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Repubblica-Firenze-Prove di integrazione

INCHIESTA/A Firenze uno studente su nove non è italiano. Non è facile stare insieme, ma ragazzi e prof lo tentano Scuola, prove di integrazione Lingua, cibo, religione: pochi contrasti...

20/09/2002
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la Repubblica

INCHIESTA/A Firenze uno studente su nove non è italiano. Non è facile stare insieme, ma ragazzi e prof lo tentano
Scuola, prove di integrazione
Lingua, cibo, religione: pochi contrasti, voglia di capirsi
Secondo le stime nelle scuole dell'obbligo un alunno su nove è straniero


Lingua, cibo, religione: l'integrazione al tempo della scuola multietnica. Fa discutere l'annuncio del ministro Letizia Moratti di voler ripristinare il crocifisso nelle aule: ma come si superano le differenze culturali nel rispetto e nella tolleranza? Le risposte della scuola fiorentina. La presenza degli studenti stranieri è in continuo aumento: le statistiche di Palazzo Vecchio dicono che sono ormai un alunno su nove nella scuola dell'obbligo a Firenze. Nei tre centri di alfabetizzazione allestiti dall'assessorato all'Istruzione, dal 2000 in poi, studiano oggi 700 bambini stranieri, una babele di ben 42 etnie. Anche i menù delle mense si uniformano alle diverse culture: 350 le richieste per diete senza carne suina destinata ai bambini di famiglie musulmane.
In molte aule la croce non c'è. Più voglia di discutere che di polemizzare
"Crocifisso? Mezzaluna? Diciamo integrazione"
MARIA CRISTINA CARRATU'


UNA cosa è certa: la religione, nelle scuole fiorentine, non è un ostacolo all'integrazione. Il piccolo italiano di Brozzi segnala al compagno islamico che nei tortellini c'è la carne di maiale, o nelle caramelle c'è il liquore, con una complicità che nasce dal contatto umano, e supera ogni contrapposizione ideologica. Le maestre si informano sugli usi religiosi, e cercano di favorirli. "Rispettiamo al massimo la sensibilità di tutti" dice la maestra Cristina Buricchi della scuola Duca d'Aosta (25-27% di studenti stranieri). Se il venerdì, giorno di preghiera per i musulmani, e il sabato, giorno di riposo per gli ebrei, qualche bimbo si assenta, nessuno dice niente, le maestre assicurano tempo e spazio ai bambini islamici che verso i 10 anni devono dire una preghiera giornaliera in orario scolastico.
E mai è accaduto, che si sappia, che qualche famiglia straniera abbia preteso di far togliere da un'aula il crocifisso, che ora il ministro Moratti vorrebbe ripristinare dappertutto. Semmai, lo hanno chiesto famiglie italiane infiammate dalla preoccupazione per i nuovi arrivati. Ma con uno scrupolo che gli stessi stranieri considerano fuori luogo: "Io ci tengo che il mio bambino si senta arabo" dice una mamma yemenita coi bambini alla Torrigiani di via della Chiesa "e non vedo perché non dovrebbe tenere allo stesso modo al suo bambino una mamma italiana". E il crocifisso è un simbolo religioso, sì, ma non solo: "Fa parte della vostra tradizione, sarebbe come eliminare il Natale e il presepio. Vi sognereste voi di pretendere, venendo nel mio paese, che si eliminasse dalle scuole la mezza luna?". E ai genitori (italiani) che in nome del politically correct vorrebbero perfino abolire da recite e canti di Natale ogni riferimento cristiano, la mamma yemenita propone piuttosto che "la scuola si apra a qualche festa islamica".
Alla Paolo Uccello, in verità, come alla Duca D'Aosta, da anni non c'è un solo crocifisso in giro, ma nessuno ricorda da quando, e perché. In compenso, ce ne sono in ogni classe alla Pieraccini Rosselli, ma anche qui il preside lo scopre per caso; alla elementare Niccolini sono tutti ammucchiati in un angolo dopo dei lavori, ("saranno gli insegnanti", dice la preside, "a decidere cosa farne"), al turistico Marco Polo il preside scopre sul momento che non ne esistono. La sorta di "iconoclastia silenziosa" che ha colpito le scuole, preoccupa, però, il vicesindaco Giuseppe Matulli, cattolico: "Scambiandola con una liberazione dalla 'oppressione della Chiesa', da anni si sta silenziosamente cancellando una identità culturale. Perdere ogni contatto con un simbolo dei fondamentali valori della civiltà europea, come il crocifisso, è un pericolo per tutti, credenti e non". Un processo, però, contro cui, secondo Matulli, l'iniziativa della Moratti cala come una clava, "proprio mentre la Lega fa del crocifisso un segno di discriminazione razziale". E che è giudicato invece "naturale e positiva evoluzione della società civile" dalla responsabile culturale della Comunità ebraica fiorentina, Hulda Liberanome, convinta che "la legge debba ora, in nome dello Stato laico, prendere atto di quello che è accaduto, invece di riproporre norme che risalgono al fascismo, e a una società che non esiste più". "Certo" osserva perplessa un'insegnante della Paolo uccello, Annalisa Frosinini, "farlo proprio ora che la scuola si sta aprendo alle altre culture, è una battuta d'arresto". Diverso, sarebbe stato aprire un dibattito sull'opportunità o no di tenerlo.
La comunità più numerosa è la cinese seguita da rom, albanesi, marocchini e peruviani
Dalla Bolivia al Kazakistan fianco a fianco nei banchi 42 etnie
700 bambini ai corsi di alfabetizzazione del Comune
CLAUDIA RICONDA


"Mi chiamo Lili, ho 12 anni e vengo dalla Cina. Abito a Campi. Qui alla scuola Agnesi sono stata tutto bene. Quando ero a Pechino mi piaceva scrivere in cinese". Ma intanto questo, su un cartoncino bristol accanto alla sua foto sorridente insieme ai genitori, Lili l'ha scritto in italiano. Lili che è una dei circa 700 bambini che l'anno scorso hanno frequentato i tre centri di alfabetizzazione che l'assessorato alla pubblica istruzione del Comune di Firenze ha attivato dal 2000 per sostenere, nel loro percorso scolastico, gli alunni stranieri appena arrivati in Italia. Centri che sono un ponte tra l'italiano e la Babele di lingue, etnie e culture che animano oggi le aule fiorentine: quei 700 ragazzini di elementari e medie inferiori iscritti ai corsi erano rappresentanti di 42 etnie e nazionalità diverse. Dalla Bolivia al Kazakistan alla Thailandia. Un ponte indispensabile: spesso l'unico per imparare una lingua che in famiglia gli adulti possono non essere in grado di insegnare ai figli. E' il caso per esempio dei cinesi. Quella cinese, in effetti, con il 33 per cento di iscritti, è la comunità più numerosa dei centri. Seguono i rom che sono il 12 per cento, albanesi 8, marocchini 6, peruviani 4.
L'etnia prevalente cambia da quartiere a quartiere. Nell'1, dove il centro di riferimento è l'Ulysse presso la scuola Agnesi, prevalgono gli albanesi. Nel quartiere 5 invece, al centro Gandhi presso la scuola Paolo Uccello, sono di più i cinesi. Albanesi di nuovo prevalenti nel quartiere 4, dove è attivo il centro Giufà alla scuola Barsotti. Negli altri due quartieri, il 2 e il 3, prevalgono albanesi e filippini, ma i centri di alfabetizzazione ancora non esistono (nel 2 l'apertura è prevista nel 2003, sede già individuata): gli operatori vanno direttamente nelle scuole a insegnare l'italiano. Dove invece sono attivi i centri, gestiti da associazioni e cooperative con specifiche competenze interculturali, i bambini (suddivisi in piccoli gruppi per età e per livello di conoscenza dell'italiano), seguono lezioni due o tre volte la settimana, mattina e pomeriggio. L'alfabetizzazione è gratuita, rientra nell'offerta formativa della scuola, le lezioni si fanno in orario scolastico. Il pulmino passa di scuola in scuola a raccogliere gli iscritti e li porta al centro. Qui, per tre mesi, apprendono attraverso giochi e disegni i primi rudimenti dell'italiano. E' un primo livello, e cioè la lingua per comunicare. L'impatto per i nuovi arrivati, catapultati dal loro paese in una realtà completamene diversa, senza conoscere una sola parola d'italiano, è indubbiamente difficile. La risposta cambia da bimbo a bimbo, ma anche in base alle etnie: i cinesi sono più introversi, poco comunicativi e hanno le maggiori difficoltà, gli albanesi svelti e già con un italiano orecchiato alla tv vista a Tirana con la parabola, gli arabi non si capacitano di certe vocali che non esistono nel loro alfabeto.
Finito il corso al centro, le lezioni si trasformano in laboratori e si svolgono direttamente nelle singole scuole: insegnanti, e mediatori culturali quando serve, vanno nelle aule e continuano a seguire il percorso formativo dell'alunno straniero, insegnando l'italiano a un secondo livello, quello che serve per lo studio. Il progetto generale, che ha un bel nome, "Viaggi negli alfabeti", coordinato da Maddalena Pilarski, non si ferma qui: nei centri ci sono lezioni di italiano gratuite per le mamme dei bambini che frequentano il centro, e corsi per valorizzare la lingua madre del ragazzino: per non dimenticare le radici.