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Unità-Il premier che non c'è

Il premier che non c'è di Antonio Padellaro Colpiscono lo sguardo stanco di George W. Bush, il viso solcato di Tony Blair. Fanno pensare al peso di una decisione tremenda. Ci chiediamo come vivo...

20/03/2003
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l'Unità

Il premier che non c'è
di Antonio Padellaro

Colpiscono lo sguardo stanco di George W. Bush, il viso solcato di Tony Blair. Fanno pensare al peso di una decisione tremenda. Ci chiediamo come vivono queste ore. Se la notte riescono a dormire. Se avranno vacillato quando il Papa ha detto: ne risponderete davanti a Dio. Davanti al Parlamento che vota sulla guerra, Silvio Berlusconi, invece, è allegro, sorride, non sta fermo sulla sedia, qualcosa di molto piacevole lo agita. Mima un applauso quando Rutelli rilegge, una per una, le ultime 16 dichiarazioni del presidente del Consiglio sull'Iraq. Sedici posizioni diverse. Sedici posizioni cambiate in 16 giorni. Tutto e il contrario di tutto. Barcolla sotto i colpi delle sue stesse parole che lo schiaffeggiano irridenti. Poi finge superiorità. Ride. Fa sì, sì con il capo, rivolto divertito ai suoi come per dire: cosa mi tocca sentire... Dai banchi della destra, alcuni compari fanno sì, sì, e se la spassano un mondo.

Del presidente Bush fa discutere l'intensità del richiamo religioso. La fede nel Dio degli eserciti professata con le zelo del cristiano rinato, e quell'ostentato rivolgersi a un'entità superiore rivelano comunque un senso delle proporzioni. L'uomo più potente del mondo, cerca un alibi soprannaturale, si fa piccolo, prega in pubblico, forse ha paura. Anche se quando indica il cielo e dice: lui lo vuole, il mondo rabbrividisce.

Berlusconi, invece, è molto contento di sè, non ha bisogno di aiuti. Lo vediamo alla Camera mentre si pavoneggia. Si vanta. Si compiace. Si loda. Si promuove a pieni voti. Dice di aver compiuto "un capolavoro politico-diplomatico". Anche se fosse vera, sarebbe un'affermazione insensata, offensiva, completamente fuori luogo nel momento in cui la guerra porta il mondo verso l'ignoto e il Dipartimento di Stato americano annuncia "attentati terroristici su larga scala".

È l'unico premier al mondo che festeggia qualcosa. Dai banchi dell'opposizione lo interrompono. Per quello che dice e per come lo dice. Lui si altera, irrigidisce il busto nel doppiopetto bombato e si torce minaccioso verso sinistra. Cerca di darsi un tono. Alza la voce. Scandisce le sillabe come deve aver visto fare ad un altro in qualche film Luce.

Del premier britannico Blair ricorderemo la sfida per convincere la Camera dei Comuni della giustezza di una causa sbagliata. La fatica lo piega, il partito laburista si sfarina sotto i suoi occhi, ma lui si batte con tutte le forze, minaccia le dimissioni, cerca di convincere uno a uno i dissenzienti. Si merita il rispetto anche di chi pensa che stia commettendo un tragico errore volendo la guerra. Il premier italiano, invece, prima dice di no alla guerra e poi la approva come se niente fosse. Sta con l'Onu e contro l'Onu. Dice di apprezzare le parole di pace del Papa ma solo per ignorarle meglio. Una recita insopportabile che fa esclamare al leader dei Ds: "Abbia il coraggio di assumersi la responsabilità di questa guerra".

Un governo senza credibilità, privo di spina dorsale rende più drammatica una situazione già di per sè spaventosa. E purtroppo siamo solo all'inizio. Con un simile presidente del Consiglio l'Italia affronta una guerra dagli sviluppi imprevedibili. Per affrontare questa traversata nel deserto occorre una guida autorevole, capace, rispettata all'estero, in grado di tenere unito il paese e con il giusto senso dell'orientamento quando si tratterà di prendere nuove importanti decisioni. Sarebbe anche interesse dell'opposizione, che sui valori della pace ha realizzato una compattezza che le mancava da molto tempo, confrontarsi con un governo degno di questo nome. Ma chi può sperarlo dopo lo spettacolo offerto ieri a Montecitorio?