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Studenti per la terza volta in piazza. E atenei in rivolta contro lo sfruttamento

Migliaia in piazza in 50 piazze d'Italia, assemblee negli atenei, sciopero di professorii e precari, sempre più sedi del Cnr occupate.

25/11/2017
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la Repubblica

 Corrado Zunino

Sono di nuovo in piazza, e non sembra un'abitudine. Gli studenti sono già scesi in corteo, solo in questo scorcio di anno scolastico, contro l'Alternanza scuola lavoro e, la scorsa settimana, la Legge di bilancio in via di approvazione. Oggi hanno sfilato nella terza manifestazione nazionale  in 40 giorni, a cui si devono aggiungere - per offrire il senso della mobilitazione in corso - le occupazioni degli istituti scolastici (con polemiche pubbliche al liceo romano Virgilio), le occupazioni della sede romana e dei centri di ricerca periferici del Consiglio nazionale delle ricerche (a Pisa, Palermo e Roma si è aggiunta ieri la protesta di Napoli Bagnoli).

Con gli studenti sono in agitazione,  negli atenei,  docenti e ricercatori precari, anche se questa volta lo sciopero non è stato abbracciato dal Movimento per la dignità della docenza universitaria che ha proposto e ottenuto i precedenti boicottaggi degli esami. In questo "link" tra scuola e università si trova il titolo della discesa in piazza, "Stop sfruttamento", e si echeggia l'ultima grande mobilitazione studentesca, le proteste tra il 2008 e il 2010 contro le Leggi Gelmini.
 
Sono migliaia, in cinquanta piazze e sotto il ministero. Francesca Picci, coordinatrice nazionale dell'Uds,  attacca direttamente il ministro: "Vogliamo subito uno Statuto degli studenti in Alternanza che garantisca percorsi di qualità e totalmente gratuiti e  il ritiro dell'accordo Miur-Campioni dell'Alternanza. Attraverso l'Alternanza e i tirocini di bassa qualità vogliono avallare il lavoro minorile e gratuito al posto dell'esperienza formativa". E Andrea Torti, coordinatore di Link Coordinamento universitario: "Siamo stanchi di ricevere schiaffi da ogni governo, i fondi previsti in questa Legge di stabilità non sono sufficienti a garantire il diritto allo studio, il numero chiuso esclude sempre più studenti dai corsi di laurea e interi dipartimenti universitari e degli enti di ricerca continuano ad essere retti da ricercatori precari".
 
Anche l'altra organizzazione studentesca con seguito, l'Unione degli universitari, sta organizzando assemblee di lavoratori e studenti nelle università italiane. Elisa Marchetti, coordinatrice nazionale dell'Udu, dice: "Rilanceremo sulla necessità di investire più consistentemente nel diritto allo studio, aumentare il Fondo di funzionamento ordinario delle università, avviare un piano straordinario per il reclutamento dei ricercatori, investire nel dottorato di ricerca e sul salario di tutto il personale universitario. Chiederemo, poi, di rivedere le attuali modalità della valutazione".
 
Nella lettera aperta di diverse componenti del mondo accademico si legge: "I lavoratori dell'università si impegnano quotidianamente per prestare al meglio il loro servizio nelle condizioni date, ma ormai la situazione è al limite della sostenibilità ed è a rischio la qualità stessa del servizio pubblico che è doveroso fornire agli studenti e al nostro Paese". Serve, ancora, "una maggiore attenzione e adeguati finanziamenti per il sistema universitario del nostro Paese, prima che gli effetti delle politiche di disinvestimento dell'ultimo decennio portino l'università oltre il ciglio del baratro su cui si trova".
 
La Cgil, attraverso la sua Federazione dei lavoratori della conoscenza, chiede di togliere il nome "Alternanza scuola lavoro" per sostituirlo con "istruzione integrata": "Non dovrebbe essere obbligatoria né materia curriculare", scrive il segretario Francesco Sinopoli: "Fare le fotocopie in un ufficio pubblico o sparecchiare in noti ristoranti non è istruzione".

La protesta è larga, anche se non siamo in era Gelmini. Allora, il Governo Berlusconi-Tremonti tagliava otto miliardi di euro alla scuola pubblica e un miliardo all’università. La frustrazione della ministra in carica all’Istruzione, Valeria Fedeli, è esattamente quella di non veder riconosciuti i tentativi di inversione di tendenza. Cita lo sblocco degli scatti dei docenti universitari, un nuovo contratto per maestri e professori di scuola, l’allargamento dell’area senza tasse per gli studenti degli atenei, gli aumenti alle borse di dottorato e in generale al welfare studentesco.

La capo gabinetto del Miur, Sabrina Bono, ancora ieri mattina assicurava il raddoppio dei finanziamenti alle borse di studio già in Legge di bilancio: da 15 a 30 milioni di euro. E un emendamento potrebbe portare altri 50 milioni agli Enti di ricerca pubblici dopo che il Decreto Madia ha indicato un percorso di stabilizzazione di una parte dei diecimila precari (su 30.500 dipendenti) dei ventidue istituti.

"Ci riconoscano gli sforzi”, dice la ministra Fedeli. Non basta, evidentemente, alla piazza. I ricercatori del Cnr, non a caso, replicano: “Nella Legge di bilancio devono essere previste le risorse necessarie per stabilizzare tutto il personale".