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Repubblica-CERCASI RICETTA PER USCIRE DALLA CRISI

CERCASI RICETTA PER USCIRE DALLA CRISI EUGENIO SCALFARI Quanti mesi, anzi quanti anni sono già passati nell'attesa che il ciclo economico si rimettesse in moto con la sperata baldanza senz...

17/08/2003
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la Repubblica

CERCASI RICETTA PER USCIRE DALLA CRISI
EUGENIO SCALFARI
Quanti mesi, anzi quanti anni sono già passati nell'attesa che il ciclo economico si rimettesse in moto con la sperata baldanza senza che ai vaticini corrispondessero i fatti?
Sembrava che "l'anno terribile" del 2001, quando la bolla speculativa cominciò a sgonfiarsi propagando i suoi effetti di rallentamento e di stagnazione sulle due sponde dell'Atlantico sarebbe stato presto archiviato; il 2002 avrebbe dovuto segnare l'inizio d'una consistente ripresa sia nell'economia reale sia in quella finanziaria. L'evento fu collocato al più tardi nell'ultimo trimestre di quell'anno che si rivelò invece tra i peggiori del decennio.
Da quel momento in poi la data dell'atteso "D-Day" fu regolarmente spostata in avanti di trimestre in trimestre, ma ogni volta l'ottimismo dei governi più potenti e più ricchi del pianeta è stato dileggiato dalla realtà, le aspettative degli operatori non sono granché cambiate, la fiducia è rimasta scarsa, i consumi hanno retto a malapena, gli investimenti hanno continuato a essere latitanti.
Adesso il trimestre della svolta, quella vera e duratura, si collocherebbe secondo le più recenti previsioni tra il primo e il secondo del 2004. Qualcuno più speranzoso l'anticipa addirittura all'ultimo scorcio di quest'anno.
L'inversione di tendenza dovrebbe verificarsi negli Stati Uniti e di lì diffondersi a cascata.
Qualche segnale s'intravede nella generale foschia: l'indice dei consumi Usa mostra un sia pur contenuto vigore, il livello delle scorte è leggermente aumentato, la produttività dell'industria è salita a ritmi sostenuti, circa il 7 per cento nel primo semestre dell'anno in corso. Da un paio di mesi Wall Street dà credito a questi segnali e anche le Borse europee arrancano sulla scia recuperando una (piccola) parte del molto terreno perduto nell'ultimo triennio.
Ma per converso proprio dagli Stati Uniti arrivano cattive notizie sul mercato del lavoro dove, quasi in parallelo con i rilevanti aumenti della produttività, sono andati distrutti due milioni di posti di lavoro con flessioni preoccupanti del monte salari complessivamente irrogato.

La flessione dei redditi da lavoro dipendente è ancora più marcata in Europa e in particolare in alcuni paesi, Germania e Italia in prima fila, alle quali negli ultimi mesi si sono aggiunte la Spagna, la Gran Bretagna, l'Olanda, che fino a ieri venivano indicate come esempi di sagaci politiche economiche e di filosofie "inclusive" capaci di conciliare tra loro sia la flessibilità del lavoro sia il dinamismo del capitale.
In Italia i redditi da lavoro in termini reali hanno visto diminuire la loro incidenza sul reddito complessivo del 7 per cento nel decennio 1990-2000.
Tale diminuzione è continuata nel successivo biennio favorendo i redditi da capitale e quelli dei lavoratori autonomi. Si è dunque verificata una notevole ridistribuzione dai gruppi sociali collocati a livelli inferiori ai gruppi situati nei settori medio-alti della piramide (anzi della trottola) del reddito complessivo. La conseguenza, come ha notato Luciano Gallino, se combinata con un numero complessivamente inferiore di ore lavorate, ha prodotto come saldo netto una caduta rilevante di lavoratori sotto al livello di povertà; secondo le valutazioni della Banca d'Italia i lavoratori "poveri" (con un reddito pari a soli due terzi della media reddituale della loro medesima categoria) sono passati tra il 1990 e il 2000 dal 7 al 14 per cento.
Un raddoppio pieno. Le ripercussioni di questo fenomeno sulla domanda globale sono evidenti e spiegano il persistere della sua fiacchezza nonché del ristagno degli investimenti.
È appena il caso di avvertire che tali mutamenti nella struttura del lavoro e dei redditi non hanno carattere congiunturale bensì strutturale. I loro effetti si riflettono sia sul periodo breve sia sulle aspettative a lungo termine e rappresentano un vero e proprio cambiamento del modello di capitalismo che conosciamo da almeno mezzo secolo.
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Le strategie volte a delineare in prospettiva lunga un nuovo modello di capitalismo difettano nel senso che prevale, nei pensatoi politici e teorici e nella società nel suo complesso, un approccio pragmatico che somiglia più ad un abbandonarsi alla corrente che ad indicare finalità e obiettivi mirati.
Direi che, allo stato attuale, sembra prevalere la tendenza di affidare ai ceti imprenditoriali e a più alto reddito il ruolo in qualche modo demiurgico di ammassare maggior ricchezza che il mercato provvederà poi a diffondere e ridistribuire in qualche modo.
Le terapie volte a rimettere in movimento il ciclo "a breve" sono viceversa numerose e ben definite ma quasi sempre alternative tra loro. In alcuni paesi e aree geopolitiche prevalgono le terapie basate sull'abbattimento delle imposte dirette e di quelle sul capitale e sulle rendite e plusvalenze che ne derivano; ma il prisma delle soluzioni possibili e auspicate è comunque molto variegato e spesso contraddittorio, causa non ultima di incertezza e quindi di stagnazione delle aspettative. Schematizzando si possono indicare le seguenti possibilità.
1) Riflazionare la domanda globale attraverso provvedimenti di abbattimento fiscale che favoriscano soprattutto imprese e ceti benestanti.
2) Stesso obiettivo, affidato però al sostegno di una più vasta platea composta prevalentemente da ceti redditualmente medio-inferiori. Gli strumenti per raggiungerlo non si esauriscono nella detassazione (che per questi ceti ha minore importanza) ma contemplano anche (soprattutto) un moderato ma generale aumento delle retribuzioni, un aumento dell'occupazione, una politica di crediti al consumo di beni durevoli e agli investimenti immobiliari.
3) L'avvio di imponenti programmi di lavori pubblici ordinari e straordinari.
4) Una riforma del mercato del lavoro che miri a realizzare piena flessibilità in entrata e in uscita ed abbia come effetto derivato ma previsto una diminuzione del costo attraverso minori livelli di retribuzioni lorde da ottenere con provvedimenti di defiscalizzazione degli oneri sociali.
5) Un nuovo welfare, adeguato ai nuovi assetti flessibili del lavoro.
Esso prevede un completo sistema di ammortizzatori sociali mirante a coprire i lavoratori in tutti i vari passaggi della loro biografia professionale assicurando loro una rete minima di protezione attraverso forme di salario sociale e di pensione sociale per gli anziani poveri.
6) La riforma delle pensioni per adeguare - nei paesi opulenti di Eurolandia - l'erogazione pensionistica al costante aumento dell'età media della popolazione. E quindi: allungamento dell'età pensionabile, pensioni sotto forma di assicurazioni, incremento dei fondi pensione. L'obiettivo principale è quello di render sicura l'erogazione delle pensioni in paesi di crescente invecchiamento; nel breve e medio periodo l'obiettivo derivato potrebbe esser quello di utilizzare le minori spese pensionistiche per finanziare altre spese, dentro o anche fuori dalla categoria della spesa sociale.
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Basta scorrere quest'ampio ventaglio di possibili soluzioni miranti a rimettere in moto una duratura ripresa economica per rendersi conto delle numerose contraddizioni che vi sono contenute.
Alcune delle predette soluzioni per esempio avrebbero come effetto a breve e anche a medio termine quello di deprimere la domanda globale anziché d'incrementarla e comunque di scoraggiare le aspettative degli operatori.
Quasi tutte poi produrrebbero effetti espansivi non immediati ma soltanto quando fossero "a regime" , da un minimo di un anno fino a due/tre e anche più in là.
Su tutto grava poi il problema del finanziamento. Si tratta infatti di soluzioni costose, che vanno dall'incentivazione alla detassazione, agli ammortamenti sociali, alla fiscalizzazione di oneri, a investimenti pubblici in infrastrutture, con effetti rilevanti sui bilanci pubblici che in molti paesi, a cominciare dagli stessi Stati Uniti, versano in condizioni tutt'altro che floride.
Gli strumenti disponibili per assicurare il finanziamento sono sostanzialmente tre: ricorso all'indebitamento attraverso il mercato, ricorso al sistema bancario, taglio di spese.
Quest'ultimo, che potrebbe accrescere almeno in teoria l'efficienza del sistema, avrebbe tuttavia effetti depressivi sulla domanda, quali che siano le spese prese di mira. Restano pertanto i due tipi di indebitamento, attraverso il mercato e/o attraverso le banche.
In ogni caso tutte queste politiche vedono un accrescimento del ruolo pubblico, destinato a proporsi come regolatore, promotore e debitore di ultima istanza. Di qui un acuirsi della lotta tra i rappresentanti politici dei diversi gruppi sociali, interessati sia a garantirsi soluzioni più favorevoli sia a gestirne l'attuazione per procacciarsi vantaggi aggiuntivi.
L'accresciuta concorrenza tra gruppi sociali e forze politiche che li rappresentano; il controllo dei sistemi di comunicazione di massa; le modifiche necessarie a "sveltire" le varie Costituzioni sia nazionali sia federali; sono il portato inevitabile di fasi di transizione come quella che stiamo vivendo e che è tuttora ben lontana dall'essersi conclusa.