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Unità-Divisi ma stiamo uniti

2003 Divisi ma stiamo uniti di Luciano Violante Il referendum sull'articolo 18 dello statuto dei diritti dei lavoratori può essere evitato solo con una legge che ricalchi la normativa che risul...

21/01/2003
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l'Unità

2003
Divisi ma stiamo uniti
di Luciano Violante

Il referendum sull'articolo 18 dello statuto dei diritti dei lavoratori può essere evitato solo con una legge che ricalchi la normativa che risulterebbe da una vittoria del sì. Ma questa legge non troverebbe il consenso nè della più larga parte del centrosinistra, né del centrodestra. Le ragioni sono diverse.

Il centrodestra punta non all'espansione, ma alla riduzione dei diritti dei lavoratori perché, al di là della propaganda, la riduzione dei diritti e delle libertà dei cittadini è un elemento costitutivo del suo impianto politico e culturale. Nel suo disegno, conseguentemente, lo sviluppo economico è inversamente proporzionale allo sviluppo dei diritti.

Nel centrosinistra le posizioni contrarie hanno due motivazioni principali. Il referendum si propone di risolvere il problema dei lavoratori dipendenti delle piccole imprese, ma non si occupa di quei milioni di lavoratori coordinati e continuativi, a tempo determinato, atipici, soprattutto giovani, che oggi sono davvero privi di qualsivoglia diritto.

Inoltre, chi nel centro sinistra è contrario al referendum, difende il diritto a non essere licenziato senza giusta causa, ma discute le modalità per garantire questo diritto. Le democrazie moderne devono sempre cercare un punto di equilibrio tra sviluppo economico e giustizia sociale; perciò le modalità di garanzia dei diritti devono essere graduate in modo da non sacrificare l'esistenza stessa dell'impresa e da non spingere l'imprenditore alla scelta di lavorare in nero. Entrambe le eventualità danneggerebbero i lavoratori e la competitività economica del Paese.

Questa graduazione non contrasta con la campagna a difesa dell'art. 18 fatta dai DS, dalla CGIL di Sergio Cofferati, dagli altri sindacati e dai partiti di centro sinistra che oggi sono contrari al referendum.

A quel tempo, il tema che la destra poneva era un altro: privare tutti i lavoratori, anche quelli delle grandi imprese, delle garanzie previste dall'art.18. Noi invece abbiamo difeso quell'articolo, così com'era, perché il suo abbattimento avrebbe leso profondamente la dignità del mondo del lavoro ed avrebbe fatto saltare l'equilibrio democratico tra diritti e sviluppo economico.

La campagna di Berlusconi e del presidente della Confindustria era puramente ideologica perché mirava a sancire l'umiliazione politica della controparte. L'operazione era sbagliata, è stata da noi combattuta ed è fallita. Ma questo non vuol dire che sia giusta e debba prevalere quella di segno opposto, sostenuta dai promotori del referendum.

Come abbiamo detto durante la campagna a difesa dell'articolo 18, esistono altre garanzie che vanno assicurate a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori. Su tali garanzie si potrebbe costruire un'azione unitaria di tutte le organizzazioni sindacali e di tutte le forze politiche di centro sinistra. Si tratta della carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, di una nuova legge sugli ammortizzatori sociali, della riforma del processo del lavoro, dell'elevazione della misura del risarcimento già oggi prevista a favore del lavoratore, del diritto alla formazione.

Su questi temi hanno molto lavorato la segreteria DS e i gruppi parlamentari. Sono stati presentati da gruppi dell'Ulivo, o stanno per essere presentati, appositi progetti di legge che mirano a costruire una tutela più avanzata e più aderente alle profonde trasformazioni del mondo del lavoro.

Più della metà dei giovani lavoratori ha un contratto a termine: crediamo che sia giusto individuare un tipo di intervento che copra questo lavoratore nel periodo che intercorre tra la fine di un rapporto di lavoro e l'avvio di quello successivo.
Le grandi e continue innovazioni tecnologiche chiedono al lavoratore sempre più frequentemente conoscenza e formazione: bisogna costruire e garantire un diritto alla formazione di ciascun lavoratore sia per il suo futuro professionale sia per avvantaggiare la competitività dell'impresa.

Un processo del lavoro dura oggi circa sei anni, in media. E' del tutto evidente che questa durata penalizza il lavoratore: qualunque diritto gli si voglia riconoscere questo diritto resta lettera morta se non c'è il modo di ottenerne un riconoscimento in tempi accettabili.

Si potrebbe andare avanti, naturalmente. Ma la proposta a questo punto credo sia chiara: abbiamo idee diverse sul referendum, ma non sui diritti dei lavoratori. Si può lavorare, insieme, per iniziative politiche e parlamentari dirette al potenziamento degli attuali diritti sui quattro versanti indicati, carta dei diritti, formazione, ammortizzatori e processo, ferma restando la diversità di opinioni sul referendum?