti dagli alunni nelle rispettive materie: ma le relazioni finali, che concludono le verifiche, sono riservate e possono leggerle soltanto i professori interessati e i presidi della scuola.
In Gran Bretagna, invece, gli insegnanti con le migliori performance ricevono un bonus annuale di 2 mila sterline (equivalenti a oltre 3 mila euro). Altri incentivi finanziari poi vengono distribuiti dai direttori di istituto sotto forma di premi di produzione, sono messi a disposizione delle scuole che presentano una qualità dell'insegnamento con valori superiori alla media nazionale.
E in Italia? Il test in corso non prevede alcuna verifica del lavoro dei docenti e sarà molto difficile introdurre questo giudizio anche dopo la fase sperimentale: il muro alzato da tutti i sindacati, confederali e autonomi, appare per ora invalicabile.
D'altra parte il ministero dell'Istruzione ha scelto la linea della gradualità per inaugurare un servizio di valutazione del sistema scolastico che, sulla carta, era stato previsto con una legge nazionale già nel 1997 e confermato da un articolo (numero 38) del contratto nazionale di lavoro dei docenti del 1999, ma nessun governo è mai riuscito ad attuare.
La gradualità significa anche evitare lo scontro frontale con gli oltre 800 mila insegnanti italiani e convincerli che un'attendibile verifica della qualità dell'insegnamento può aiutarli a migliorare il loro lavoro e persino il loro magro stipendio.
Oppure significa introdurre il codice deontologico per i docenti, le cui linee guida sono state appena approvate da un gruppo di lavoro ministeriale guidato dal cardinale Ersilio Tonini e dall'avvocato generale dello Stato, Plinio Sacchetto. Nel documento si definisce l'insegnante di scuola non più un semplice dipendente della pubblica amministrazione ma una "figura professionale". Una definizione che comporta "nuove possibilità di carriera e nuovi incentivi" e, innanzitutto, la possibilità di "misurare i meriti, le responsabilità e i risultati del lavoro svolto".
Gli esami dei professori sono ancora lontani, magari non arriveranno mai. Accontentiamoci per il momento di sapere che la scuola italiana sta facendo un passo avanti verso l'Europa.

SOTTO LA LENTE CI SONO ANCHE LE FACOLTÀ
Entro l'estate la società Treelle promette un monitoraggio dettagliato.

La prossima tappa è un monitoraggio dell'università italiana, con un confronto europeo, che sarà pronto entro l'estate. L'associazione non profit Treelle ha come scopo "il miglioramento della qualità dell'education". Innanzitutto attraverso ricerche e pubblicazioni. "Rappresentiamo" dice il presidente esecutivo Attilio Oliva "un ponte per avvicinare, nel nostro Paese, l'opinione pubblica e la ricerca a quanti hanno responsabilità nel sistema educativo".
La Treelle ha un gruppo di soci fondatori che vanno da Fedele Confalonieri a Giancarlo Lombardi, e con un forum di esperti come Tullio De Mauro e Angelo Panebianco. Il bilancio annuo è di circa 750 mila euro versati da un pool di fondazioni bancarie: la Compagnia San Paolo, la Cassa di risparmio di Genova e Imperia, la Carisbo, il Monte dei Paschi di Siena e la Pietro Manodori.

I NUMERI DA MIGLIORARE
Un quarto della popolazione adulta (16-65 anni) italiana ha abbandonato la scuola con la licenza elementare.
Il 5 per cento della popolazione adulta è da considerarsi "analfabeta funzionale", un terzo della popolazione italiana è "ad alto rischio alfabetico" e solo un terzo padroneggia il linguaggio scritto.
In Italia ci sono 11 studenti per ogni insegnante, la media U e è di 16.
Il 45 per cento dei nostri docenti ha più di 50 anni contro una media europea del 30 per cento.
Gli iscritti a scuola fra i 15 e i 19 anni sono il 71 per cento, nell'Unione Europea l'81.
In Italia ogni studente che rimane fra i banchi fino a 15 anni costa complessivamente circa 61 mila euro. La media Ocse è di 43.500.