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Referendum 1 - di Giuseppe Casadio (da l'Unità)

Referendum/1 - Il sì è la nostra battaglia di Giuseppe Casadio Solo un astratto tatticismo politicista, cioè una sostanziale indifferenza al merito delle questioni davvero in gioco, può indurr...

03/05/2003
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Referendum/1 - Il sì è la nostra battaglia
di Giuseppe Casadio

Solo un astratto tatticismo politicista, cioè una sostanziale indifferenza al merito delle questioni davvero in gioco, può indurre a considerare reciprocamente utili e funzionali l'uno all'altra il sostegno al referendum che si svolgerà il 15 giugno prossimo e la strategia di riforma legislativa lanciata dalla Cgil per estendere diritti e tutele all'intero universo del lavoro.
Non faccio processi alle intenzioni di coloro che promossero l'iniziativa referendaria né mi sfugge il valore simbolico di cui si carica l'appuntamento con le urne (in verità enfatizzato dalla dilagante approssimazione che caratterizza molta parte del dibattito in merito); intendo dire che ciò non basta, non dovrebbe bastare, a determinare le scelte di una grande organizzazione come la Cgil, la cui responsabilità verso le lavoratrici e i lavoratori in carne ed ossa e la loro condizione materiale andrà esercitata anche dal 16 giugno in poi.
Ragioni di merito e ragioni di opportunità dettano questa preoccupata considerazione; ad alcune di esse in particolare vorrei richiamare maggiore attenzione, anche se costano qualche sforzo di conoscenza e di comprensione. Ma è proprio in questo che si risolve l'esercizio della funzione dirigente!
È del tutto giusto perseguire un avanzamento dell'attuale normativa affinchè, verificata in giudizio la insussistenza di giusta causa di licenziamento, il giudice sentenzi il ripristino del diritto leso, cioè la reintegra del lavoratore, quale che sia la dimensione d'impresa in cui avviene il contenzioso. In ciò c'è piena sintonia fra l'eventuale esito affermativo del referendum e le proposte di Legge avanzate dalla Cgil e depositate in Parlamento ad opera di molti parlamentari aderenti ai diversi gruppi politici dell'opposizione.
Ma è altrettanto opportuno che nella impresa minore, in virtù dei rapporti reali che si praticano in quella dimensione ristretta, si preveda la possibilità per il datore di lavoro di risarcire anche in altra forma il danno reale che arreca alla lavoratrice o al lavoratore, qualora consideri impraticabile il suo concreto reinserimento in quel micro-ambiente.
A condizione che si tratti di risarcimento del danno reale secondo logica di "equivalenza", valutata e quantificata caso per caso dal giudice, non di un risibile indennizzo forfettario come è oggi..
Qualora non si prevedesse questa possibilità, e poiché nessuno può immaginare che la reintegra venga sempre e comunque garantita "manu militari", a rischiare sarebbe proprio la lavoratrice o il lavoratore ingiustamente licenziato, formalmente reintegrato nel proprio diritto, nei fatti posto in condizioni di vita e di lavoro insostenibili, forse indotto dai rapporti reali a contrattarsi in solitudine, senza alcuna tutela di seconda istanza , un qualche indennizzo e andarsene "spontaneamente".
Così ha ragionato e deciso, a larghissima maggioranza, il Direttivo della Cgil quando ha varato le proprie proposte di Legge; perché declamare un principio non basta ad affermare un diritto. Un diritto sarà effettivamente conquistato quando l'ordinamento si sarà dotato di specifiche norme di tutela e relative sanzioni atte a produrre effetti nei comportamenti reali degli attori sociali, non a scrivere uno slogan su una bandiera.
Dal punto di vista dell'opportunità considero non meno contraddittorio il ricorso allo strumento referendario.
Per estendere diritti fondamentali ad aree del mondo del lavoro più esposte alla precarietà la via maestra è quella di enunciare con chiarezza e realismo gli obiettivi, acquisire su di essi il consenso innanzitutto degli interessati e, progressivamente, di aree sempre più vaste di opinione pubblica. Così opera un Sindacato, non scommettendo sulla "roulette russa" di un Referendum; un sindacato che per conquistare tutele più efficaci per chi lavora alle dipendenze delle piccole imprese si affidi ad una conta definitiva e senza appello fra i SÌ e i NO, chiamando alle urne parimenti le lavoratrici e i lavoratori e i loro datori di lavoro, il commerciante e il suo commesso, è un sindacato tanto velleitario quanto rinunciatario.
Sia chiaro: non sono interessato a polemiche strumentali e so bene che anche la maggior parte dei compagni che in Cgil propongono oggi di impegnare l'organizzazione a sostegno del SÌ pensano che ciò equivalga a scegliere il male minore a fronte di una scadenza che non hanno voluto e della quale ancora oggi essi stessi dicono che si tratti di rilevante "errore politico" (da ultimo il mio amico Paolo Nerozzi dalle colonne di questo giornale). Ma dunque, cari compagni, perché assumere in prima persona come organizzazione la gestione di una iniziativa nata fuori di noi, che prospetta, quando anche avesse successo, soluzioni di merito che consideriamo, quanto meno, parziali e non efficaci a raggiungere gli obiettivi che vogliamo, che definiamo un "errore politico"?
È giusto fondare le scelte della Cgil su mere considerazioni tattiche di contesto ("non saremmo compresi") anche a costo di consumare un divorzio così totale dalle ragioni di merito?
Ciascuno di noi è parimenti consapevole del fatto che l'eventuale prevalenza dei NO sarebbe utilizzata con una strumentalità facilmente immaginabile per indebolire la nostra "strategia per l'estensione dei diritti", cioè come rivalsa contro lo straordinario movimento che si è manifestato nei mesi scorsi attorno alla iniziativa della Cgil, ma ciò, oltre a rendere ulteriormente evidente l'errore politico degli animatori del Referendum, è una straordinaria ragione in più che dovrebbe spingerci a dimostrare l'alterità, nei metodi e nei contenuti, della strategia della Cgil. Né ciò pregiudicherebbe in alcun modo l'impegno individuale di ciascuno.

*Segretario Confederale Cgil

di Giuseppe Casadio

Solo un astratto tatticismo politicista, cioè una sostanziale indifferenza al merito delle questioni davvero in gioco, può indurre a considerare reciprocamente utili e funzionali l'uno all'altra il sostegno al referendum che si svolgerà il 15 giugno prossimo e la strategia di riforma legislativa lanciata dalla Cgil per estendere diritti e tutele all'intero universo del lavoro.
Non faccio processi alle intenzioni di coloro che promossero l'iniziativa referendaria né mi sfugge il valore simbolico di cui si carica l'appuntamento con le urne (in verità enfatizzato dalla dilagante approssimazione che caratterizza molta parte del dibattito in merito); intendo dire che ciò non basta, non dovrebbe bastare, a determinare le scelte di una grande organizzazione come la Cgil, la cui responsabilità verso le lavoratrici e i lavoratori in carne ed ossa e la loro condizione materiale andrà esercitata anche dal 16 giugno in poi.
Ragioni di merito e ragioni di opportunità dettano questa preoccupata considerazione; ad alcune di esse in particolare vorrei richiamare maggiore attenzione, anche se costano qualche sforzo di conoscenza e di comprensione. Ma è proprio in questo che si risolve l'esercizio della funzione dirigente!
È del tutto giusto perseguire un avanzamento dell'attuale normativa affinchè, verificata in giudizio la insussistenza di giusta causa di licenziamento, il giudice sentenzi il ripristino del diritto leso, cioè la reintegra del lavoratore, quale che sia la dimensione d'impresa in cui avviene il contenzioso. In ciò c'è piena sintonia fra l'eventuale esito affermativo del referendum e le proposte di Legge avanzate dalla Cgil e depositate in Parlamento ad opera di molti parlamentari aderenti ai diversi gruppi politici dell'opposizione.
Ma è altrettanto opportuno che nella impresa minore, in virtù dei rapporti reali che si praticano in quella dimensione ristretta, si preveda la possibilità per il datore di lavoro di risarcire anche in altra forma il danno reale che arreca alla lavoratrice o al lavoratore, qualora consideri impraticabile il suo concreto reinserimento in quel micro-ambiente.
A condizione che si tratti di risarcimento del danno reale secondo logica di "equivalenza", valutata e quantificata caso per caso dal giudice, non di un risibile indennizzo forfettario come è oggi..
Qualora non si prevedesse questa possibilità, e poiché nessuno può immaginare che la reintegra venga sempre e comunque garantita "manu militari", a rischiare sarebbe proprio la lavoratrice o il lavoratore ingiustamente licenziato, formalmente reintegrato nel proprio diritto, nei fatti posto in condizioni di vita e di lavoro insostenibili, forse indotto dai rapporti reali a contrattarsi in solitudine, senza alcuna tutela di seconda istanza , un qualche indennizzo e andarsene "spontaneamente".
Così ha ragionato e deciso, a larghissima maggioranza, il Direttivo della Cgil quando ha varato le proprie proposte di Legge; perché declamare un principio non basta ad affermare un diritto. Un diritto sarà effettivamente conquistato quando l'ordinamento si sarà dotato di specifiche norme di tutela e relative sanzioni atte a produrre effetti nei comportamenti reali degli attori sociali, non a scrivere uno slogan su una bandiera.
Dal punto di vista dell'opportunità considero non meno contraddittorio il ricorso allo strumento referendario.
Per estendere diritti fondamentali ad aree del mondo del lavoro più esposte alla precarietà la via maestra è quella di enunciare con chiarezza e realismo gli obiettivi, acquisire su di essi il consenso innanzitutto degli interessati e, progressivamente, di aree sempre più vaste di opinione pubblica. Così opera un Sindacato, non scommettendo sulla "roulette russa" di un Referendum; un sindacato che per conquistare tutele più efficaci per chi lavora alle dipendenze delle piccole imprese si affidi ad una conta definitiva e senza appello fra i SÌ e i NO, chiamando alle urne parimenti le lavoratrici e i lavoratori e i loro datori di lavoro, il commerciante e il suo commesso, è un sindacato tanto velleitario quanto rinunciatario.
Sia chiaro: non sono interessato a polemiche strumentali e so bene che anche la maggior parte dei compagni che in Cgil propongono oggi di impegnare l'organizzazione a sostegno del SÌ pensano che ciò equivalga a scegliere il male minore a fronte di una scadenza che non hanno voluto e della quale ancora oggi essi stessi dicono che si tratti di rilevante "errore politico" (da ultimo il mio amico Paolo Nerozzi dalle colonne di questo giornale). Ma dunque, cari compagni, perché assumere in prima persona come organizzazione la gestione di una iniziativa nata fuori di noi, che prospetta, quando anche avesse successo, soluzioni di merito che consideriamo, quanto meno, parziali e non efficaci a raggiungere gli obiettivi che vogliamo, che definiamo un "errore politico"?
È giusto fondare le scelte della Cgil su mere considerazioni tattiche di contesto ("non saremmo compresi") anche a costo di consumare un divorzio così totale dalle ragioni di merito?
Ciascuno di noi è parimenti consapevole del fatto che l'eventuale prevalenza dei NO sarebbe utilizzata con una strumentalità facilmente immaginabile per indebolire la nostra "strategia per l'estensione dei diritti", cioè come rivalsa contro lo straordinario movimento che si è manifestato nei mesi scorsi attorno alla iniziativa della Cgil, ma ciò, oltre a rendere ulteriormente evidente l'errore politico degli animatori del Referendum, è una straordinaria ragione in più che dovrebbe spingerci a dimostrare l'alterità, nei metodi e nei contenuti, della strategia della Cgil. Né ciò pregiudicherebbe in alcun modo l'impegno individuale di ciascuno.

*Segretario Confederale Cgil