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Repubblica-Bertinotti e Berlusconi uniti nella lotta-di E.Scalfari

INTELLETTUALMENTE parlando, cioè parlando con la propria ragione ragionante, non si può che esser d'accordo con Massimo D'Alema quando constata che Bertinotti c'è e dunque è inutile demonizzarlo. ...

19/01/2003
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la Repubblica

INTELLETTUALMENTE parlando, cioè parlando con la propria ragione ragionante, non si può che esser d'accordo con Massimo D'Alema quando constata che Bertinotti c'è e dunque è inutile demonizzarlo. Bertinotti c'è. Berlusconi c'è. Anche Cofferati e anche D'Alema ci sono. In realtà ci siamo tutti, quanti esistiamo, pensiamo, parliamo. Ma tra tanti milioni anzi miliardi di esistenti pensanti e parlanti ce ne sono alcuni (molti) che si preoccupano soltanto di sé. Tra questi Fausto Bertinotti occupa una posizione di speciale rilievo che merita d'essere segnalata, in qualche modo speculare a quella di Silvio Berlusconi. Infatti tra i due esiste da tempo una consonanza oggettiva (o anche soggettiva?) che si propaga giù per li rami ai rispettivi ripetitori del rispettivo verbo: meglio un padrone delle ferriere con la grinta e la frusta del tycoon - dice il primo - che le anime esangui del riformismo rinunciatario; meglio il comunista verace che ha il coraggio di chiamarsi e dichiararsi tale che il comunista travestito da democratico, dice il secondo. I due son fatti per intendersi e infatti s'intendono a perfezione dal 1994 in poi perché l'uno è l'alibi dell'altro.
Un lettore mi ha posto l'altro giorno una stringente domanda: il referendum per estendere l'obbligo del reintegro alle imprese sotto ai 15 dipendenti, promosso da Bertinotti e dal sindacato metalmeccanico della Fiom, ha come bersaglio principale Berlusconi o i Ds? Domanda inesatta, ho risposto; quel referendum ha un solo bersaglio e cioè Sergio Cofferati. L'ex segretario della Cgil rischiava di catalizzare una buona parte dei simpatizzanti di Rifondazione comunista tirandoli fuori dal ghetto politico in cui Bertinotti li ha segregati da dieci anni e convogliandoli in uno spazio di partecipazione attiva alle sorti della sinistra e del Paese. Se questo sforzo andasse a buon fine la ditta Bertinotti si ridurrebbe al suo capo e a pochi familiari e intimi, con notevole vantaggio per la sinistra e per la democrazia italianaEcco la causa che ha messo in moto il referendum: un tentativo estremo del compagno Fausto di difendere la ditta "Bertinotti e C.", così come avvenne nel '98 quando mandò gambe all'aria il governo Prodi incurante delle conseguenze che quel suo gesto avrebbe provocato.
Per il compagno Fausto il fatto che le sue a lungo pensate iniziative giovino alla destra berlusconiana non importa assolutamente nulla. Quello che importa è che il risultato sia un consolidamento della ditta, magari del mezzo per cento in termini di voti e di uno strapuntino in più nell'audience televisiva. Il resto è del tutto trascurabile.
Sergio Cofferati tenta di assemblare su una piattaforma di riformismo serio tutta la sinistra italiana? Ed ecco esplodere la bomba a orologeria dell'articolo 18 da estendere a tutte le aziende, anche a quelle - come esemplifica D'Alema - del chiosco del fioraio dove il padrone è il marito e l'unico dipendente è la moglie che, in caso di dissapori coniugali, potrà sempre puntare sul reintegro.
Diciamolo francamente: non è una buffonata? E' però una buffonata sulla quale la sinistra e l'Ulivo rischiano di frantumarsi e Berlusconi di superare la crisi di consenso e d'immagine che sta logorando il suo governo dopo neppure due anni di vita. Berlusconi aveva bisogno di qualcuno e di qualcosa che lo rimettesse sulla linea di galleggiamento; Bertinotti aveva bisogno di sottrarsi alla fascinazione di Cofferati. Si sono dati reciprocamente una mano. Il fatto che il referendum bertinottiano sarà sconfitto non ha nessuna importanza per i suoi promotori.
Non dobbiamo principalmente a loro se oggi siamo governati dal "patron" di Mediaset? Il referendum è una trave buttata tra le ruote del carro cofferatiano con la complicità dei dirigenti della Fiom. Rilancia le file della sgangherata maggioranza berlusconiana e rischia di scompaginare il popolo della sinistra e dell'Ulivo nell'esatto momento in cui era tangibile una sua ripresa sociale e politica. Affinché non ci siano dubbi il leader di Rifondazione auspica addirittura l'abbinamento tra il voto referendario e quello per le elezioni amministrative affinché l'affondamento sia completo e definitivo. Un bel capolavoro, non c'è che dire.

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La risposta di una forza tranquilla di fronte a un così improvvido marchingegno non può che essere una: una legge che colmi i vuoti inaccettabili nelle tutele e nei diritti di tutti i lavoratori senza che da questa operazione socialmente necessaria e già da tempo avviata derivi un'ingiusta penalizzazione dell'immensa moltitudine delle piccole imprese e delle imprese artigiane e un ulteriore degrado della loro competitività.
La Cgil aveva raccolto su questa piattaforma già da tre mesi cinque milioni di firme, un'iniziativa finora mai tentata in nessun paese d'Europa, per la presentazione d'una legge di iniziativa popolare. Il disegno di legge sta per essere presentato in Parlamento dove del resto è già da tempo presente il disegno di legge Treu-Amato che si ispira ad analoghi obiettivi. I quali sono quelli di estendere a tutti i lavoratori, compresi quelli occupati in aziende al di sotto dei 15 dipendenti, ai collaboratori continuativi e ad ogni forma di lavoro atipica, gli ammortizzatori sociali che il "patto Italia" ha strappato al governo in misura estremamente ridotta e parziale, nonché l'estensione dei percorsi di formazione tanto più necessari per le forme di lavoro atipico e precario che alternano periodi di breve occupazione a lunghe fasi di disoccupazione, dequalificazione professionale, disperazione e sradicamento esistenziale.
Il segretario dei Ds, Piero Fassino, ha preannunciato che sarà questa la risposta della sinistra al referendum bertinottiano che lascerebbe inevasi questi acutissimi problemi; la stessa posizione ha sostenuto il segretario della Cgil, Epifani, a nome del maggior sindacato italiano e identiche sono state le risposte di Sergio Cofferati e di Massimo D'Alema.
Non tutti i mali vengono dunque per nuocere: il rozzo e provocatorio referendum bertinottiano che non ha alcuna probabilità di essere approvato dal voto popolare e forse neppure di raggiungere il quorum del 50,1 per cento richiesto dalla legge, ha intanto avuto l'effetto di compattare la sinistra responsabile, quella sindacale e quella politica, attorno a uno strumento che è il solo idoneo a colmare le ingiustificabili lacune che ancora devastano il mercato del lavoro in una fase in cui la flessibilità in entrata e in uscita si estende spinta dalla concorrenza internazionale e dalle tecnologie globali mentre le tutele e i diritti sono rimasti fermi al "welfare" modellato sulla fabbrica fordista dei tempi di Charlie Chaplin.
A pensarci bene quest'effetto positivo "malgré soi" della provocazione bertinottiana è in tutto analogo alla provocazione berlusconiana del disegno di legge sull'uso politico della giustizia affidato a una commissione d'inchiesta parlamentare: uno sfregio gravissimo alla Costituzione, al principio della divisione dei poteri e all'indipendenza della magistratura che ha avuto l'immediata conseguenza di unire l'opposizione parlamentare e i movimenti di massa in un compatto e univoco rifiuto.
Berlusconi e Bertinotti sono i due agenti provocatori che spingono l'opposizione sociale, sindacale, politica a fare blocco in difesa dei principi costituzionali e degli interessi del lavoro. Quando si dice l'eterogenesi dei fini...!

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Dopo il confronto televisivo del 14 gennaio tra D'Alema e Cofferati i commenti sono stati duplici. Alcuni si sono concentrati su pagelle che attribuivano all'uno o all'altro la palma della più efficace comunicazione, sul tipo di chi ha vinto, chi ha perso. Altri hanno emesso un verdetto sconsolato (o magari maliziosamente soddisfatto) perché "con lacerazioni così profonde e insanabili la sinistra e l'Ulivo non potranno che affondare e su quelle macerie il berlusconismo terrà il potere per almeno altri quindici anni" .
Personalmente sono alquanto distaccato dal metodo delle pagelle, buono tutt'al più per le partite di calcio. E sono anche abbastanza pessimista sulla classe dirigente di questo Paese che ritengo complessivamente di scarso livello intellettuale e morale (salvo alcune rare eccezioni delle quali, a mio giudizio, i due protagonisti del confronto televisivo del 14 gennaio fanno parte).
Ma non ho tratto elementi di particolare sconforto da quel dibattito anche se i dibattenti non si sono reciprocamente risparmiati. Mi è sembrato che le divergenze di linea politica fossero quelle note già da tempo, ma che ciascuno dei due fosse soprattutto intento a delimitare lo spazio del dissenso entro un quadro di valori condivisi e cioè: necessità unitaria della sinistra, indispensabilità dei partiti, ricchezza dei movimenti, allargamento dell'Ulivo, integrazione dei vari elementi cercando il metodo migliore per realizzarla, attenzione alla complessità della società italiana nelle sue diverse componenti, impegno costante per la costruzione di un'Europa democratica e forte, pacifismo attivo, lotta al terrorismo.
Ho avuto modo di parlare con ciascuno dei due protagonisti dopo quel dibattito e ho avuto la conferma autentica da ciascuno di loro che quelle mie sensazioni erano fondate al di là delle divergenze che restano e non sono marginali.
Si può utilizzare la definizione di "convergenze parallele" coniata da Aldo Moro nel 1960 a proposito del governo Fanfani reso possibile dall'astensione del Partito socialista?, ho chiesto a ciascuno di loro. Si può almeno dire che marcerete separati per colpire uniti?, ho insistito. La risposta di tutti e due è stata positiva, quella definizione gli è sembrata corretta, quello slogan efficace. Entrambi hanno riconosciuto che il lavoro di Piero Fassino che mira a intrecciare i percorsi e le decisioni dei partiti e dei movimenti è utile anzi indispensabile. Tutti e due - mi sembra - ritengono utile studiarsi meglio e senza gli steccati del pregiudizio.
Non so dire se a queste intenzioni seguiranno i fatti, se il cattivo carattere di cui entrambi sono ampiamente dotati non giochi cattivi scherzi più di quanto sia già avvenuto, se i rispettivi "entourage" non spingano piuttosto alla rissa che all'unione.
Ma una cosa è sicura, checché ne pensi Francesco Rutelli: se lo scontro a sinistra dovesse proseguire con l'intensità e la reciproca ingenerosità degli scorsi mesi, la sinistra sarà travolta e con lei l'intero Ulivo.
Di questo, almeno di questo, sia Cofferati sia D'Alema mi sono sembrati consapevoli. Il motto "nec tecum nec sine te" mi pare debba essere superato; si attaglia agli amori sfortunati ma non all'efficacia politica. Del resto la Dc guidò l'Italia per quarant'anni nel bene e nel male tenendo insieme Pella e Vanoni, Moro e Fanfani, Forlani e De Mita, Andreotti e Zaccagnini.
Meditate, gente, meditate.