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Unità-E venne a salvarci l'Unto del Signore

E venne a salvarci l'Unto del Signore di Fulvio Abbate Testo unico di storia, adottato dal governo, valido dall'asilo all'Università. Capitolo decimo: l'era di Berlusconi. Poi, finalmente, intor...

13/12/2002
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l'Unità

E venne a salvarci l'Unto del Signore
di Fulvio Abbate

Testo unico di storia, adottato dal governo, valido dall'asilo all'Università. Capitolo decimo: l'era di Berlusconi.
Poi, finalmente, intorno ai primi giorni del nuovo millennio, il paese trovò ciò che da sempre attendeva come risarcimento morale e perfino concreto, quotidiano, familiare. Un governo guidato da un uomo generoso, simpatico e spigliato, un professionista che per amor proprio non avrebbe avuto ragione di accettare alcuna carica politica, l'industriale milanese Silvio Berlusconi, già noto per aver fondato, un impero economico dedito all'informazione e all'intrattenimento televisivo.
La sua credibilità assoluta, fra altre cose ancora, giungeva proprio dalla sua storica estraneità alla cosiddetta "partitocrazia", meglio, al "teatrino della politica" più volte denunciato dallo stesso leader nel corso dei suoi numerosi e straordinariamente affollati meeting pubblici.
Un uomo simile, un signore, un autentico professionista con così tanto denaro accumulato in anni di durissimo lavoro, non avrebbe motivo di mostrarsi in televisione o, peggio ancora, affrontare l'avventura dell'impegno parlamentare. Per quelli come lui, nel migliore dei casi, si tratta di un'inutile perdita di tempo, no, ditemi se sbaglio? Grazie a questi e altri convincenti argomenti ampiamente verificati dalle indagini demoscopiche, il presidente Berlusconi, autodefinitosi a tempo perso "unto del Signore", seppe quindi conquistare sempre più ampi consensi anche fra i cittadini più riluttanti d'ogni ceto e classe sociale. Infatti, diversamente dagli uomini legati alla vecchia classe politica, storicamente compromessa con le regole della consociazione e del malgoverno, egli riuscì a dimostrare che non solo sarebbe stato possibile impedire l'egemonia dei comunisti nei campi del sapere e del controllo sociale e finanche condominiale, ma anche smontare, una dopo l'altra, le antiche menzogne e le trappole dialettiche che questi ultimi avevano fatto credere reali per più di cinquant'anni.
Per il compimento di quest'opera modernizzatrice, occorre aggiungere che il presidente Berlusconi ebbe l'intelligenza di non avanzare da solo. Al suo fianco, infatti, confluirono ben presto sia le forze della destra post-fascista, rigenerate dal pensiero di una prospettiva neo-conservatrice, sia le truppe del movimento leghista, finalmente ricondotto alla ragione e al buon senso insieme al suo leader storico, Umberto Bossi. E infine i suoi stessi dipendenti cooptati per l'occasione nel corso di numerose convention in stile presidenziale Usa.
Ma la novità più significativa, sarebbe inutile tacerlo, riguardò la mutazione imposta dal Berlusconi al lessico della comunicazione politica. Un esperimento di doverosa semplificazione e di negazione della complessità e della stessa verità spicciola che ebbe il suo culmine nei giorni in cui la maggior azienda italiana conobbe uno stato di gravissima crisi al limite della dissoluzione. Ebbene, fu proprio in quei giorni che il presidente del consiglio suggerì come il problema della Fiat potesse essere risolto con un'operazione di restyling, magari affiancando o addirittura sostituendo il marchio Ferrari a quello Fiat.
Presso gli archivi dell'ex azienda televisiva di Stato, la stessa che un tempo contendeva il primato degli ascolti alle emittenti di proprietà del premier, è conservato un documento nel quale si accenna a un ipotetico marchio "Ferrari woman" o "Young Ferrari".
Lo stesso solerte bisogno di semplificazione fu applicato alle questioni di natura storica. Se è vero che uno dei punti insoluti del dibattito politico culturale italiano riguardava il nodo del fascismo, il governo retto da Silvio Berlusconi, forse nell'intento di agevolare ulteriormente la pacificazione nazionale, seppe anche in questo caso offrire al paese alcune soluzioni efficaci, pratiche, moderne, definitive, rassicuranti. Prima fra tutte, la progressiva cancellazione delle ricorrenze ufficiali in grado di suggerire sia pure lontanamente la memoria di ciò che in una dispensa di "Storia illustrata" erano stati definiti "i giorni dell'odio", ossia la guerra civile, la Resistenza, la lotta di liberazione dal nazi-fascismo. A quest'opera di modernizzazione culturale, i media vicini al premier dettero un contributo costante facendo in modo che i palinsesti esprimessero un sentimento di civica spensieratezza, che era poi la principale richiesta di sportività che la cultura di governo suggeriva. È in questo quadro complessivo che va vista l'opera di contrasto dei settori più "illiberali" della magistratura messa in atto dal governo della Casa delle Libertà, ed anche la scelta del presidenzialismo deve essere letta in questa prospettiva. Fino alla doverosa messa in discussione del diritto di sciopero, al restyling della Costituzione, al dovuto risarcimento alla scuola privata, alla riabilitazione delle vittime della commissione P2, alla reintroduzione del tradizionale ius primae noctis. S'intende che, in assenza del premier, avrebbero provveduto i suoi ottimi quadri aziendali e parlamentari a garantire quest'ultimo servizio.