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Repubblica: "Così salverò tre milioni di posti rivoluzionando scuola ,sanità e ambiente

intervista a Obama

09/01/2009
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la Repubblica

WASHINGTON - Domani lei pronuncerà un discorso e parlerà del suo pacchetto di incentivi all´economia. Pare che si aggiri intorno ai 775 miliardi di dollari. Perché non arrivare a quei 1.200 miliardi di dollari che gli economisti hanno raccomandato?

«Prima di tutto penso che è importante tener presente che ogni economista, conservatore o liberal che sia, a questo punto concorda sul fatto che dobbiamo predisporre un piano di recupero sostanziale, che ci aiuti a ridare slancio alla nostra economia, che sul breve periodo ci costerà caro, ma sarebbe estremamente più costoso veder l´economia avvitarsi su se stessa a vuoto come sta accadendo adesso».

Quanta fiducia ha che il suo piano funzioni davvero? Come eviterà il rischio di essere troppo fiducioso nelle sue possibilità?

«L´approccio che abbiamo scelto è quello di non limitarci a parlare con i soliti sospetti, ma di parlare con persone che di norma non sono d´accordo con me. Se l´ex consigliere economico di Ronald Reagan o l´ex consigliere economico di John McCain o l´ex consigliere economico di George Bush ti danno il medesimo consiglio di quello che i consiglieri di Bill Clinton o di Jimmy Carter ti stanno dando, allora puoi essere pressoché sicuro che in tutto lo spettro politico vi è del consenso. Certo, tutto ciò non avverrà nell´arco di una sola notte. Dobbiamo far sì che il flusso del credito ricominci. Questo significa ripristinare la fiducia. Serve un attacco a più punte nei confronti di questo enorme tracollo al quale stiamo assistendo al momento. L´obiettivo a lungo termine è essere certi che salveremo e proteggeremo i posti di lavoro, e che le imprese e le famiglie americane siano in grado di beneficiare del flusso del credito nuovamente».

Non ha preoccupazioni su questa eccessiva fiducia?

«No, anzi, mi sento schiacciato dalle sfide che ci stanno di fronte. Ma ho fiducia in una cosa: sono un buon ascoltatore, sono bravo a sintetizzare i consigli provenienti da prospettive e ottiche diverse e prenderò le migliori decisioni possibili pensando proprio a che cosa andrà bene per i comuni americani».

Ci sarà un momento nel quale lei si occuperà maggiormente del deficit?

«Sì, assolutamente. Ma il mio punto è questo: non aspetteremo che passino due anni per iniziare a preoccuparci di quello che dobbiamo fare per il deficit. Vogliamo vedere tutte le cose che possiamo fare durante il mio mandato iniziare a influire riducendo il deficit. In sostanza, io credo che quando le cose miglioreranno allora piano piano ci tireremo indietro».

Ci sarà una crescita nella seconda metà del 2009 secondo lei?

«Non ho una sfera di cristallo. Ma sono fiducioso in una cosa: se non facessimo niente, le cose peggiorerebbero, e di molto. Con il piano che abbiamo predisposto, le cose andranno in ogni caso meglio di come sarebbero andate altrimenti. Sono fiducioso che potremo creare o salvare tre milioni di posti di lavoro. Ne abbiamo già persi almeno due milioni. Alla fine di questa settimana potremo leggere un rapporto sui posti di lavoro, dal quale probabilmente emergerà che ne abbiamo persi quanto meno un altro mezzo milione».

Sappiamo che nel suo programma si parla all´incirca di tagli alle tasse pari a 300 miliardi di dollari: è pronto a dirci che non procederà alla revoca immediata degli sgravi fiscali apportati dal presidente Bush ai contribuenti che guadagnano più di 250.000?

«Non posso in questo momento qui con lei prendere un impegno così importante e in modo così rapido, ma le ripeto che la cosa che più mi preme è riportare parità e equità nel sistema contributivo. Ecco perché abbiamo presentato precisi sgravi fiscali nell´ambito del pacchetto delle nostre proposte. Il 95 per cento delle famiglie che lavorano avranno uno sgravio fiscale. Per persone come lei e come me, che guadagnano più di 200-250.000 dollari l´anno, i tagli alle tasse voluti da Bush non erano necessari». Mi sembra che almeno per un momento il dialogo tra i due partiti sia diverso. Quanto conta per lei il dialogo bipartisan?

«Vede, io la penso in questi termini:la cosa più importante è che cosa serve a ottenere il risultato voluto. È creare tre milioni di posti di lavoro o salvare tre milioni di posti di lavoro? Ci siamo preparando? Stiamo gettando le fondamenta della nostra indipendenza energetica? Stiamo riducendo le spese della nostra assistenza sanitaria, che sono di importanza cruciale per affrontare il nostro deficit sul lungo periodo? Stiamo creando un sistema scolastico di prima classe? Queste sono le mie priorità assolute. Io non reputo affatto che il Partito Democratico abbia il monopolio delle buone idee. I Repubblicani hanno molto da offrire. Sono aperto a qualsiasi idea che mi sarà presentata».

Il settore immobiliare è alla radice del problema economico che oggi ci assilla. Che cosa intende proporre per alleviare il pignoramento di beni ipotecati?

«Penso che la cosa più importante sia, in tema di calo del valore degli immobili, evitare ulteriori pignoramenti. Si sente talvolta qualcuno nel Paese che dice: "Bene, io sono stato responsabile, perché dovrei dare aiuto a chi forse ha sottoscritto un mutuo che non poteva permettersi?". Questa domanda ci riporta a un adagio secondo il quale se la casa del tuo vicino sta bruciando, la tua prima preoccupazione deve essere quella di spegnere le fiamme, anche se il tuo vicino ha agito irresponsabilmente. Una delle cose che reputo molto importante nel nostro piano di reinvestimento è fornire gli incentivi per coibentare le case di tutto il Paese. Si tratta di un tipo di investimento a lungo termine che può tagliare drasticamente le bollette energetiche del Paese, aumentare la nostra indipendenza energetica, ridurre i gas serra globali. Quindi, come vede, ci sono alcune aree nelle quali possiamo fare progressi, fornendo sollievo alle famiglie, aiutando i proprietari di casa. Ma occuparci della crisi dei pignoramenti dei beni ipotecati è qualcosa che dobbiamo assolutamente fare».

Quanto crede che sarà difficile per lei cercare di tradurre in pratica il suo impegno a porre fine al concetto che gli Stati Uniti ammettono la tortura?

«Io credo che ci siano alcune cose che non sono difficili. Noi ottemperiamo alle Convenzioni di Ginevra: questo non dovrebbe essere difficile. Noi abbiamo contribuito a redigerle. Le abbiamo sostenute e ci sono servite bene. Penso che chiuderò Guantanamo».

Le sfide alle quali lei deve far fronte hanno fatto sì che si instaurassero paragoni anche con Franklin Roosevelt, con i tempi della peggiore crisi finanziaria dalla Grande Depressione. Quando Franklin Delano Roosevelt fece il suo discorso inaugurale egli disse al popolo americano: «L´unica cosa che dobbiamo temere è la paura stessa».

«Se si legge il primo discorso di Franklin Delano Roosevelt l´unica frase che ci si ricorda è quella, "L´unica cosa che dobbiamo temere è la paura stessa", ma di fatto il grosso del suo discorso si incentrava sulla necessità di agire e agire subito. Io ho fiducia nel popolo americano: se gli si parla chiaramente, se ci si spiega chiaramente, dicendo testualmente "Questa è la nostra sfida, siamo arrivati a questo punto perché abbiamo fatto questo, e questa è la direzione che secondo me dobbiamo imboccare", allora io sono assolutamente fiducioso che il popolo americano sarà all´altezza della sfida.

Ha ancora in tasca uno di questi? (Estrae dalla tasca un BlackBerry).

«In realtà l´ho messo da parte per questa intervista, ma mi porto ancora dietro il mio BlackBerry. Dovranno strapparmelo dalle mani! Ma il punto è un altro. Non voglio vivere in una bolla, quello che mi sta a cuore è avere meccanismi con i quali interagire con le persone che sono fuori dalla Casa Bianca in modo significativo, rimanere in contatto con il flusso della vita quotidiana. Credo che mi aiuterà a servire il popolo americano meglio».

Co. La Repubblica/New York Times Syndacate

(Trascrizione e traduzione di Anna Bissanti