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Riformista: Non dite a von Humboldt che oggi c'è pure l'Università McDonald

ATENEI TEDESCHI. SI ACCENTUANO GLI ELEMENTI DI CRISI NELLE SCUOLE SUPERIORI DELLA GERMANIA DI GHERARDO UGOLINI

29/11/2006
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Il Riformista

Berlino. C'era una volta il modello Humboldt. Un modello di organizzazione dell'università che il filosofo e linguista Wilhelm von Humboldt teorizzò e mise in pratica quando al principio dell'Ottocento fu incaricato, quale ministro dell'istruzione del regno di Prussia, di fondare l'università di Berlino. Si trattava di un concetto nuovo, fondato su due principi fondamentali: da un lato l'unità di ricerca scientifica e didattica e dall'altro la totale indipendenza del mondo accademico dall'economia e dalla politica. Per decenni il modello Humboldt ha fatto scuola, imitato nel resto della Germania e nel mondo intero. Ha garantito alle università tedesche un solido primato internazionale. Ancora all'inizio del XX secolo atenei come Heidelberg, Göttingen o Tübingen erano universalmente considerati centri di prima qualità, paradigmi cui uniformarsi. Ma a partire dal dopoguerra si è via via accentuata una tendenza negativa e le università della Germania hanno subito una strisciante perdita di livello e prestigio. Negli ultimi tempi la crisi si è andata acuendo, al punto che si è posta con urgenza la necessità di riorganizzare il sistema dell'istruzione universitaria per guadagnare competitività e tenere il passo degli altri paesi. Con una difficoltà particolare e cioè il fatto che in Germania, dato il sistema amministrativo di tipo federale, le competenze in materia sono suddivise tra stato e singoli Länder: il primo fissa il quadro legislativo generale, ai secondi spetta il finanziamento e la gestione degli atenei. Ciò determina una situazione di confusione e di competitività tra i Länder con differenziazioni talvolta notevoli.
La riforma degli ordinamenti, avviata nel 2002, si è rivelata un fiasco. Come negli altri paesi dell'Unione Europea, anche in Germania è stato introdotto il sistema 3+2, anche se qui si è adottata la terminologia anglo-americana per cui si chiama “Bachelor” il titolo di primo livello e “Master” quello di secondo livello. Il risultato è stato un generale abbassamento degli standard qualitativi e una perdita di prestigio per i titoli conseguiti. Uno smacco che finirà con l'aggravare il fenomeno, ben conosciuto anche qui, della “fuga dei cervelli” verso centri di ricerca più appetibili.
Un altro tentativo di riformare il sistema è quello architettato un paio d'anni fa dal governo Schröder e ora portato avanti da Angela Merkel e dalla ministra Schavan. La parola d'ordine è Elite-Universität, ovvero “università d'eccellenza”. L'idea è quella di selezionare, attraverso un comitato di esperti sia tedeschi che stranieri un ristretto gruppo di atenei (non più di dieci) che meritino il patentino di centri d'eccellenza e provvedano alla formazione dei talenti migliori. È ovvio che la parte più consistente dei finanziamenti pubblici e privati finirà nelle casse di queste istituzioni, col pericolo che si determini un sistema differenziato tra atenei di serie A e di serie B. Quando qualche settimana fa sono stati resi noti i risultati della prima selezione (che ha promosso quali centri d'eccellenza le due università di Monaco e quella di Karlsruhe), subito sono divampate aspre polemiche: gli atenei bocciati hanno contestato la trasparenza dei criteri adottati per la scelta. Le università del Nord e quelle dell'ex Germania Orientale, sentitesi bocciate e umiliate, hanno avanzato il sospetto che si sia deciso secondo ragioni piuttosto politiche che meritocratiche.
Un sintomo della crisi è la recente moda, derivata dagli Stati Uniti, delle cosiddette Firmenhochsculen, ovvero “università aziendali”. Grandi imprese quali Lufthansa, Bertelsmann, Daimler-Chrysler hanno inaugurato i loro poli accademici dove formare i quadri aziendali del futuro. L'ultima ad aprire i battenti in ordine di tempo è stata l'Università della Volkswagen a Wolfsburg, subito ribattezzata AutoUni, ovvero “università dell'automobile”. Perfino McDonald's ha in Baviera una sua università dove è possibile conseguire il master in “Restaurant Assistant Manager”. Ma che profilo scientifico possono garantire questi atenei? E che ripercussioni possono avere sul sistema accademico generale? Tra gli esperti prevale lo scetticismo.
E a proposito di finanziamenti c'è da registrare un'importante novità. È caduto l'ultimo tabù che caratterizzava il sistema accademico tedesco, quello delle tasse universitarie. Fino ad oggi gli studenti non pagavano un centesimo per immatricolarsi e potevano studiare gratuitamente per anni fino al conseguimento della laurea godendo in cambio dei piccoli privilegi connessi con lo status di studente: la mensa, l'abbonamento ridotto per autobus e metropolitana, biglietti scontati per cinema e teatro etc. Chiunque in passato abbia proposto di introdurre delle tasse per lo studio è caduto vittima delle proteste che inesorabilmente scoppiavano negli atenei, con contorno di scioperi e occupazioni (l'ultima ondata è stata nel 2003-2004). Ma ormai, anche in seguito a un pronunciamento della Corte Costituzionale, il principio per cui chi studia deve pagare sembra esser passato, sebbene il processo di introduzione delle tasse universitarie proceda a macchia di leopardo. Ci sono regioni come la Baviera, il Baden-Württemberg, l'Assia e il Nord-Reno-Vestfalia in cui la decisione è ormai presa e dal 2007 scatterà l'obbligo di pagare (in media circa 1000 euro all'anno). In altri Länder quali Renania-Palatinato, Turingia e Sassonia si è deciso di far pagare solo gli studenti fuori corso, mantenendo la gratuità per i primi anni. A Berlino e in altre regioni dell'Est (Brandeburgo, Sassonia, Meclemburgo-Pommerania) prevale la logica della assoluta gratuità degli studi accademici. Tale differenziazione è possibile a causa della struttura federalista dello stato tedesco. Ma quali saranno le conseguenze? Il pericolo è che le università dove si paga riescano con i nuovi introiti a migliorare l'offerta didattica, i servizi e le strutture di ricerca, accentuando il divario rispetto agli atenei la cui frequenza rimane gratuita.