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Repubblica-Il sindacato orfano dei partiti

Il sindacato orfano dei partiti ILVO DIAMANTI COSA è destinato a diventare il sindacato nel bipolarismo della seconda Repubblica? La questione è importante, perché il sindacato ha costit...

24/11/2002
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la Repubblica

Il sindacato orfano dei partiti
ILVO DIAMANTI
COSA è destinato a diventare il sindacato nel bipolarismo della seconda Repubblica? La questione è importante, perché il sindacato ha costituito parte importante nel sistema politico della prima Repubblica. Ma ha svolto un ruolo rilevante anche nella transizione degli Anni 90. Attore centrale della concertazione, con governo e Confindustria, che ha permesso al paese di superare la recessione economica, e ancor più la crisi di legittimazione delle istituzioni e della politica. Premessa all'ingresso dell'Italia nell'Unione monetaria europea, nel '98. Oggi, invece, è lacerato. Cisl e Uil che negoziano con il governo e le associazioni imprenditoriali. La Cgil orientata in senso antagonista. Principale attore della mobilitazione e della protesta politica, in questa fase.
È come se il bipolarismo, mentre s'afferma nel sistema politico, avesse riprodotto i suoi effetti nel sindacato. Trasferendogli i suoi mali. Perché il bipolarismo italiano è, sicuramente, incompiuto. Fondato sulla reciproca delegittimazione fra i poli. Secondo l'indagine su "Gli italiani e lo Stato", condotta da Demos, che verrà pubblicata la prossima settimana su Repubblica e sul Venerdì, i due terzi degli elettori di centrosinistra ritengono che il governo non rispetti le regole della democrazia. Oltre la metà degli elettori di centrodestra pensano lo stesso dell'opposizione. La frattura, esplicita nella classe politica, si riflette, dunque, nella società.

bipolarismo è diventato dualismo. Anche nel sindacato.
Non è abituato, d'altronde, il sindacato italiano, al bipolarismo maggioritario. È nato dai partiti, in tempi di proporzionale, quando le persone votavano (e, in parte, s'iscrivevano al sindacato) sulla base di fedeltà ideologiche radicate. In tempi in cui non c'era alternanza. Per questo, l'autonomia, faticosamente perseguita dalle diverse confederazioni (seguendo percorsi specifici), non turbava più di tanto i partiti di massa. Oggi il quadro è diverso. Il sindacato, organizzazione forte, diffusa sul territorio, è in grado di garantire sostegno, oppure di alimentare dissenso. Spostando gli equilibri fragili del consenso elettorale.
Conta, poi, la crisi della concertazione fra governo, sindacati e associazioni imprenditoriali, che ha funzionato, in Italia, fino al '98, Quando l'ingresso nell'Unione monetaria ha indebolito, quasi sbriciolato, il ruolo. Visto che a vincolare i parametri della finanza e dell'economia non serve più un istituto di relazioni fra organizzazioni di interessi: ci pensano gli organismi della Ue e della Bce. Peraltro, è sempre più evidente che le associazioni d'interesse non rappresentano più il loro mondo. C'è un'area del lavoro sempre più ampia che sfugge al sindacato: i lavori flessibili, interinali, i contratti di collaborazione, ecc. E, al tempo stesso, è evidente che l'imprenditorialità non è più rappresentata da Confindustria: il lavoro autonomo, l'artigianato, le mille e mille partite Iva, hanno altri e diversi canali di rappresentanza. Infine, dentro Confindustria ha perso peso la componente che, in passato, la "governava": i grandi imprenditori (oggi in estinzione). Così, anche Confindustria tende a diventare un'associazione di piccoli imprenditori. Fra le altre. Il governo, per la prima volta, salvo la parentesi breve del '94, esprime forze politiche perlopiù lontane dalle tradizioni del sindacato. In più, al suo interno hanno spazio posizioni ostili al sindacato, non solo per tradizione, ma anche per scelta culturale: in nome del liberismo, della società aperta. Infine: la crisi economica interna e internazionale ne ha impoverito la disponibilità di risorse. Per cui, anche volendolo, ha poco da scambiare.
Da ciò la crisi nel modello di relazioni industriali che abbiamo conosciuto in questi anni. Che ha trovato diverse soluzioni. La Confindustria ha seguito l'esempio prevalente nei sistemi bipolari europei, garantendo il sostegno al centrodestra e quindi al governo. Mentre nel sindacato le strade si sono divise, in sintonia con il diverso retroterra delle diverse organizzazioni. La Cgil ha una tradizione di sinistra e una base che per i due terzi vota per l'Ulivo e Rifondazione. La Cisl, invece, ha visto scomparire i suoi partiti di riferimento: Dc e Psi. Mentre il tentativo di D'Antoni di riprodurne il ruolo, attraverso una forza politica neodemocristiana, ha sortito esiti poco rilevanti e significativi.
La Cgil, per questo, ha risposto riproponendo il modello antagonista, impostato sull'identità. Inoltre, guidata da Cofferati, ha mobilitato un'ampia protesta sociale, in una fase di debolezza e di scarsa visibilità dell'opposizione. Simmetricamente a Confindustria, ha garantito un sostegno importante al centrosinistra. E, data l'incertezza e la frammentazione di quest'area, ambisce a diventarne l'azionista di riferimento. La Cisl, anch'essa echeggiando la tradizione, ha scelto, invece, la strada pattizia. Il negoziato. Il pragmatismo. Per evitare che le differenze politiche che ne attraversano la base divengano lacerazioni. Per evitare di finire subalterna alla Cgil, nel sostegno al centrosinistra.
Così il dualismo politico ha contagiato anche il sindacato. E rischia di indebolirne le posizioni sul piano contrattuale e su quello politico. Il dubbio viene leggendo i dati dell'indagine Demos-Repubblica, cui abbiamo fatto riferimento. Nella primavera del 2001 esprimevano fiducia nel sindacato confederale il 27% dei cittadini. Oggi gli indici di fiducia si differenziano: il 24% del campione ha fiducia in Cisl e Uil, il 36% nella Cgil. Mentre la fiducia nelle associazioni imprenditoriali cala dal 32% al 26%. Se ne potrebbe desumere che il bipolarismo sindacale porti bene solo alla Cgil. Ma il discorso non è così semplice. Il dato della Cgil, infatti, non ne registra solo il consenso, ma anche un certo grado d'accentuazione ideologica. Il suo livello di fiducia, infatti, cresce tra gli elettori via via che ci si sposta a sinistra e raggiunge il massimo nella base di Rc. Inoltre, raccoglie consensi elevatissimi fra i pensionati e fra le persone di età più matura. Delinea un orientamento militante. Che può spingerne i leader a privilegiare la rivendicazione simbolica su quella contrattuale. Ma per i lavoratori, ancor più in questa fase, la risorsa simbolica non può compensare la domanda di risposte concrete, a tempi brevi (reddito, lavoro, ecc.). Inoltre, questa posizione può costituire non solo un punto di forza, per il centrosinistra; ma anche un limite nei confronti dei settori più moderati (la fiducia nella Cisl, fra gli elettori della Margherita è molto elevata); e un ostacolo, nel dibattito sulle riforme (necessarie), sull'innovazione in tema di welfare, di mercato del lavoro. Quanto alla Cisl e alla Uil (anche se il livello ridotto di fiducia nei loro confronti riflette, in parte, le di motivazioni, più pragmatiche, che ne spiegano l'adesione) il segretario nazionale della Cisl, Pezzotta, in un seminario nazionale svoltosi ieri a Grosseto, ha definito la sua idea del rapporto fra sindacato e politica, a-partisan. Fuori dal gioco dei partiti. In tempi di "dualismo", però, è difficile "restare fuori", evitare le etichette. Tanto più se l'interlocutore politico, il governo, ha risorse scarse e incerte da "scambiare" con le parti sociali. La ricerca di autonomia, espressa dalla Cisl e dalla Uil, peraltro, esige, per non rischiare la marginalità, progetti forti a cui ancorare le rivendicazioni; idee e persone in grado di tradurle. Ciò che la vicenda del Patto per il lavoro non ha rivelato.
Così, il sindacato nell'era bipolare rischia di dividersi. Fra l'orgoglio di bandiera e il rito di una concertazione fragile. Fra impegno partisan e a-partisan. Fra voglia di rifondare la sinistra e di ancorarsi al centro oppure "oltre". Dieci anni dopo: vittima della decomposizione politica che ha sgranato il sistema politico.