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Unità-Grancassa di governo

26.08.2003 Grancassa di governo di Paolo Leon L'ultima proposta del ministro Maroni in tema di pensioni consiste nel lasciare in busta paga al lavoratore che prolunga la richiesta di andare in p...

26/08/2003
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l'Unità

26.08.2003
Grancassa di governo
di Paolo Leon

L'ultima proposta del ministro Maroni in tema di pensioni consiste nel lasciare in busta paga al lavoratore che prolunga la richiesta di andare in pensione di anzianità, il 32,7% dello stipendio, altrimenti destinato all'Inps. Il ministro pensa che, se andasse in pensione, il lavoratore non pagherebbe naturalmente i contributi all'Inps, mentre la pensione di anzianità che l'Inps gli passerebbe sarebbe in ogni caso superiore al 32,7% dei contributi.

In definitiva, l'Inps guadagnerebbe la differenza tra la pensione di anzianità che avrebbe dovuto liquidare e i contributi non pagati. L'idea è ingegnosa, ma non così fruttuosa come appare a prima vista. Non tutti i lavoratori che possono andare in pensione di anzianità ci vanno, anche perché la pensione è notevolmente più bassa del salario. Con il sistema proposto dal ministro, invece, converrà quasi a tutti rimandare il momento della pensione, e l'Inps perderebbe i contributi di coloro che avrebbero comunque rimandato l'uscita dal lavoro. Una volta in busta paga, i contributi pagheranno l'imposta sul reddito che, secondo la riforma Tremonti, sarà del 23% per reddito imponibile: in questo modo, quell'incentivo si riduce di quasi un quarto, e occorrerà ricalcolare quanti lavoratori rimanderanno effettivamente l'entrata in pensione. Il punto, tuttavia, è che un tale incentivo rappresenterebbe un'ingiustizia rispetto ai lavoratori che non hanno diritto alla pensione di anzianità: ci si troverebbe di fronte ad un aumento salariale che per coloro che continuano a lavorare sembrerà perfettamente legittimo pretendere. Spero di sbagliarmi, ma sarà difficile spiegare come mai, per lo stesso lavoro, un lavoratore guadagna il 32,7% più del suo vicino. Il fatto che un diverso trattamento pensionistico, tra anzianità e vecchiaia, fosse accettato nel passato, non significa che nel futuro venga accettato un diverso trattamento salariale.
Occorre dare atto a Maroni che sta cercando di fermare sia l'inarrestabile sete di entrate di Tremonti, le cui promesse di tagli alle tasse, se fossero reali, lo costringerebbero a ridurre drasticamente i servizi pensionistici, sanitari e dell'istruzione, sia il desiderio di Berlusconi di apparire il primo della classe, ora che il presidente di turno dell'Unione Europea. Il problema di Tremonti è che se non si procede verso una riduzione effettiva o delle imposte o dei contributi a carico dei datori di lavoro, e cioè non si crea una svalutazione amministrativa (non potendo più svalutare l'inesistente lira), il governo perde i favori della Confindustria, che a sua volta non sa come altro uscire dalla recessione; ma i voti della Confindustria sono molto meno numerosi di quelli dei pensionati, dei malati, degli studenti. Il problema di Berlusconi è che l'Italia è già la prima della classe con le riforme fatte dal centrosinistra sulle pensioni e sulla sanità, e far meglio ancora, mentre lo renderebbe solo marginalmente più virtuoso e perciò non abbastanza da farlo accettare come un vero presidente europeo, metterebbe a rischio parte del suo stesso elettorato. Maroni, d'altro canto, risponde all'interesse elettorale di Bossi, che teme di perdere il voto dei pensionati leghisti, che glielo hanno dato proprio in reazione alle riforme pensionistiche del centrosinistra. Può darsi che Maroni, e per lui il governo, speri nel ruolo di pontieri che la Cisl si è assunta con il precedente patto per l'Italia. Credo che si sbaglierà.

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