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Unità-In cerca dell'interesse nazionale

In cerca dell'interesse nazionale di Furio Colombo Questo giornale è poco adatto al dietrismo e alle labirintiche ricostruzioni di passaggi e percorsi dietro le quinte di ciò che è accaduto al...

15/12/2002
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l'Unità

In cerca dell'interesse nazionale
di Furio Colombo

Questo giornale è poco adatto al dietrismo e alle labirintiche ricostruzioni di passaggi e percorsi dietro le quinte di ciò che è accaduto alla Fiat. Sappiamo quello che vediamo, insieme agli altri cittadini. E per una volta siamo bipartisan perché siamo senza sgabelli e senza passaggi privilegiati, tra il pubblico.
Quel che vediamo è un Paese che ha perso prestigio. Esibisce negli incontri internazionali le frasi senza senso del ministro Castelli sul razzismo (come sapete il ministro della Giustizia italiano, da solo e senza ragionevoli spiegazioni, rifiuta prima le rogatorie internazionali, poi il mandato di cattura europeo e infine la definizione di razzismo, quella dei dizionari, che tutti accettano). E le corna di Berlusconi, che finge per mesi di fare il ministro degli Esteri, va negli Usa a offrire soldati per una guerra imminente (che nessuno gli ha spiegato e che lui non ha spiegato a nessuno), va in Russia per dire con Putin che quella guerra non si farà, accoglie i Palestinesi a Palazzo Chigi il 18 ottobre ma l'11 dicembre giura al Presidente israeliano che non li vede da marzo. E trascorre tutto il tempo sulle pagine dei giornali e nelle televisioni del mondo, a negare oggi ciò che ha detto ieri e che risulta registrato, filmato e stampato dappertutto.
Mente, in particolare, il presidente del Consiglio italiano, su fatti economici e su fatti d'impresa.
Tutte (tutte) le affermazioni sue e dei suoi ministri sull'economia italiana sono risultate non vere. Tutte le previsioni, le valutazioni, gli annunci sono del tipo che farebbe perdere reputazione a un pubblicitario: dati e fatti senza alcun fondamento.
Avrebbe delle giustificazioni, delle attenuanti, per lo scarto pauroso che si verifica ogni volta fra ciò che Berlusconi ha detto e la realtà. La situazione internazionale è tutt'altro che buona. Ma lui si impegna da solo (e con tutto l'aiuto dei suoi yes men ) ad apparire ridicolo quando insiste nel celebrare il prossimo ponte di Messina mentre i rettori di tutte le università italiane si dimettono per mancanza di fondi, mentre viene reintrodotto in tutte le regioni governate "alla Berlusconi" il ticket sulle medicine, mentre la sanità pubblica è in crisi di risorse, mentre ci sono medici specializzandi che fanno lo sciopero della fame, mentre vengono drasticamente tagliati i fondi per il funzionamento e le indagini della Procura anti-mafia, un fatto che - da solo - è già uno scandalo internazionale.
Intanto le Borse, la new economy, le fonti energetiche, il Pil dei Paesi più ricchi, l'occupazione dovunque davano a tutti i governanti responsabili, di destra e di sinistra, gravi e urgenti ragioni di preoccupazione, di allarme, di ricerca di vie d'uscita o almeno di protezioni. Invece l 'Italia di Berlusconi era impegnata esclusivamente ad accumulare sacchetti di sabbia contro la giustizia. E a far avanzare a tappe forzate uno scriteriato progetto di secessione detto "devolution", forma inedita e anarcoide di potere locale senza rapporti e mediazioni col governo - si fa per dire - federale.
Può l'Europa, di cui siamo parte e con cui siamo un unico mercato, non avere notato che Camera e Senato italiani, per un anno intero, non si sono mai occupati di economia, e hanno votato esclusivamente l'abolizione del falso in bilancio, la detassazione delle eredità miliardarie, il blocco delle rogatorie internazionali, una ridicola e impresentabile versione della legge sul conflitto di interessi e la legge Cirami che consente di sfuggire ai processi?
* * *
Questo dunque è il contesto, un contesto di screditamento, ridicolo e operetta che riduce statura e prospettive di qualsiasi impresa italiana. In quel contesto viene avanti la crisi della Fiat, con la sua natura ancora avvolta - per un riflesso di introverso orgoglio aziendale e rifiuto di comunicare che non è la risposta giusta - in un grande silenzio, in alcune leggende cattive che parlano di fine e di consumazione del ciclo, e in alcune leggende benevole, quasi fiabesche sul tesoro ritrovato, sfortunatamente non vere.
Per la Fiat - che entra, con il suo impiego di massa da un lato, con il suo tipo di prodotto dall'altro, direttamente nella vita degli italiani, la cosa giusta sarebbe stata un comunicare diretto con l'opinione pubblica, che è il suo unico vero sostegno (chi compra, chi giudica, chi influenza il giudizio in Italia e nel mondo). Ma anche: chi vota.
La cosa giusta sarebbe stata tenere le distanze fin dall'inizio rispetto a un governo che, nella aperta valutazione della comunità internazionale degli affari, è certamente incapace, occupato solo nei propri interessi, dunque anche rivale.
La cosa giusta sarebbe stata occupare lo spazio di comunicazione sia verso il mondo del lavoro, sia verso "il pubblico", ovvero i cittadini italiani, partner indispensabili dei periodi di buon andamento e - più ancora - nei momenti di grave pericolo come questo.
Il silenzio introverso e ostinato dei vertici della Fiat ha permesso le scorribande allegre e incoscienti del venditore di Panda camuffate da Ferrari, del liquidatore festoso che vuole liberarsi dell'ultimo ostacolo al suo mondo di cartapesta, di uno che disprezza con antico qualunquismo il mondo del lavoro industriale.
Ricordate la grande mobilitazione di milioni di lavoratori, il 23 marzo, in difesa dell'articolo 18? Il presidente del Consiglio l'aveva definita "una scampagnata pagata" i cui partecipanti non sapevano dove andavano e perché. E adesso gli scioperi per salvare il vero capitale della Fiat - il lavoro - gli danno noia e fastidio, e li vuole raccontare come una barzelletta, li vuole additare alla ostilità dei tanti italiani che invece capiscono il rischio e si sentono solidali.
Nel vuoto, l'iperattivismo spesso venato di squilibrio umorale, del presidente del Consiglio, ha fatto i suoi danni. Ha peggiorato il contesto internazionale, aggravato l'allarme di opinioni pubbliche del mondo (e dunque dei mitici mercati), ha incattivito i rapporti lavoro-impresa (un tempo persino modesti governi si impegnavano, per prima cosa, ad avviare mediazioni), ha cercato di isolare il lavoro e di mettere le mani sull'impresa in cerca (c'è il legittimo sospetto) di un suo tornaconto.
* * *
Ma la storia non è chiusa, anzi è in sospeso, e alcuni protagonisti avranno un ruolo decisivo per le sorti di un impresa e di un settore del lavoro italiano che hanno un peso grandissimo sul futuro di questo Paese.
Al governo bisognerà chiedere di tenersi lontano, di far sentire il meno possibile il fiato micidiale del conflitto di interessi, del decidere secondo proprie convenienze, del puntare e giocare non a nome del Paese ma a nome delle proprie ditte.
Dalla Fiat si deve sperare che capisca subito che, in una crisi come questa, i lavoratori sono alleati e che i cittadini, tutti coloro che si sono scostati o che hanno sospeso un legame che è stato molto forte in passato, sono azionisti con un peso grandissimo. È urgente abbassare i ponti levatoi per farsi capire, per rendere leggibili le decisioni, per fare insieme invece che contro, visto che tutto ciò ha un'importanza grandissima.
Nel 1975, mente insegnavo a Berkeley, ho trovato un gruppo di persone intorno all'utilitaria che usavo in quel tempo e che avevo lasciato in un parcheggio. "Perché non usa una macchina americana? Lo sa quanti disoccupati ci sono a Detroit?" mi hanno chiesto.
Nessuna agenzia di pubblicità crea un simile messaggio. Ma il messaggio era passato perché qualcuno aveva voluto comunicare, invece di chiudersi nella fortezza della solitudine dove entrano solo azionisti, banche, esperti, e presunti esperti. Certo, alcuni di loro sono parte del gioco, Ma non bastano.
I sindacati - anche quando disturbano il mondo di cartapesta di Silvio Berlusconi e i suoi immaginari successi che stanno danneggiando non poco l'Italia - sono l'interlocutore indispensabile, l'unico vero partner della ripresa, se non ci si vuole abbandonare alla breve consolazione delle parole e dei comunicati. L'ostinazione dei sindacati, la loro unità, sono segni di determinazione, dunque di ottimismo. Sono, al momento, l'unica garanzia.
Ma come si fa a non capire che si crea istantaneamente il sostegno di tutto un Paese (sostegno indispensabile per una vera ripresa) nel momento in cui si ha il coraggio di annunciare che riapre - riapre subito e davvero - la fabbrica di Termini Imerese, il luogo da cui comincia il rapporto di fiducia fra cittadini, sindacati e impresa?
Certi simboli sono più grandi degli indicatori economici. E certi indicatori economici si spostano dal brutto tempo al tempo migliore a causa di ostinate volontà di tutto un Paese che vede e condivide e vuole insieme le stesse cose.
La sinistra, l'opposizione, sostengono i sindacati, che stanno cercando di partecipare ad un salvataggio che riguarda l'Italia e che - a dispetto di questo strano governo di affari riservati ai soci - è il vero obiettivo di una vasta maggioranza degli italiani.
Non sarà un progetto bipartisan, perché loro, intanto, hanno da fare a censurare i libri di storia, a licenziare Enzo Biagi, a mettere in onda il sorriso triste della bocca sdentata della Rai.
Non sarà un progetto bipartisan, ma in un altro Paese si chiamerebbe "interesse nazionale".