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Repubblica-Gli errori di Bertinotti che convengono al Polo

Gli errori di Bertinotti che convengono al Polo EUGENIO SCALFARI Mi aspettavo, ovviamente, che sul mio articolo "Bertinotti e Berlusconi uniti nella lotta" (19 gennaio) piovessero le critich...

23/01/2003
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la Repubblica

Gli errori di Bertinotti che convengono al Polo

EUGENIO SCALFARI

Mi aspettavo, ovviamente, che sul mio articolo "Bertinotti e Berlusconi uniti nella lotta" (19 gennaio) piovessero le critiche di Rifondazione comunista. Debbo osservare che quelle critiche sono state quasi tutte accompagnate da espressioni di stima per i miei atteggiamenti passati e di rammaricato stupore per le tesi che ho sostenuto a proposito del referendum sull'estensione dell'articolo 18.
Le espressioni di stima pregresse mi hanno fatto piacere, lo stupore mi ha sorpreso: credevo di aver chiaramente spiegato perché ritengo improvvido quel referendum, era perciò quello il tema e non un mio preteso atteggiamento stalinista, critica in verità alquanto incongrua provenendo da persone che spesso hanno fondato le loro tesi politiche su processi alle intenzioni e condanne temerarie su questo o quel "compagno" non allineato sul loro modo di intendere e di volere.
Ma non perdiamoci in recriminazioni e andiamo subito alla sostanza. A proposito della quale mi sembra doveroso distinguere le critiche provenienti da persone che fanno parte del gruppo dirigente del partito (Grassi, Gagliardi) dalle lettere di militanti di base e di firmatari del referendum che non si riconoscono nell'analisi da me fatta e sintetizzata nel titolo dell'articolo in questione.
Fanno bene a non riconoscersi. Io infatti non ho preteso di analizzare le motivazioni che muovono i militanti e simpatizzanti di Rifondazione, del cui impegno civile e politico in favore d'una loro propria visione della sinistra non ho ragione di dubitare anche se posso dissentire sull'utilità di alcune delle conclusioni che essi ne traggono.
Diverso è il discorso sulle strategie e la linea del gruppo dirigente che, proprio per il ruolo che gli è proprio e per le responsabilità che ne derivano deve rispondere degli effetti che le sue decisioni producono non solo su Rifondazione ma su tutte le forze della sinistra dovunque collocate e comunque configurate. È qui che si pone il tema del referendum e di molte altre decisioni assunte in un passato non remoto che ancora incombe sul presente e sul futuro della sinistra italiana.

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La prima osservazione da fare in proposito è questa: nel momento in cui il gruppo dirigente di Rifondazione e quello della Fiom decisero di raccogliere le firme per indire il referendum sull'estensione dell'articolo 18 si consultarono con le altre organizzazioni politiche e sindacali che avevano sostenuto la necessità di difendere l'articolo 18 nella sua attuale formulazione? Si consultarono con i partiti della sinistra e con i sindacati, la Cgil in particolare, che aveva sostenuto tutto il peso di quella battaglia? Non risulta che questa consultazione ci sia stata né - e questo è ancora più grave - che si sia tenuto conto della riluttanza e addirittura del parere negativo che su quel referendum fu manifestato dalla maggior parte di quei soggetti politici e sindacali, a cominciare dalla stessa Cgil di Cofferati e di Epifani, nel momento stesso in cui cominciarono a raccogliersi le firme necessarie. Rifondazione e Fiom andarono avanti in una non-splendida solitudine, atteggiamento comprensibile per posizioni affidate al dibattito parlamentare o ai programmi elettorali di un partito, ma non per consultazioni referendarie che debbono ubbidire ad una logica trasversale se non vogliono votarsi fin dall'inizio ad una cocente sconfitta.
La seconda osservazione parte proprio da questo punto: quante sono le probabilità, anzi le possibilità che al referendum il "sì" risulti vincente? Nessuna. Un qualsiasi "bookmaker" lo darebbe a uno su un milione. Si trattasse di scommesse sui cavalli un giocatore spericolato potrebbe anche essere indotto a tentare, sedotto dall'altezza del premio; ma uomini politici responsabili non possono coinvolgere il proprio esercito in una guerra d'avventura la cui conclusione è scritta in partenza e compromette le sorti non soltanto di un partito e d'una organizzazione sindacale ma di tutto un vasto schieramento d'opinione cui è affidata l'opposizione politica, parlamentare, sociale, per contrastare la forza e i disegni della maggioranza governante.

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Perché l'esito del referendum è segnato? Perché esso sostiene una riforma che non ha eco in nessuno dei settori della pur variegata Casa delle Libertà; perché è respinto da settori non marginali dello stesso Ulivo e soprattutto perché rischia di spostare dal centrosinistra al centrodestra alcuni segmenti importanti della società: artigiani, piccoli commercianti, piccoli imprenditori. Si tratta d'una parte oltremodo vitale e produttiva del nostro paese che in buon numero è tradizionalmente con la sinistra ma che non reggerebbe a ulteriori penalizzazioni della propria libertà di combinare insieme i fattori della produzione per reggere la concorrenza e accrescere la competitività.
Dunque - incalzano i sostenitori del quesito referendario - il diritto al reintegro è intangibile per i lavoratori delle aziende con 15 e più dipendenti e cessa d'esser tale per quelli occupati in aziende di minori dimensioni? Risposta: il diritto esteso a tutti è quello della giusta causa; da sempre esso è stato diversamente modulato per le imprese al di sopra o al di sotto di una certa soglia in considerazione della diversa natura della piccolissima azienda e di quella artigianale. L'estensione va fatta nella certezza e nell'equa misura dell'indennizzo, nell'applicazione della giusta causa a tutti i lavori atipici, nell'inserimento di tutti i lavoratori privi di lavoro nei processi di formazione: materie essenziali che soltanto una legge può prevedere.
Obiezione: una legge del genere non passerà di fronte alla forza contrastante della maggioranza berlusconiana. Risposta: è possibile ma non sicuro. Una legge del genere può trovare appoggi trasversali, vede compatto tutto il centrosinistra, non suscita sbandamenti nei settori artigiani e nelle micro-imprese che simpatizzano con la sinistra, in particolare nel Nord-Est, in Liguria, in Piemonte e in tutte le regioni centro-settentrionali.

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I promotori del referendum hanno lanciato una (improvvida) iniziativa che conviene al Polo? Personalmente ne sono convinto; oggettivamente è un fatto certo e basta a confermarlo l'esultanza con la quale la falange berlusconiana ha accolto la sentenza di ammissibilità della Consulta. Ho già sviluppato questo aspetto della questione nel mio articolo di domenica scorsa, sicché non mi ripeto.
Ne erano essi consapevoli? Forse sì, forse no. Ma il punto non è tanto questo quanto che il gruppo dirigente di Rifondazione ha sempre avuto come propria linea di condotta il motto - del resto tipico delle forze ideologicamente rivoluzionarie - del "tanto peggio tanto meglio", una linea di condotta sciagurata per la democrazia e per la sinistra.
Il "tanto peggio tanto meglio" è un regalo fatto alla destra più retriva, al "law and order" concepito e attuato nei modi più reazionari e autoritari. All'ombra di quella linea di condotta talvolta le "sette" riescono a preservare la propria esistenza per un futuro senza scadenze, ma non può esser questo l'orizzonte entro il quale si muovono i grandi partiti e i grandi movimenti democratici.

Post Scriptum. Ho letto, ma senza stupirmene, l'articolo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di lunedì. È pieno di riconoscimenti alla coerenza e alla onestà intellettuale dei promotori del referendum e di asprissime critiche contro Cofferati e i movimenti che lo seguono. Non avevo bisogno di questa conferma perché l'avevo largamente prevista, ma è comunque puntualmente arrivata. Dovrebbero rifletterci su con attenzione i militanti e simpatizzanti di Rifondazione: se riscuotono gli apprezzamenti di Panebianco e al tempo stesso le mie critiche qualche ragione ci sarà.