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Su quei banchi si gioca il futuro

Paola Severino

14/09/2020
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La Stampa

Viviamo oggi una giornata davvero speciale, in cui si mescolano sentimenti contrapposti, tra la preoccupazione e la speranza. Una giornata in cui la gioia dei ragazzi per gli amici ritrovati nel primo giorno di scuola non allontanerà il pensiero di un possibile ritorno all'isolamento. Mentre la soddisfazione dei genitori per la ripresa del ritmo quasi ordinario degli studi, si accompagnerà al timore che proprio la scuola possa rappresentare un mezzo di diffusione della pandemia. Tra i docenti, poi, (quelli veri, che amano insegnare) al compiacimento per la ripartenza delle lezioni, si affiancherà il timore di subire un contagio dagli esiti imprevedibili.

Una giornata in cui il discorso del Capo dello Stato, che verrà significativamente pronunciato a Vò Euganeo, segnalerà che dal luogo in cui tutto è iniziato, tutto dovrà ripartire, ma non prima di aver richiamato alle nostre menti e ai nostri occhi due immagini. Quelle, diffuse qualche settimana fa, di centinaia di giovani afghane, sedute in un'ampia area della cosiddetta «spiaggia degli esami» per affrontare le prove di accesso all'Università, sfidando il timore del virus e il pregiudizio nei confronti delle donne. E quella, che ha accompagnato il report di Save the Children, sull'impatto della pandemia nella crescita mondiale della povertà e del pericolo, per quasi 10 milioni di bambini (una generazione perduta), di non ritornare a scuola. Quanto all'Italia, 1 milione di ragazzi in più potrebbero trovarsi in stato di bisogno, raddoppiando i numeri dello scorso anno, mentre 1 genitore su 10 potrebbe non essere in grado di acquistare tutti i libri scolastici e 2 su 10 di sostenere il costo della mensa scolastica. Le scuole italiane hanno tempestivamente segnalato il rischio che la criminalità organizzata approfitti di queste nuove sacche di povertà finanziando le famiglie, magari per assoldare minori da associare alle loro attività illecite. Queste puntuali segnalazioni hanno consentito a istituzioni pubbliche e private di intervenire tempestivamente, raccogliendo fondi da distribuire agli istituti affinché provvedano ai bisogni delle famiglie più disagiate. Il numero oscuro è però ancora alto e accresce il rischio, se non ci mobilitiamo tutti,

che i nostri giovani vengano coinvolti in pericolose forme di lavoro minorile.

La scuola, dunque, è oggi una conquista e la sua riapertura una scommessa sulla futura crescita del Paese. Una scommessa che vinceremo solo se ci impegneremo, con senso di responsabilità, al rispetto di tutte quelle regole che possono preservarci dal ritorno dell'epidemia. I ragazzi devono imparare che il distanziamento non è una forma di prevaricazione, ma una scelta consapevole, al fine di preservare sé stessi, i propri amici, gli affetti più cari dal rischio di contagio. I genitori non devono scaricare tutta la responsabilità sulla scuola, ma assumersi il compito di preparare i loro figli a tenere un comportamento responsabile anche quanto ritornano a casa. Gli insegnanti devono sentirsi protagonisti di un momento unico nella storia del Paese, in cui a loro affidiamo la crescita culturale e la salute dei nostri figli e dei nostri nipoti. Ma soprattutto devono rappresentare un esempio di senso del dovere, di spirito di sacrificio, ben lontano dal modello dei pochi che approfitteranno di questo momento per rimanere a casa adducendo comode giustificazioni. I giovani ci guardano e attendono da noi indicazioni serie sui modelli di riferimento necessari per affrontare questo momento anche per loro incerto e difficile. Un momento nel quale anche un gesto consueto ed affettuoso come quello del saluto, dell'abbraccio, del bacio, deve essere limitato e controllato. Il laboratorio di negoziazione della Luiss, ad esempio, per superare la dissonanza emotiva tra desiderio di umanità e istinto di protezione, ha suggerito di adottare, e non solo nell'incontro che oggi ci sarà con gli studenti per l'inizio dell'anno accademico, il "saluto" del porcospino" come nuovo – e speriamo temporaneo – modello di interazione sociale: portarsi la mano sul cuore, protenderla verso l'altro e guardarsi negli occhi. Tre momenti molto significativi, che si susseguono indicando la sede degli affetti da cui sgorga il saluto, sottolineando l'altruismo della scelta di non avvicinarsi perché si può "pungere" qualcuno e restituendo centralità allo sguardo. In un momento in cui il volto è coperto dalle mascherine e non può mostrare il sorriso con cui accogliamo l'incontro con gli amici, con i nostri cari, con gli anziani

nonni, facciamo parlare gli occhi. Mostreremo così che senso di responsabilità e rispetto delle regole segnano la strada sulla quale i nostri giovani devono inoltrarsi e proseguire se vogliono superare questa difficilissima prova e contribuire alla ricostruzione del Paese.

*Vice Presidente Luiss Guido Carli —