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Repubblica: L´Ocse: così i ritardatari pesano sulla collettività

Gli sprechi in ateneo ripetenti e fuori corso "bruciano" 4 miliardi

06/01/2009
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la Repubblica

Uno studente italiano costa allo Stato 5.451 euro all´anno. Chi si ferma in ateneo oltre i limiti è un peso ulteriore
Su un milione e ottocentomila iscritti, 736 mila hanno incontrato difficoltà con materie ed esami. Il 22% è inattivo
SALVO INTRAVAIA

Ripetenti e fuori corso bruciano 4 miliardi di risorse universitarie l´anno. Lo spaventoso costo per la collettività di un sistema che annaspa, emerge dagli ultimi dati pubblicati dal Cnvsu (Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, Rapporto 2008) e dall´Ocse (Education at a Glance 2008). Secondo il primo, in Italia il 40,7 per cento degli studenti universitari non è in regola con gli studi: sono appunto i ripetenti e i fuori corso. Su 1.810.101 ragazzi e ragazze iscritti (anno accademico 2006/2007) 736.711 hanno incontrato difficoltà con materie ed esami. Una consistente fetta (il 20 per cento) ha dato forfait dopo il primo anno di lezioni. E il 22,3 per cento del totale, viene definita "inattiva": non dà esami o non acquisisce crediti per un anno intero. Altri infine riescono a laurearsi solo dopo avere cambiato facoltà: sono i cosiddetti laureati "non stabili" che nel 2007 hanno raggiunto la cifra record del 33,2 per cento. Nel 2001, in luogo delle materie, l´università ha introdotto i crediti formativi universitari (Cfu). Per conseguire la laurea di primo livello occorre racimolarne 180 in un triennio (60 all´anno), per quella specialistica (biennale) 120. Tutte cifre che danno l´idea di un´università ad ostacoli che brucia una consistente fetta del suo bilancio. Secondo l´Ocse (l´Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) uno studente italiano costa alla collettività (dato 2005) 7.420 dollari Usa, pari a 5.451 euro l´anno, e basta moltiplicare questa cifra per gli oltre 736 mila studenti che arrancano per totalizzare una cifra attorno ai 4 miliardi di euro. Infatti, ripetenti e fuori corso permangono all´interno del sistema almeno un anno in più del previsto (tre anni per la laurea di primo livello, 5 per quella specialistica) gravando sul bilancio dello Stato. Le tasse universitarie che le famiglie degli studenti sborsano (in media 726 euro l´anno per studente) coprono una minima parte delle spese che lo Stato sostiene per gli stipendi dei docenti, per affittare e mantenere in piedi gli edifici e attrezzare i laboratori. Anche perché il 26,7 per cento degli studenti gode di un esonero totale o parziale. Il solo personale docente (ordinari, associati, ricercatori, assegnasti e collaboratori linguistici) e di segreteria consuma quasi 8 dei 12,4 miliardi che ogni anno ci costa l´università. Insomma: se tutti i ragazzi italiani si laureassero in regola si potrebbero risparmiare 4 miliardi. Sul banco degli imputati è il cosiddetto orientamento: l´insieme delle azioni messe in campo dalle scuole superiori e dagli atenei per orientare le scelte delle new entry e di coloro che proseguono gli studi allo scopo di evitare o ridurre gli abbandoni. Ma il rapporto Cnvsu punta il dito anche sul boom di corsi, materie e sedi universitarie. Negli ultimi sei anni i corsi di studio sono passati dai 2.444 ante riforma a 5.734. Il numero degli insegnamenti ha fatto registrare un exploit (da 116.182 sono diventati 180.001) con 71.038 che valgono al massimo 4 crediti. Su 3.373 lauree di primo livello e lauree specialistiche a ciclo unico i corsi con meno di 10 immatricolati sono 340. «Il sistema universitario italiano - spiega il rapporto - è stato caratterizzato, negli anni recenti, da una forte crescita delle sedi didattiche». Sono 272 i comuni italiani sede di almeno un corso di studio: 56 sono sede di ateneo e 216 di sedi decentrare. Di queste ultime un quarto ha meno di 20 immatricolati. «In passato - continua il dossier del Cnvsu - i costi addizionali delle piccole sedi venivano coperte dagli enti locali» ma i recenti tagli previsti dalla Finanziaria «mettono a rischio la sostenibilità del sistema».