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Repubblica-Genova-Diamo un senso al dopo 2004 senza bruciare il know how

IL DIBATTITO Diamo un senso al dopo 2004 senza bruciare il know how STEFANO FRANCESCA ...

19/12/2004
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la Repubblica

IL DIBATTITO
Diamo un senso al dopo 2004 senza bruciare il know how
STEFANO FRANCESCA


UN SENSO. Quello che invoca Vasco Rossi, con la sua musica che unisce generazioni alla ricerca di risposte, tra loro diverse, discordi fino al conflitto. Un senso è quello che chiede dalle colonne di Repubblica del 13 dicembre il "Contrappunto" di Franco Manzitti, capace di cogliere con coraggio e chiarezza il punto focale della sfida per il governo della Liguria.
La festa è finita: ex Superba, ex culla del Risorgimento, ex città industriale, ex capitale europea della cultura, Genova ha sete di futuro. Genova 2004 è stata una splendida avventura. Iniziato tra l'abituale sospettosità locale, il giro d'Europa e del mondo in 365 giorni si conclude con un bilancio positivo. Nel dibattito che ha accompagnato la fase preparatoria, spesso tra l'indifferenza, ricordo il principio più severo, forse, di selezione dei progetti: la "durabilità". Settima proposta per il nuovo millennio di calviniana memoria, la "durabilità" al pesto è il paradigma dell'assurdo.
"Cosa fanno i ragazzi?" si interroga Manzitti. Quelli di Genova 2004 tornano a casa. I più fortunati, la minoranza, tornano al proprio posto, rigorosamente in seconda fila, negli uffici comunali.
La città incassa e ringrazia, ma "qualcuno" ha deciso che per il gruppo che ha lavorato nella war room di Palazzo Ducale e per chi lo ha guidato con merito e capacità non ci può essere futuro. Perché?
La ricerca mission oriented sbarca sulle coste liguri, mentre la città dell'IIT decide di disperdere il know how di un'azienda finalmente vincente, che ha collaudato una metodologia della programmazione ed una capacità gestionale fondamentali. Svelare in quali sedi sia maturata tale scelta, quali motivi di opportunità abbiano prevalso o quale progetto alternativo sia stato preferito sarebbe un atto di trasparenza che permetterebbe alla comunità di valutare, giudicare e quindi sostenere o contrastare. Questo esempio mi permette di rilanciare sui contenuti della competizione elettorale. Nel 2005 si gioca una sfida definitiva. Dai mondiali di calcio al brillante anno europeo della cultura, per passare attraverso le Colombiane e il G8, Genova e la Liguria chiudono una fase. Gli ingenti flussi di capitali hanno riqualificato l'assetto urbanistico, senza innescare un circolo virtuoso di investimenti a medio-lungo termine, se si escludono quelli immobiliari.
città è più bella, più pulita, ma è sempre più difficile trovare un'occupazione. La città è irretita tra rendite di posizione e veti incrociati. Compito della politica sarebbe quello di rompere questi schemi per comporne di nuovi, più avanzati. La buona amministrazione senza respiro o peggio ancora l'esercizio del potere fine a se stesso o a pochi amici, alimenta un clima di disaffezione e sfiducia. Può creare consenso o addirittura far vincere le elezioni, ma confina un'intera comunità alla periferia delle nuove frontiere europee. Per seguire la metafora cara a Vincenzo Tagliasco, "è meglio impiegare il tempo per preparare altre torte, piuttosto che perderlo per studiare algoritmi sofisticati al fine di dividere l'unica torta in fette precise e rigorosamente proporzionali ai bisogni dei commensali affamati". Non ho ancora sentito parlare di diritto allo studio, di accesso al credito, di formazione, di università e ricerca, di basic income, di prestito d'onore, mentre la polemica sul Terzo Valico è asfissiante. Nella campagna elettorale fa vincere la Liguria chi assume come punto di vista proiettato verso il futuro quello delle giovani generazioni. I dati di una recente ricerca condotta col mio inseparabile amico e collega Luca Sabatini rivela che, su un campione di 4500 liguri, il 22,8% dei ragazzi tra i 18 e i 25 anni intervistati prova "disgusto" per la politica, nonostante il 56,1%, e tra essi una netta maggioranza di uomini, dichiari di "tenersi al corrente degli avvenimenti". Si informano attraverso la TV (67,9% nazionali e 3,0% le locali), i quotidiani (14,2%) e le assemblee (7,9%), e formano le proprie idee guardando la TV (30,7%), ma anche discutendone in famiglia (21,5%) e con gli amici (20,5%).
I giovani ? diceva Aristotele - sono fiduciosi perché non hanno ancora avuto il tempo di essere ingannati. A Genova il filosofo di Stagira deve essere caduto, da tempo, in disgrazia.
stefano francesca