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Repubblica-Una sinistra seria contro il declino del paese

Una sinistra seria contro il declino del paese All'opposizione serve un leader e un partito che sappiano far appello alle risorse più profonde degli italiani, come avvenne nella ricostruzi...

22/10/2002
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la Repubblica

Una sinistra seria contro il declino del paese

All'opposizione serve un leader e un partito che sappiano far appello alle risorse più profonde degli italiani, come avvenne nella ricostruzione dopo la guerra
L'Italia sta perdendo terreno nei confronti degli altri partner europei L'arretramento economico e commerciale è avvenuto in tempi rapidissimi
Sta venendo meno l'ossatura di una nazione: la certezza del diritto e l'uguaglianza di fronte alla legge, fattori essenziali che consentono a ricchi e poveri di stare insieme
ALFREDO REICHLIN

Bisogna augurare pieno successo al tentativo di rivitalizzare l'Ulivo dando a esso nuove regole. Continuo a chiedermi, però, perché i capi dell'Ulivo non provano una volta tanto a partire dal dramma che sta vivendo il paese? Forse perché sono divisi? Oppure perché non avvertono che sta qui, nella novità della situazione, la condizione per fare il salto, passare dalla necessità (a parole) di una grande alleanza progressista alla concreta possibilità di metterla con i piedi per terra. E provo a dire perché.
La mia impressione è che il ceto politico non ha ancora capito quali problemi nuovi e grandissimi si porranno ben presto alla politica e ai disegni dei suoi leader. L'Italia repubblicana è a un passaggio molto difficile della sua vicenda storica. Si fanno evidenti i segni di una difficoltà crescente a rimanere nel novero dei grandi paesi industriali che contano, quelli che producono non solo merci ma scienza, cultura moderna, innovazione. Quando anche l'ultimo grande patrimonio industriale italiano - la Fiat - non tiene più il campo questo è il segno che anche il profilo identitario della Repubblica si sta rimpiccolendo. Il rischio reale è che - senza una nuova guida anche etico-politica - la strada della decadenza sia senza ritorno. A questo punto tutti sono chiamati in causa perché gran parte delle vecchie divisioni e dei vecchi calcoli di potere sono anacronistici. Sono le cose che impongono a tutti (ai partiti, ai movimenti, ai sindacati) di misurarsi con la durezza dei fatti. E il fatto principale è questo. Al termine di un decennio molto travagliato che (grazie anche alla sinistra) ha visto pure grandi successi come il salvataggio in extremis dalla bancarotta, l'ingresso nella moneta unica europea, il fallimento del disegno scissionista della Lega, il paese sta tornando indietro e il modo di governare della destra sta ponendo gli italiani di fronte a interrogativi inquietanti che riguardano il loro futuro. È una situazione che per molti aspetti ricorda non il fascismo (non è di questo che si tratta) ma la crisi di fine secolo: l'avventura crispina finita nel disastro di Adua e nei fallimenti bancari.
Sembra incedibile come in pochi mesi il paese è stato portato allo sbando. Ciò non si spiega solo con questo o quell'errore ma con il venir meno di quelle strutture e di quei fattori fondamentali, non economici soltanto, che rappresentano l'ossatura di una nazione: la certezza del diritto e l'uguaglianza di fronte alla legge, cioè di quel fattore essenziale che consente a ricchi e poveri di stare insieme. Per non parlare della scomparsa di quel fondamento della democrazia moderna che è il pluralismo dell'informazione, insieme con la totale confusione tra interessi pubblici e interessi privati. A ciò si aggiunge il fenomeno drammatico del declino dell'economia. È da anni che l'Italia registra una perdita di competitività ormai misurabile con la erosione di almeno un quinto di quella che per lungo tempo è stata la nostra quota del commercio mondiale e da un ritmo di crescita della produzione industriale che, per ciò che riguarda i settori avanzati, è ormai pari a un terzo dei principali paesi europei. Non voglio fare il catastrofista ma non posso non tener conto che a ciò si aggiunge il peso crescente di vincoli come l'invecchiamento della popolazione (il maggiore del mondo), la spesa per la ricerca pari a metà della media europea, il più basso livello di attività della popolazione: solo un italiano su due lavora, mentre la media europea si colloca intorno a 60-70 persone su cento.
È questa situazione che noi dobbiamo affrontare. Ma per farlo io credo che la prima cosa da fare sia dare alla lotta contro la destra un contenuto più avanzato e un respiro più ampio. E tempo che tutti comincino a misurarsi con quella che è la sostanza della destra. Questa sostanza non è solo la sua immoralità, è l'idea stessa del problema italiano che stava alla base del suo messaggio e del famoso patto proposto agli elettori. Da un lato il messaggio del populismo e dell'antipolitica (pensa ai fatti tuoi e aiutami a cacciare i politici dal potere perché per governare ci vuole un uomo della "società civile"). Dall'altro l'appello agli "spiriti animali" e all'egoismo sociale: arricchitevi senza farvi tanti scrupoli dato che le leggi, lo Stato, i sindacati, la concertazione, il Mezzogiorno sono una camicia di forza, tutta roba imposta dalla sinistra.
Si è trattato di uno sbaglio drammatico che ha gettato il paese allo sbaraglio ed è questo che ha accentuato i rischi di declino. Come se ne esce? Certo occorre uno schieramento, un programma, un leader. Un nuovo quadro politico è necessario. Ma la mia convinzione è che per risalire la china occorre fare appello alle risorse più profonde degli italiani, quelle risorse di intelligenza, di solidarietà di fronte alle sventure, di coraggio dell'intraprendere, di cultura diffusa, che furono alla base della ricostruzione dopo la guerra e del vero miracolo economico, quello che tra gli Anni '50 e '70 creò l'Italia moderna. Chi può farlo? Ecco dove sta il problema politico irrisolto del centrosinistra, la maledizione del suo verticismo. È evidente che può farlo solo una grande alleanza riformista animata da una visione sostanzialmente comune del problema italiano. E quindi cementata dall'idea che la natura stessa della crisi (una crisi di fondo che riguarda - ripeto - il tessuto e il profilo della nazione) richiede un incontro e una contaminazione tra riformismi diversi non essendo nessuno di essi in grado di pretendere l'egemonia.
Ma questa è una impresa molto seria, che richiede idee forti e soprattutto aspre lotte, che non si possono fare senza la partecipazione di un popolo. Non è una cosa alla portata del "morettismo" o di un ennesimo partitino "riformista" senza anima e senza radici. Richiede invece - questa è la mia opinione - l'esistenza nel paese di un grande partito della sinistra. Dico partito politico, e dico della sinistra. E se sottolineo queste parole è perché ritengo che l'attuale debolezza dei Ds non può essere compensata da un movimento magmatico, né da una combinazione elettorale, né da partiti senza storia e senza radici. È l'Ulivo che ha bisogno di una sinistra seria. Perché la sinistra non è solo i suoi voti. È quel fatto profondo senza il quale il cammino storico della nazione italiana non si spiegherebbe, è ciò che ha dato identità a larga parte delle masse popolari. La sinistra seria è questo. È un insediamento sociale e culturale, è una ossatura del paese (basta fare un paragone tra la tenuta civile dell'Emilia e quella del Veneto cattolico o della Sicilia). Non è il risultato di un sondaggio. È quello strumento organizzato senza il quale le lotte non hanno durata né la capacità di darsi obiettivi strategici (lo ricordino i nostri oppositori di sinistra). Ed è anche una comunità. Si, è anche un fatto umano, è quel luogo dove gli uomini stanno insieme "fraternamente" perché condividono un'idea.
Forse la politica non è questo? Troppi lo pensano e così hanno ridotto la politica a una sterile scelta tra movimenti di protesta e nuove combinazione del ceto politico. So bene che la crisi del paese chiede alla sinistra di rinnovarsi e di uscire da vecchi schemi. Certamente. Ma non possiamo giocare con la scelta di costruire una grande forza che sia parte del socialismo europeo. Sarebbe suicida non per noi solo e dimostrerebbe una grande indifferenza per le sfide del mondo nuovo e una totale ignoranza dei problemi globali e del ruolo di un nuovo riformismo. Non sto riproponendo un vecchio egemonismo. Chiedo soltanto se c'è nei leader dell'Ulivo la consapevolezza che per la coalizione è essenziale trovare l'autorità e la forza anche etico-politica che le consenta di rivolgersi a tutte le forze vive del paese, compresi i movimenti che nascono dalla società civile per proporre qualcosa di diverso da una rivincita degli sconfitti di ieri. Di questo si tratta. Di chiedere alla gente un nuovo impegno, un nuovo patto di cittadinanza sulla base di un grande progetto per l'Italia. Essendo questa, oltretutto, la scelta più realistica se è vero che le sfide della globalizzazione riguardano non soltanto l'economia ma l'intera struttura sociale del paese. Chi parla così è il nuovo Leader. Chi fa questo fa l'unità dell'Ulivo.
La sfida è rivolta agli italiani. La sinistra non è in grado di guidarli, da solo. Questo lo so benissimo. Ma sei i Ds si dividono, l'Ulivo -questo è certo - cesserebbe di esistere. Al suo posto non nascerebbe un partito più "riformista" ma assisteremmo alla fine del bipolarismo.