Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Repubblica-Quelle aule tristi e cadenti chiamate "scuola"

Repubblica-Quelle aule tristi e cadenti chiamate "scuola"

Quelle aule tristi e cadenti chiamate "scuola" CORRADO AUGIAS EGREGIO dottor Augias, sono un'insegnante in pensione. Per quarant'anni ho attraversato la vicenda della scuola italian...

23/11/2002
Decrease text size Increase text size
la Repubblica

Quelle aule tristi e cadenti chiamate "scuola"

CORRADO AUGIAS

EGREGIO dottor Augias, sono un'insegnante in pensione. Per quarant'anni ho attraversato la vicenda della scuola italiana masticando rabbia e delusione. All'inizio, vincitrice di cattedra, venni sbattuta "per premio" in una graziosa cittadina del Nord Est. Scuola nuova, ben costruita, poche classi. Nei giorni più freddi dai rubinetti usciva acqua calda!
Anni Sessanta, ricordi di gioventù. Non ho più avuto quella fortuna. Dal Veneto mi sono trasferita a Roma, dalle medie alle superiori, dalla periferia al centro. Vecchi edifici, aule brutte, spesso umide a causa di infiltrazioni, infissi cadenti, intonaci scrostati, porte che non chiudevano, alunni costretti su sedie scomode. Non lamentiamoci se le nuove generazioni non sono in grado di ragionare, anche l'ambiente in cui vivono tante ore al giorno incide su formazione e profitto. Ho sprecato anni della mia vita in interminabili consigli d'istituto per cercare di risolvere problemi d'ogni tipo, dal tetto che perdeva alla palestra inagibile. I presidi tempestavano di fax, telefonate e telegrammi la Circoscrizione (ora Municipio) e il Comune. Di tanto in tanto arrivava un operaio a fare qualche lavoretto, oppure ci si arrangiava con uno stralcio di bilancio, l'aiuto dei genitori, magari degli stessi studenti.
Oggi la tanto decantata autonomia non è certo in grado di affrontare o migliorare l'edilizia scolastica, le scuole non hanno soldi, il bilancio è appena sufficiente a coprire le spese correnti, la cancelleria. I Comuni sono al verde e nella Finanziaria sono stati cancellati 200 miliardi di vecchie lire. Un'indagine ha rivelato ciò che noi vecchi operatori sapevamo già: in 57 istituti su cento, nelle 10.800 scuole pubbliche italiane, manca il certificato di stabilità. C'è bisogno di commenti?
Carla Morpurgo Forlani
Roma
SÌ GENTILE professoressa, c'è bisogno di molti, reiterati, commenti. Sappiamo tutti che ciò che lei scrive è vero, che molte scuole sono tristi, cadenti, insicure e a pensare di dover passare mesi e anni in quelle aule si stringe il cuore. Cerco di conservare sempre un certo equilibrio nei giudizi ma confesso che non sempre ci riesco parlando di scuola. Dirò di più, per la prima volta nei giorni scorsi ho apprezzato il comportamento del ministro Letizia Moratti che ha reagito anche lei con la rabbia e le lacrime davanti all'ultimatum del ministro dell'Economia (e del presidente del Consiglio) che le negavano perfino i pochi soldi promessi. Sono curioso di vedere come andrà a finire.
Sono anche curioso di vedere se i soldi che non si sono trovati per la scuola si troveranno invece per una inutile, rischiosa, riforma federalista che farà a pezzi l'Italia. E sono anche curioso di vedere come reagiranno davanti a quella riforma gli eredi del nazionalismo, quelli che fino all'altro ieri si salutavano romanamente gridando "Viva l'Italia!". Tutto questo avviene mentre il sistema scolastico è collassato, il rapporto tra popolazione e laureati è di 8,7 (Gran Bretagna: 23,6), investiamo per la ricerca la metà degli altri partner europei, il rapporto tra docenti e studenti è di 1 a 33 rispetto all'1 a 13 della Germania e all'1 a 9 della Svezia. Il sospetto orribile è che si saccheggino le risorse della scuola per cercare di mantenere promesse elettorali insostenibili e irresponsabili.