Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Repubblica-La sfida alle armi del movimento pacifista

Repubblica-La sfida alle armi del movimento pacifista

La sfida alle armi del movimento pacifista Chi è sceso in piazza rifiuta il nuovo ordine mondiale dove comanda uno solo CURZIO MALTESE Quelle fra ricchi e poveri non si dovrebbero neppure...

21/03/2003
Decrease text size Increase text size
la Repubblica

La sfida alle armi del movimento pacifista

Chi è sceso in piazza rifiuta il nuovo ordine mondiale dove comanda uno solo
CURZIO MALTESE

Quelle fra ricchi e poveri non si dovrebbero neppure più chiamare guerre. Nella Tempesta nel Deserto del '91 sono morti 150 mila iracheni e una sessantina di occidentali, la metà per il cosiddetto "fuoco amico". Le prime immagini da Bagdad confermano ora i penosi sentimenti della vigilia. È come assistere a un incontro di boxe fra Mike Tyson e un bambino di nove anni. Gli orrori del regime di Saddam, troppo a lungo tollerati e anzi favoriti dall'Occidente, sono naturalmente fuori discussione. Ma è sulla soluzione armata e sul nuovo ordine mondiale del dopoguerra che le visioni rimangono distanti. Qui si combatterà l'altra guerra, davvero lunga e difficile, con i suoi generali, le sue vittime, i suoi strateghi, i falsi allarmi e le bombe più o meno intelligenti lanciate dall'alto sul terreno dei media.
L'Italia "non belligerante", rapidamente uscita dalla scena politica e militare, è in prima linea sul fronte dell'opinione pubblica. Non soltanto per la presenza a Roma del più autorevole e deciso oppositore della dottrina Bush, il Papa, e nel Paese di uno dei più grandi movimenti pacifisti del mondo, come testimoniano anche i cortei di ieri. Ma anche perché qui la battaglia dell'opinione si è già combattuta e ha visto la vittoria dei pacifisti.
Comunque la si pensi, la svolta o le svolte del governo Berlusconi sono cominciate dopo i tre milioni in piazza San Giovanni del 15 febbraio. Se l'Italia non è in una guerra che il governo considera "legittima e necessaria", se insomma "vorrebbe ma non può" fare la guerra, è grazie alla mobilitazione dell'opinione pubblica.
La dottrina Bush e il movimento pacifista saranno i protagonisti del dopoguerra. Non più l'Onu né l'Europa divisa né le istituzioni internazionali che il braccio di ferro di questi mesi ha rivelato di colpo deboli e vecchie.
Nuovi e forti sono i due soggetti, le super potenze rimaste. È inedita la strategia della Casa Bianca. Nessuno aveva mai teorizzato la "guerra preventiva", nemmeno l'impero romano. Si tratta, secondo chi la propugna, di una soluzione alle tensioni fra Nord e Sud della terra e alla sfida del terrorismo internazionale. Secondo chi la contesta, si tratta della più clamorosa fuga dalla realtà concepita da una presidenza americana negli ultimi decenni. Un non voler prendere atto che sono le crescenti disuguaglianze fra ricchi e poveri a produrre i mostri di Osama Bin Laden e Saddam Hussein e non viceversa, una specie di guerra santa dei ricchi. In ogni caso, la dottrina Bush è un progetto globale e ambizioso, così come lo è il nuovo pacifismo. La formula pacifismo uguale antiamericanismo è bolsa retorica da guerra fredda. Fra l'altro, chi la sostiene non rende un buon servizio agli Stati Uniti. Se valesse davvero l'equazione, Bush dovrebbe prepararsi a bombardare i quattro quinti del pianeta.
Il nuovo pacifismo è qualcosa di meno e qualcosa di più di un movimento politico. È il rifiuto del nuovo ordine mondiale deciso da uno solo, la difesa in buona parte istintiva e spontanea da un modello unico e indiscutibile. Qualcosa insomma di profondamente radicato nei valori democratici dell'Occidente, quindi lontanissimo dall'antiamericanismo filosovietico del passato. Per queste ragioni il pacifismo ottiene consensi crescenti senza bisogno di solide strutture organizzative. Per questo riesce a trovare per strada alleanze impensabili, la vecchia Europa e la Russia, la Cina comunista e il Papa. Ma soprattutto attira e battezza alla politica un'intera generazione, i giovani destinati a vivere domani nel nuovo ordine costruito oggi con i bombardieri. Il Novecento, il secolo dei massacri, ha visto al principio scendere in piazza una gioventù interventista. Questo secolo si apre con i cortei dei giovani pacifisti e non è un piccolo progresso.
La guerra in Iraq, dicono gli esperti, si concluderà in pochi giorni con la vittoria di Usa e Gran Bretagna e tanti morti innocenti da nascondere agli occhi del mondo. Il conflitto fra la dottrina Bush e il movimento per la pace è invece destinato a durare e non è detto che l'esercito più forte della storia serva a vincerlo. Un anno e mezzo dopo l'11 settembre l'America di Bush si ritrova quasi da sola, con una politica delle armi che non riesce a sostituirsi alle armi della politica. Fra un anno e mezzo in America si voterà. È difficile immaginare che la guerra permanente di Bush possa diventare per allora la terra promessa, la nuova frontiera dell'umanità.