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Repubblica-COFFERATI IL GRANDE OPPOSITORE

COFFERATI IL GRANDE OPPOSITORE STA sulla porta, Sergio Cofferati. Tra il sindacato e la politica. Da tempo. E oggi più di ieri. Né è lecito ipotizzare che cambierà atteggiamento, quando, nel ...

08/07/2002
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la Repubblica

COFFERATI IL GRANDE OPPOSITORE
STA sulla porta, Sergio Cofferati. Tra il sindacato e la politica. Da tempo. E oggi più di ieri. Né è lecito ipotizzare che cambierà atteggiamento, quando, nel prossimo settembre, Epifani gli succederà, nel ruolo di segretario generale della Cgil. Quando rientrerà alla Pirelli. Resterà sulla soglia, perché questa doppia identità è alla base del suo successo. Questo doppio profilo. Di sindacalista che fa politica, dialoga con la politica, sta in politica. Il patto con il governo sottoscritto da Cisl e Uil e dalle principali organizzazioni economiche, al di là del giudizio sui contenuti, ha reso più visibile (e complicato) questo intreccio. Tra Cofferati, la Cgil e il centrosinistra. Non a caso, dopo l'accordo, il segretario della Cgil ha incitato le forze del centrosinistra, a stringersi attorno a lui. D'altronde, nei giorni precedenti, egli stesso aveva convocato i partiti del centrosinistra. A confrontarsi con il "suo" progetto. È che la Cgil sembra perseguire un modello di relazioni, con il centrosinistra, che delinea una sorta di "collateralismo rovesciato", rispetto a un tempo. Nel senso che è il sindacato a condizionare la politica. I partiti. Non che rinunci a fare il sindacato, la Cgil. Ma il suo ruolo, la sua attenzione, rispetto all'arena politica, è sicuramente cresciuto. Si candida a leader del centrosinistra, Cofferati, evitando di passare per i meccanismi di selezione della classe dirigente. Opachi. Governati dai partiti. Dai loro circoli interni

Egli, peraltro, mira a tradurre politicamente il consenso personale e il sostegno ampio garantito al centrosinistra, nel periodo grigio durante il quale pareva non ci fosse opposizione. Poi la manifestazione di marzo, lo sciopero generale di aprile; Roma, l'Italia, traversate da cortei di protesta: hanno reso evidente l'esistenza di una insoddisfazione e di un'opposizione diffuse. Così, la sua popolarità è cresciuta. Ed è cresciuto il suo ruolo nel centrosinistra. La vicenda Biagi ne ha segnato l'immagine, ma non l'ha delegittimato; per alcuni versi, anzi, ne è emerso come il bersaglio di manovre oscure ai danni di un leader temuto. Perché al di là delle specifiche valutazioni, Cofferati oggi, nel centrosinistra, suscita un consenso ampio. Secondo, forse, solo a Prodi. Ed è l'unico, soprattutto, in grado di mobilitare l'opposizione a livello sociale.
Dietro al suo successo si scorgono alcuni motivi, che è possibile tratteggiare.
Il primo, è che Cofferati raffigura il "grande oppositore", in tempi nei quali l'opposizione ha perso visibilità e identità. È l'opposizione al governo e alla CdL. È l'opposizione nell'opposizione di centrosinistra. Che fino a qualche mese fa appariva afona e improduttiva. È l'opposizione inflessibile all'opposizione flessibile, sui temi del lavoro e dello sviluppo. È l'opposizione nei Ds. È l'opposizione al sindacato che contratta con il governo di centrodestra. È l'opposizione. E come tale è "definito", costruito, imposto, dagli altri soggetti politici. E sindacali. Così, Cofferati diventa l'oppositore obliquo; che scavalca i confini ideologici, gli schieramenti, i partiti. L'oppositore, l'uomo "solo" contro tutti. A cui tutti si oppongono. In diverso modo. Per diverse ragioni. Berlusconi e Maroni, Rutelli e D'Alema, Amato e Fassino, D'Amato, Pezzotta e Angeletti. Lo stesso Bertinotti, sfidato sul suo terreno.
Questa, probabilmente, è la principale ragione che ne spiega la popolarità. Egli risponde alla domanda di "opposizione", frustrata, in cerca di identità. Disancorata dalla società. Che il "riformismo" istituzionale del centrosinistra stenta a mobilitare. La domanda di opposizione. Cofferati la riflette. La riproduce. La somatizza.
Poi, parallela, c'è una seconda ragione. Cofferati interpreta lo critica contro la classe politica del centrosinistra. Statica. Senza ricambio. Dà sfogo all'insofferenza verso le logiche oligarchiche e il linguaggio di una leadership incapace di "dire qualcosa di sinistra". Come ha denunciato Nanni Moretti. Ulteriore segno di ambivalenza: perché Cofferati ha una biografia "ortodossa"; vissuta fra partito e sindacato. In modo coerente e fedele. E, fino a qualche tempo fa, un po' "grigio".
La terza ragione del successo di Cofferati è che dà una risposta, magari discutibile, ma esplicita e chiara, alla crisi della concertazione, in tempi di bipolarismo. Quando governa il centrodestra. Cofferati ha risolto la questione spingendo (secondo uno schema collaudato, in Europa) la Cgil verso un modello di relazioni "schierato". Antagonista. Operazione, al di là del merito, difficile per Cisl e Uil, che devono misurarsi con una base politicamente trasversale. E una tradizione concertativa più radicata.
La quarta ragione di successo richiama l'importanza assunta dalla sfera simbolica (ben riassunta dal conflitto sull'art. 18). Cofferati, ha enfatizzato questa dimensione; ha "valorizzato" la propria immagine. Il segretario impassibile e grigio è diventato un guerriero. Il Guerriero del lavoro che combatte il Cavaliere mediale.
Infine, Cofferati ha potuto premere sulla leva simbolica, perché innestata su una pesante ed efficiente (dire "gioiosa" sarebbe troppo..) "macchina da guerra", dal punto di vista organizzativo. Perché tale è ancora la Cgil.
Il che propone un singolare paradosso. Perché Cofferati, la cui storia personale si è svolta dentro i percorsi della "politica rappresentativa" (il partito, il sindacato), alla guida di un'organizzazione tradizionale e strutturata, deve parte del suo successo allo "spirito dell'antipolitica" che aleggia nella società (lo ha rilevato Barbara Spinelli, sulla Stampa). Attratto, sollecitato dalla sua dichiarata volontà di "tenersi fuori", di prendere le distanze dalle istituzioni, dai partiti, dalla classe politica. Di combatterne il degrado.
Da ciò la sua forza. Da ciò i rischi che gravano sul suo futuro, nel momento in cui dovesse varcare, definitivamente, la soglia che separa il sindacato (come "partito dell'opposizione sociale") dai partiti (l'opposizione politica e istituzionale).
Anzitutto, Cofferati, se volesse proporre (legittimamente) la sua leadership, dovrebbe sfidare le trappole degli ambienti della politica, meno organizzati, meno formali del sindacato. In tempi nei quali, peraltro, le regole di selezione della classe dirigente restano ancora indefinite.
In secondo luogo, non è detto che egli, domani, potrebbe contare sul medesimo sostegno del "suo" sindacato. Visto che in ogni organizzazione i cambiamenti di leadership si accompagnano alla ricerca di legittimazione e di affermazione (quindi di "autonomia") del nuovo gruppo dirigente.
In terzo luogo, il suo stesso ruolo di "grande oppositore", dentro il centrosinistra, gli potrebbe nuocere. Perché difficilmente ne potrebbero accettare e condividere la leadership coloro che, in questi anni, in questi mesi di conflitti, a sinistra, si sono schierati, nei suoi confronti, "dall'altra parte". Divisi da un fossato sempre più profondo. La base della Cisl e della Uil, per esempio. Per metà, almeno, composta da elettori dell'Ulivo.
Anche per questo, sulla soglia d'uscita della segreteria Cgil, Cofferati si è fermato. Ha preso tempo. Per affrontare le insidie del caso Biagi. Per valutare meglio come affrontare una fase tanto critica. C'è tuttavia da dubitare che egli superi definitivamente questa soglia (secondo il condivisibile auspicio espresso da Eugenio Scalfari, sull'ultimo numero del Venerdì). Che rinunci al suo profilo doppio. Come Giano bifronte: un volto che guarda il mondo del lavoro e l'altro la politica. È probabile, invece, che continui, per molto tempo ancora, a fare politica senza accettarne le sedi e le logiche. Che rientri in azienda, dove trascorrerà poco tempo, rafforzando, però, la sua immagine: distinta e distante dalla "classe politica" tradizionale. Dagli "oligarchi del centrosinistra". È probabile, inoltre, che promuova la sua Fondazione, facendone un attore politico, più che culturale. Che valorizzi il referendum contro il patto per il lavoro, siglato nei giorni scorsi. Per tenere assieme la sua esperienza politica personale con il retroterra sindacale. Restando sulla soglia. In attesa che gli eventi maturino. A suo favore.
Una scommessa calcolata. Ma sicuramente rischiosa. Per Cofferati. Per il sindacato. E soprattutto per il centrosinistra. Chiamato a misurarsi con la domanda di identità, di mobilitazione sociale, di innovazione della leadership. Ma in modo aperto. Esplicito. Senza arroccarsi all'ombra del Grande Oppositore.
ILVO DIAMANTI