Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità-Fratelli d'Italia l'Italia s'è persa

Unità-Fratelli d'Italia l'Italia s'è persa

Fratelli d'Italia l'Italia s'è persa di Gavino Angius L'ha voluta Bossi. L'ha imposta al governo e alla maggioranza. È una legge, quella sulla cosiddetta devolution, rispetto alla quale la Ciram...

20/11/2002
Decrease text size Increase text size
l'Unità

Fratelli d'Italia l'Italia s'è persa
di Gavino Angius

L'ha voluta Bossi. L'ha imposta al governo e alla maggioranza. È una legge, quella sulla cosiddetta devolution, rispetto alla quale la Cirami - qualcuno sobbalzerà - è quasi acqua fresca.
Arriverà nell'aula del Senato, senza che la Commissione Affari costituzionali sia riuscita, per merito della opposizione nostra e delle altre forze dell'Ulivo, ad approvarla. È una legge, quella voluta da Bossi, che cambia la Costituzione, attribuendo alle Regioni poteri esclusivi sulla scuola, sulla sanità, sulla polizia. Nessuna Repubblica federale al mondo ha una legge del genere. Né la Germania, né il Canada, indicati come Paesi modello rispettivamente del federalismo solidale e del federalismo competitivo. In Germania o in Canada, si nasca ad Amburgo o a Monaco, a Berlino o a Vancouver, si hanno uguali diritti, da quando si nasce a quando si muore.
Nell'Italia che vorrebbe Bossi, questo diritto non c'è. È negato. Basta questo a indicare l'enormità della questione che abbiamo di fronte e che investe direttamente le persone, le famiglie, ciascuno di noi. Noi abbiamo un'altra idea di federalismo perché abbiamo un'altra idea di Stato. Un modo nuovo e diverso di essere dello Stato rispetto alla società italiana. Un ruolo originale dello Stato nell'Europa unita. Una sua funzione più alta per contrastare le diseguaglianze crescenti nell'era della globalizzazione. La coesione sociale e civile come segno distintivo della nostra visione di Stato: così e stato e così deve continuare ad essere per la sinistra. Queste le ragioni che hanno spinto l'Ulivo a proporre anche la modifica del Titolo V della Costituzione, che ha ridisegnato l'ordinamento dello Stato in senso federalistico ed è stata approvata dal Parlamento prima e successivamente confermata poi dal referendum popolare svoltosi la primavera scorsa. L'obiettivo di fondo era, nell'ambito di una rafforzata unità nazionale, quello di costruire istituzioni più vicine ai bisogni dei cittadini, prevedendo forme moderne di autogoverno locale e di partecipazione dal basso alle scelte nazionali, imperniate su una moderna idea federalista dello Stato, in cui la redistribuzione delle risorse e dei poteri si accompagnasse al superamento di quelle diseguaglianze che hanno segnato, irrisolte, la crescita della società italiana.
Quel disegno federalista fondato sul valore della solidarietà, e che è già parte della Costituzione, di certo andrebbe completato, come pure ha indicato un disegno di legge del governo, da noi condiviso, e approvato in Commissione Affari costituzionali in Senato.
Ma ora l'iniziativa della maggioranza e del ministro delle riforme di fatto azzera quella riforma. La stravolge, ne cambia l'ispirazione centrale, ne cancella l'idea su cui si fonda. Bossi vuole imporre nella nostra Costituzione un diritto diseguale per i cittadini. La fruizione di un diritto viene stabilita in base al territorio dove si vive (o si nasce) e alla ricchezza di cui si dispone. Si stabilisce il principio che ciascuna Regione fa per sé. Nella scuola, nella sanità, nella sicurezza. E se si dovesse approvare la norma avanzata dalla Lega sull'Irpef nella Legge finanziaria, anche nel fisco. Un fisco diseguale, quindi, per i cittadini italiani.
Le Regioni ricche saranno più ricche. Quelle povere più povere. Ma le regioni sono i cittadini che vi abitano, sono le persone. E i loro diritti sociali saranno diseguali. In Lombardia o in Emilia un malato avrà la garanzia di curarsi in un modo. In Puglia o in Sicilia in un altro. Forse migliore. Più probabilmente peggiore.
Le Regioni, e chi le dirige, decideranno, ciascuna per proprio conto, adottando libri di testo diversi gli uni dagli altri, quale Storia italiana sarà insegnata ai nostri ragazzi.
A Roma Storace la proporrà in un modo. A Torino, Ghigo in un altro. E a Napoli? Così l'unità d'Italia potrà essere insegnata da una parte come repressione sanguinaria di un moto liberatorio del Mezzogiorno. Oppure al contrario, in un'altra regione, come la definitiva affermazione dell'ideale che aveva percorso per secoli la penisola e la cultura italiana, di una Nazione che si fa Stato.
Così si gettano solo le premesse per distruggere il senso di unità nazionale, la cultura ed il sapere di un'Italia che su queste fonda la sua identità. Si stravolge l'ordinamento dello Stato. Si "scassa" la Costituzione. Si colpisce il riconoscimento culturale e storico politico dell'Italia.
Insisto su questi punti che considero decisivi. E sono molto meravigliato che su questioni fondamentali come quelle che sto citando non emerga un sentimento di indignazione civile pari almeno a quello che si è levato e manifestato nel Paese in questi mesi sui temi della giustizia. Ogni Regione potrà insegnare ai ragazzi la Storia d'Italia che vuole e come vuole. Ogni Regione potrà decidere se, come e quanto offrire l'assistenza sanitaria ai malati. Ogni Regione potrà organizzare come crede la polizia per contrastare la criminalità, senza alcun vincolo di coordinamento con altre regioni e parti del territorio nazionale.
Si tratterebbe della frantumazione del Paese, dello smembramento di una comunità, della messa in discussione di diritti universali che, con questa legge, andrebbero disattesi. Non esiste al mondo un Paese che può restare unito sulla base di questi presupposti. La destra vuole cancellare una Storia. La nostra Storia, quella dell'Italia repubblicana.
La destra liberista vuole mettere in discussione diritti, cancellarli o negarli secondo i suoi comodi. La destra dichiara di voler contrastare la criminalità ma getta i presupposti per il suo trionfo. Colpisce molto, e avvilisce, che le cosiddette forze liberal democratiche di questo Paese, subiscano in silenzio e tacciano, responsabili di una complicità che farebbe inorridire Benedetto Croce, di fronte a questo impressionante disegno. Non un gesto significativo, non una parola di sdegno. Solo qualche mugugno.
Non ci stupiscono più i miseri interessi di bottega e di potere, la visione angusta e ottusa di alcune componenti della maggioranza, che non reagiscono a questo scempio e anzi avallano questo sconsiderato disegno. Questa maggioranza, forte in Parlamento, non è classe dirigente nel Paese. Questa per noi non è più una novità. Ma che non si alzino a parlare, che non prendano carta e penna, gli editorialisti più pronti a fare le bucce alla sinistra ogni giorno, ogni ora, ogni minuto per ogni frase scritta, o parola pronunciata, questo davvero sorprende.
La destra va mostrando in ogni modo il suo senso mercantile dello Stato, la sua disinvolta concezione e visione di una società fondata sulla competizione e sull'antagonismo e non più sulla coesione e sulla solidarietà, sorretta solo da una rappresentanza degli interessi che antepone le pretese dei forti ai diritti dei deboli: da una parte assistiamo alla centralizzazione di ogni decisione, al comando unico; dall'altra all'esasperazione delle differenze territoriali, economiche, sociali. Così si scardina il sistema e si fa esplodere il Paese.
È difficile non vedere in questo modo di intendere il governo un mutamento profondo e radicale di quel senso di appartenenza alla comunità nazionale che ha permesso all'Italia, non solo in questi decenni di vita democratica, di esistere, di crescere e di affermarsi.
La verità è che Berlusconi, per tenere attaccata alla maggioranza di governo una delle sue componenti, cioè per un calcolo contingente e miope, per un interesse particolaristico non proprio nobile, si prepara a stravolgere non solo la Costituzione repubblicana ma a minare l'unità d'Italia, nel nome di un "padanesimo" intriso di egoismo sociale e di separatismo economico, di disprezzo e di incultura, quando non di xenofobia e di razzismo. Mi domando come le componenti cattoliche e quelle laiche e liberal-democratiche della stessa maggioranza, possano così supinamente subire, accettare e avallare l'attacco a valori fondamentali della nostra comunità nazionale. Come possano queste forze e queste persone così freneticamente plaudire le parole del Santo Padre in Parlamento sulla solidarietà e la coesione sociale, e contemporaneamente avallare la deturpazione di quei valori ( sacri per quella fede ) che dichiarano solennemente di abbracciare.
Sul piano poi più squisitamente politico, proprio nel momento in cui siamo di fronte a notizie allarmanti sullo stato dell'economia nazionale e mondiale, di fronte al rischio certo di compromettere i traguardi raggiunti negli anni scorsi e mentre il Parlamento è chiamato a confrontarsi sulla legge Finanziaria per il 2003, ci viene imposta in Parlamento la discussione su questo Ddl inaccettabile.
Non ci sfugge certo l'importanza dell'argomento e siamo pronti a discutere anche su come migliorare l'applicazione della modifica del Titolo V della Costituzione. Ma non possiamo accettare che, per saziare l'appetito della Lega e darle un contentino dopo averle fatto ingoiare la sanatoria per gli immigrati e la parziale riconferma delle misure del centrosinistra per l'economia ed il Sud, si stravolga l'equilibrio del Paese. Sono per noi inaccettabili l'idea e il principio che la fruizione dei diritti debba essere collegato alla ricchezza prodotta da un territorio aprendo così la strada ad una doppia cittadinanza tra gli italiani.
Rivolgiamo perciò un ultimo appello alla ragionevolezza. A chi giova la fretta di discutere argomenti delicati nei ritagli di tempo? Si discuta la legge Finanziaria, si metta mano alle questioni economiche e sociali, si affronti il caso Fiat e il dramma di quegli operai, si rilanci il sistema Paese! Se, come autorevoli esponenti della maggioranza stessa affermano, questo testo necessita di modifiche, prendiamoci tutti una pausa di riflessione. Una volta che il centrodestra si sarà chiarito le idee noi siamo pronti a discutere. Prova ne sia che abbiamo proposto di tenere una sessione parlamentare sulle questioni istituzionali, a partire dalla perfettibilità di quanto contenuto nella modifica del Titolo V della Costituzione. Non chiediamo al governo di condividere ciò che il centrosinistra ha fatto sulle questioni costituzionali. Ma non è utile al Paese che l'unica preoccupazione del centrodestra sia la promessa di cancellare ciò che si è utilmente prodotto.
A noi interessa dare il nostro contributo per cambiare il Paese in meglio. Per questo siamo disponibili. Altrimenti ad un continuo e devastante uso delle istituzioni del nostro Paese noi ci opporremo con tutti gli strumenti che ci sono concessi avanzando le nostre proposte per una Italia unita e solidale.