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Repubblica-Questa Italia in fuga dal privato

Questa Italia in fuga dal privato ILVO DIAMANTI È da un anno, circa, che il clima socia...

02/03/2003
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la Repubblica

Questa Italia in fuga dal privato
ILVO DIAMANTI


È da un anno, circa, che il clima sociale è cambiato; in particolare, il modo di porsi delle persone nei confronti delle questioni e degli eventi di rilievo pubblico. Dopo un decennio di scarsa disponibilità a partecipare, assistiamo da qualche tempo al ritorno delle folle. Movimenti, manifestazioni, ma anche aggregazioni spontanee. Persone che, a migliaia, scendono in strada, nelle piazze, per protestare, contestare. Ma anche per comunicare solidarietà, dolore, condivisione. A costo di mischiare fenomeni di diverso segno, possiamo catalogare, in questo repertorio eterogeneo: i girotondi, le marce per la pace (Assisi), i meeting dei giovani cattolici raccolti attorno al Pontefice, le manifestazioni sui temi del lavoro e in difesa dell'articolo 18, quelle contro la guerra dell'ultimo mese. Ma anche, con qualche libertà, l'afflusso eccezionale di "gente comune" in occasione della cerimonia funebre di personaggi pubblici assolutamente diversi fra loro: l'avvocato Agnelli, il cantautore Giorgio Gaber, l'attore Alberto Sordi. È come si fosse concluso un ciclo della nostra storia recente, nel quale la protesta era espressa da soggetti "speciali", centrata su obiettivi "specifici"; mentre la partecipazione '#8211; anche la più polemica '#8211; avveniva, prevalentemente, attraverso forme istituzionalizzate; socialmente invisibili. Parallelamente, è come si fosse aperta un'altra epoca, segnata dal moltiplicarsi delle occasioni per manifestare su tematiche tanto ampie (oppure, al contrario, piccole: private, come la celebrazione di un lutto) da apparire generiche e indefinite; spesso prive, comunque, di un fine e di un interesse concreto.
E la nuova effervescenza sociale non ha solo basi di sinistra
Ora c'è una svolta: la protesta si è diffusa e la mobilitazione generalizzata
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
ILVO DIAMANTI


GLI ANNI 90. Dopo la caduta del muro e della prima Repubblica, e per tutto il decennio: la "società civile" contro il sistema politico e le istituzioni. Una divisione per molti versi manichea. Riassume la società, al di là delle categorie, delle religioni, delle stesse ideologie, peraltro in declino. Un'entità sociale senza volto che protesta per "cambiare". In nome del "nuovo". Persone che manifestano, perlopiù, senza manifestarsi. Approfittano di occasioni "pubbliche": i referendum, le elezioni, per esprimere il loro dissenso. Si affidano ad attori politici di protesta: la Lega Nord, in primo luogo. Ma non solo. Anche a figure istituzionali, come i magistrati. Si rispecchiano nei media, dove si celebra il rito della piazza contro i politici corrotti, contro i partiti e lo Stato lontani dalla società buona. Ciò che accomuna queste diverse forme di "protesta esplicita" è che non generano partecipazione visibile; ma perlopiù invisibile. E' il malessere che si respira, ma per materializzarsi ha bisogno di trasfert mediatici, di "imprenditori politici della sfiducia". È un decennio, gli anni 90, nel quale il massimo distacco nei confronti della politica e delle politiche pubbliche coincide con il minimo di conflittualità sociale. Anni di "concertazione" fra sindacato, industriali e governo, durante i quali gli scioperi si attestano sui livelli più bassi degli ultimi decenni. L'insoddisfazione sociale, oltre alla voglia di "nuovo" in politica, si concentra su obiettivi, almeno in apparenza, ben definiti: fisco, territorio. Più avanti, la sicurezza personale. Neoliberismo e federalismo; in alcuni momenti, secessione. Fonte di manifestazioni che moltiplicano il dissenso, più della partecipazione. La Lega, i suoi militanti, nel 1996, scendono lungo il Po, dalle sorgenti fino a Venezia, in poche decine di migliaia. Ma infiammano il clima estivo, già torrido, attraverso una campagna mediatica dai toni violenti. Artefici di una protesta che interpreta una maggioranza rumorosa. Ma invisibile. Così, altri epigoni, piccoli e grandi: la Life, le manifestazioni contro le politiche fiscali promosse dalle categorie imprenditoriali e, successivamente, dal centrodestra.
Invisibile, per molti versi, è anche la mobilitazione attorno al risultato più importante conseguito dal governo dell'Ulivo: l'ingresso nell'Unione monetaria Europea. Condiviso dai cittadini, al punto da costringere, nell'autunno 1997, Rifondazione Comunista a rimangiarsi la decisione di uscire dal governo, travolta dalla pressione della sua stessa base; e da convincere gli italiani, in piena epoca di malessere fiscale, a pagare centinaia di migliaia di miliardi (in vecchie lire) di tasse, senza rivoluzioni; solo con molte, comprensibili, proteste; espresse ciascuno a casa propria; al più servendosi degli "specialisti della protesta politica".
Sono passati pochi anni da allora. Ma sembra un'altra epoca. La questione territoriale, il dibattito sul federalismo, non emozionano più. Preoccupano il Sud, invece del Nord. Ma, soprattutto, la protesta si è diffusa, la mobilitazione generalizzata. I conflitti sindacali hanno raggiunto livelli, in un anno, pari a quelli dell'intero decennio. Per il deteriorarsi della realtà economica e dell'occupazione. Ma non solo. Il massimo grado di rivendicazione sociale è avvenuto in seguito al contrasto con il governo attorno all'articolo 18. Un tema a elevato valore simbolico, più che dal concreto impatto sul mercato del lavoro. La partecipazione invisibile su argomenti definiti si è tradotta in mobilitazione visibile ed esplicita, attorno a temi meno definiti. Non più il territorio, il fisco, le riforme istituzionali, l'insicurezza privata. Ma i diritti, la libertà di informazione e di comunicazione, la pace e la guerra, l'insicurezza globale. Si potrebbe eccepire, a questa analisi, che il motore della nuova protesta e della nuova mobilitazione stia nel cambio di maggioranza politica; nell'ostilità verso il governo guidato da Berlusconi. Ma è una spiegazione insoddisfacente. Perché la mobilitazione sociale non è stata guidata dai partiti d'opposizione. I quali, anzi, ne sono stati sorpresi e spiazzati. Perché, inoltre, non ha solo basi di sinistra, questa effervescenza sociale. È che oltre un decennio segnato dalla protesta attorno a temi materialisti e di ingegneria istituzionale, dalla chiusura nel privato, nelle cerchie e dentro alle mura amiche, dalla mediazione dei media e in particolare delle tivù, ha alimentato frustrazione. Delusione. E ha favorito il ritorno di argomenti (il lavoro, la pace), che evocano valori, più che interessi. Ha, inoltre, generato partecipazione visibile, che riflette, almeno in parte, ricerca di identità e di comunità. Si svolge, questo percorso, attraverso manifestazioni di piazza; o il dialogo fitto fra bandiere della pace, che si affacciano, ogni giorno più numerose, alle finestre delle case. Ma defluisce, al contempo, in manifestazioni di solidarietà e condivisione, come quelle che hanno caratterizzato alcune cerimonie funebri recenti. Possono assumere forme, talora, irrituali, perfino chiassose, come nel caso dei funerali di Alberto Sordi. Oppure quelle, composte e silenziose, registrate in occasione della morte di Gianni Agnelli, attorno al cui feretro si è stretta la città. Ma, anche in questi eventi, più che la tendenza a spettacolarizzare e a mondanizzare il lutto, si può cogliere la richiesta di riconoscimento attraverso figure simbolo, che hanno personalizzato la storia del Paese. I suoi difetti e le sue qualità, le sue disfatte e le sue imprese.
Pare quindi si stia affacciando una nuova domanda di "felicità pubblica" (e di "fuga dal privato"). Che tuttavia comunica un senso di vuoto. Non ha trovato, fin qui, rappresentanza, questa mobilitazione visibile e diffusa. Perché la classe politica e i partiti oggi al governo sono eredi e interpreti di una stagione passata e probabilmente chiusa. Perché la classe politica e i partiti di centrosinistra l'hanno inseguita. Agendo da comparse. Di una rappresentazione che è alla ricerca, febbrile, di interpreti e autori.