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Quel raffreddore che la sinistra non si cura-di Umberto Eco

05.04.2003 Quel raffreddore che la sinistra non si cura di Umberto Eco Tanti anni fa, quando sono stato invitato a dire la mia opinione come compagno di strada di un partito politico (non eran...

06/04/2003
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05.04.2003
Quel raffreddore che la sinistra non si cura
di Umberto Eco

Tanti anni fa, quando sono stato invitato a dire la mia opinione come compagno di strada di un partito politico (non erano i Ds, di là da venire, e non era neppure il vecchio Pci, dove vigeva ancora il mito dell'intellettuale organico, era il piccolo Psiup le cui varie anime confuse permettevano una certa libertà di posizioni) ho esordito dicendo che il primo dovere di un intellettuale, in tali occasioni, non è di parlare contro i nemici del gruppo col quale in qualche modo simpatizza, ma contro i propri amici. Per parlare a favore basta l'ufficio stampa. E così permettetemi di fare oggi.

Ho letto il Progetto per l'Italia presentato dai Ds. Lo sottoscrivo, altrimenti non sarei qui, ma il mio primo istinto, visto che proprio l'altro ieri l'opposizione è riuscita a frantumarsi su tre mozioni diverse su un problema così chiaro e limpido come l'opposizione alla guerra in Iraq, era di non venire affatto.

All'insegna dell'aureo detto "gli dei accecano color che vogliono perdere".
Vengo dunque con pessime e polemiche intenzioni a ricordarvi - nel caso lo abbiate dimenticato - quale sia la malattia endemica di ogni sinistra, per lo meno dalla rivoluzione francese a oggi. La malattia, ineliminabile, è che non ci può essere raggruppamento che si voglia di sinistra, riformista o rivoluzionario che sia, progressista in ogni caso, che non soffra della sindrome dello scavalcamento successivo a sinistra, a staffetta.

Questo per molte e ovvie ragioni. Un partito conservatore non deve immaginare molte soluzioni nuove, e tende a mantenere lo status quo, a soddisfare le classi abbienti confermandole nei loro privilegi ed erigendo barriere affinché questi privilegi non siano minacciati. Fate la radiografia del governo Berlusconi e vedrete che non fa altro - con la piccola anomalia che cerca in particolare di salvaguardare non tanto quelli dei propri elettori quanto quelli del proprio leader.

Un partito che in qualche modo si voglia progressista tende invece a qualcosa che definisce "il meglio", il meglio al di là da venire. Ma come sapete al meglio non c'è mai fine (come al peggio), ed è umano, di fronte a una proposta A immaginare una proposta B che garantisca qualcosa di migliore - o se volete di "più meglio".

Inoltre un partito conservatore sa di appoggiarsi alle esigenze chiare e definite dei ceti privilegiati e sa che essi possono essere soddisfatti a piccoli passi, privilegio dopo privilegio, senza che nessuno degli elettori pretenda subito, che so, l'abolizione delle tasse, la legittimazione della corruzione di pubblici funzionari a fini d'interesse privato o altro - e nella misura in cui compie alcuni piccoli passi, poco per volta, mantiene il suo consenso.

Invece un movimento progressista trova consenso nei ceti insoddisfatti e, per quanto si possa fare per soddisfare certe esigenze sociali, ci saranno gruppi che non si sentono abbastanza soddisfatti. Voglio dire, in parole comprensibili anche all'uomo della strada, che per un partito conservatore diminuire le tasse del 5% è già materia di pieno consenso, mentre per un movimento progressista aumentare le pensioni del 5% lascia sempre un ampio margine di insoddisfazione. È fatale.

Pertanto ogni movimento progressista è spinto a cercare consenso in quelle frange che non sono ancora soddisfatte da qualsiasi operazione di riforma. Di qui la necessità quasi biologica dello scavalcamento a sinistra. Chiedere di più produce consenso. Ma al consenso totale e incondizionato poteva aspirare solo quel comico televisivo che si chiamava Catalano: "È meglio essere tutti ricchi, belli e sani che poveri, vecchi e brutti e malati".

Tuttavia questo gioco dello scavalcamento ha storicamente dei termini. Lo scavalcamento obbliga alla scomunica continua dell'avversario, il gusto della scomunica prevale su quello dello scavalcamento e talora, per poter scomunicare ancora, si scavalca l'avversario a destra. Magari senza accorgersene. Ed ecco che la sindrome dello scavalcamento produce nella lunga durata, e lo si è visto dalla rivoluzione francese alla rivoluzione russa, il fenomeno per cui la sinistra genera dal proprio interno il restauratore autoritario dell'ordine, da Napoleone a Stalin che manda a uccidere chi lo voleva scavalcare come Trotzky.

Oppure l'anarchia dello scavalcamento e delle scomuniche produce la reazione esterna, il colpo di stato (pensate alla repubblica spagnola o al Cile di Allende) che mette a tacere la sinistra per decenni e anche più. D'altra parte in Cina, con la figura enigmatica di Mao che ha svolto il doppio ruolo di scavalcatore rivoluzionario del regime che egli stesso aveva instaurato, e di restauratore autoritario, non è accaduto diversamente.

Se vi è parso che i miei esempi fossero troppo colti e troppo lontani dalle vostre memorie, non dimenticatevi che l'Ulivo era andato al potere e il potere non l'ha perso per la forza dell'opposizione di destra ma per la perversa tendenza al dissidio della sua opposizione interna.

Non venitemi a raccontare che l'Ulivo di Prodi è stato sconfitto da Berlusconi. È stato sconfitto da noi.

Questa malattia è endemica e non dobbiamo stupircene. Salvo che, come per tutte le malattie endemiche bisogna trovarvi dei rimedi provvisori.

Il raffreddore è endemico, non lo sconfiggeremo mai, ma non vogliamo subirlo, né per sfida esporci a prenderlo ogni mese - e allora ricorriamo a vaccini provvisori, portiamo il cappello se siamo diventati calvi, cerchiamo di non programmare viaggi aerei in dicembre e gennaio perchè se siamo raffreddati nell'atterraggio ci scoppiano i timpani, prendiamo qualche pasticca, e così via.

Pare che la sinistra italiana non abbia ancora imparato a prendere le pasticche e per sconfiggere il suo raffreddore, e si esponga ogni giorno all'inclemenza degli elementi - in un cupio dissolvi che talora, amici cari, ci fa cadere le braccia.

Certamente il primo dovere di un movimento di opposizione è opporsi alla parte avversa, e non cedere mai in quest'opera di vigilanza.

Questo è talmente ovvio che non vale ripeterlo, né potrei rimproverare ai partiti di opposizione alcun cedimento che gridi vendetta al cospetto di Dio. Ma l'altro suo dovere è dominare la sindrome dello scavalcamento e la tentazione della corsa alla frattura interna. Se un movimento di opposizione non saprà esorcizzare i suoi fantasmi ereditari sarà destinato sempre alla sconfitta.

Su cosa allora l'opposizione italiana può ritrovarsi? Sull'accordo in tante piccole battaglie propositive che possano elettrizzare un elettorato possibile, non necessariamente e soltanto l'elettorato della sinistra. Dire no all'arroganza del potere, specie nell'Italia di Berlusconi, rimane un sacro dovere, da perseguire giorno per giorno. Ma bisogna riuscire a proporre alla gente del sì sui quali si possano riconoscere.

Vi faccio un esempio molto piccolo, forse banale, del quale quasi mi vergogno, ma è per fare capire cosa intendo - e d'altra parte non potete pretendere da un animale poco parlamentare come me le soluzioni giuste. Al massimo posso fornire similitudini comprensibili anche a un bambino.

Ho letto recentemente, ma non sulla prima pagina, bensì nella cronaca cittadina, che a Milano è aumentato in modo preoccupante il prezzo del pane. Ora, non siamo più al tempo dell'assalto ai forni di manzoniana memoria, ma il prezzo del pane è un valore che ha anche portata simbolica, e tocca da vicino anche chi si sia messo a dieta. Protestare ogni giorno contro la rovinosa politica di Tremonti può lasciare indifferente larga parte dell'elettorato, che poco sa di grandi strategie economiche, mentre il prezzo del pane è qualcosa di comprensibile a tutti. Ma non basta far capire che il pane è aumentato - perché chi ha pochi soldi se ne è già accorto, e chi ne ha un poco di più riesce a sopravvivere lo stesso.

Il problema è di saper proporre una diversa politica del pane. Questa proposta la capirebbero tutti, anche coloro che non hanno votato Ulivo. Il problema è saper dire che si può fare in un certo modo, cifre alla mano, e se poi Berlusconi non lo farà se ne accorgerebbero anche coloro che hanno votato per lui.

Se si sapranno individuare proposte concrete, comprensibili, in positivo, anche se settoriali e parziali, apparentemente marginali, si potrebbe costituire una piattaforma sulla quale le diverse anime della sinistra potrebbero e dovrebbero consentire. E una volta trovata la prima piattaforma, chi sa che a poco a poco non ne emergano altre.
Cominciamo dunque a curare la malattia endemica della sinistra partendo dai piccoli problemi e non dai grandi, in positivo e non in negativo. Ma soprattutto, una volta chiariteci le idee, scegliamoci un capo, chiunque esso sia, con l'impegno morale e politico di non tagliargli le gambe sei mesi dopo.

Ho tra l'altro l'impressione che questo sia il primo compito di ogni governo, e dunque anche di un movimento che si vuole e si spera ancora, in un domani che desideriamo prossimo, di governo.

Smettiamola di comportarci da bambini perché il tempo rimasto per crescere ormai è strettissimo.

Questo è il testo dell'intervento pronunciato da Umberto Eco alla Convenzione programmatica dei Democratici di sinistra