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Unità-Italia, intellettuali senza mondo

.11.2002 Italia, intellettuali senza mondo di Piero Sansonetti Gli intellettuali italiani recentemente hanno mandato dei segnali di ritorno alla politica. Di ripresa di interesse dopo parecchi a...

24/11/2002
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l'Unità

.11.2002
Italia, intellettuali senza mondo
di Piero Sansonetti

Gli intellettuali italiani recentemente hanno mandato dei segnali di ritorno alla politica. Di ripresa di interesse dopo parecchi anni di sonno. È una cosa positiva. Il movimento dei girotondi è nato soprattutto sotto il loro impulso. La battaglia per la giustizia, per la legalità economica, e la lotta allo strapotere di Berlusconi '#8211; sul piano dell'impunità e sul piano del monopolio - hanno visto un impegno straordinario e molto importante della "intellighenzia". Gli intellettuali si sono assunti anche il ruolo di pungolo verso la sinistra tradizionale, e si sono distinti, talvolta rumorosamente, per le loro posizioni di polemica verso le incertezze dei partiti di opposizione, l'assenza di radicalità, e contro una real-politik, giudicata inutile e fuori del tempo.

La grande manifestazione del 14 settembre, a Piazza San Giovanni, con oltre mezzo milione di persone, è stata il momento più importante di questa nuova stagione. Una manifestazione indetta e gestita dagli intellettuali, fuori dai partiti tradizionali.

Proprio per questo trovo difficile da spiegare l'assenza vistosa degli intellettuali sui temi posti dal grande movimento di massa che da almeno due anni sta scuotendo la politica in Italia e in tutto l'occidente: il movimento no-global. Non solo non si è assistito ad una rivolta, a un moto di indignazione per la retata compiuta dalla magistratura di Cosenza nei confronti di alcuni dirigenti del movimento, accusati di reati squisitamente di opinione. (Ai cortei di protesta dei giorni scorsi, tra i nomi più noti, si sono presentati solo Nanni Moretti e Pancho Pardi, e questo fa loro onore). Ma non si è neppure letto né ascoltato quasi nulla sulle grandi questioni poste a Firenze al forum sociale europeo. Perché?

È importante che gruppi vasti di intellettualità si mobilitino su temi, semplici, sui quali si trova facilmente l'unità. Come l'opposizione a leggi che modificano lo svolgimento di processi penali in corso, e avvantaggiano il capo del governo e altri esponenti della maggioranza. O come la lotta contro l'assenza di pluralismo televisivo, che ha portato il nostro paese ad essere l'unico dell'occidente (e non solo dell'occidente) che ha un solo proprietario per sei su sette delle reti televisive nazionali. Ma è possibile che la mobilitazione debba fermarsi qui?

Il movimento no-global, al quale partecipano organizzazioni e associazioni cristiane, ambientaliste, socialiste, comuniste e anarchiche, ha posto in modo clamoroso almeno tre questioni rilevantissime. La prima è la contestazione del liberismo e la rottura di uno schema decennale che definiva l'attuale sistema capitalistico il migliore dei sistemi possibili ed escludeva un pensiero contrario. Il movimento no-global chiede un mondo che superi gradualmente il liberismo, e avanza molte proposte concrete a questo scopo: su come gestire, fuori del mercato tradizionale, alcune risorse essenziali per la vita dell'uomo: per esempio l'acqua, il cibo, le medicine, l'agricoltura, l'aria, l'ambiente, il lavoro, i diritti. Opponendosi alla linea delle privatizzazioni che dal 1989 in poi si è affermata in quasi tutto l'Ovest e il Nord del mondo come linea unica e incontestabile.
La seconda questione che pone il movimento è la fine della guerra - come strumento politico e come mezzo per stabilire i rapporti di forza tra popoli e Stati - e quindi l'avvio della smilitarizzazione del mondo, cioè di una inversione di tendenza nella storia dell'uomo.

La terza questione che pone '#8211; la meno radicale: potremmo dire la più liberale '#8211; è la fine della blindatura dei confini dei paesi ricchi, e la riaffermazione del diritto naturale alla libera circolazione degli uomini (la globalizzazione della migrazione). Naturalmente sono questioni assai complesse. Richiedono studio, analisi, conoscenza, capacità di acquisire informazione, dati, e di utilizzarli per verificare la fattibilità dei progetti. E richiedono un radicale mutamento delle agende politiche. In molte università europee, americane, africane e asiatiche, questo lavoro è in corso, e infatti il movimento no-global, tra i tanti movimenti di massa apparsi nell'ultimo mezzo secolo, è quello che utilizza, sul piano internazionale, il maggior numero di intellettuali e che ha prodotto la più grande mole di lavoro sul terreno delle teorie.

Perché in Italia - che pure è il paese del mondo dove il movimento è più forte, e dove è riuscito a coinvolgere fasce molto grandi della gioventù '#8211; resta così modesta la partecipazione degli intellettuali alla vita e alle elaborazioni del movimento? Perché i nostri intellettuali sembrano disinteressati '#8211; o spaventati - dalla complessità dei temi posti dai no-global?

La funzione degli intellettuali oggi è decisiva. Sia per quel che riguarda l'elaborazione, sia per la funzione insostituibile di mediazione tra il movimento e la politica istituzionale. Il problema della politica italiana '#8211; soprattutto per la sinistra '#8211; non è certo quello dell'ostilità preconcetta verso il movimento. Non c'è ostilità. Il problema è la grande difficoltà a capire, ad entrare in sintonia coi temi che il movimento pone, e a prendere coscienza del fatto che non sono temi che si affiancano ai problemi tradizionali, ma li sopravanzano, ne costituiscono la cornice, il quadro, il presupposto. La globalizzazione non è una parte della battaglia politica italiana: è il contenitore. Del resto ogni tanto le parole sono utili a definire le cose, e sulla "vastità" della parola globalizzazione non ci possono essere equivoci.

È probabile che questa difficoltà a capire, e quindi a riscrivere le agende, dipenda anche dall'assenza della mediazione degli intellettuali. In Italia, sul terreno politico, l'intellettualità oscilla spesso tra un ruolo subalterno ai partiti e una posizione ribelle di "radicalità-moderata". Bisogna invertire questa tendenza. Ritrovare l'autonomia e il protagonismo. È difficile entrare nei ragionamenti del movimento, richiede fatica, capacità di far ripartire da zero analisi e discussioni. Però ormai è una esigenza molto urgente. Se questo non avviene, tutta l'intellettualità politica italiana finisce per bruciarsi, per deperire, per tagliarsi i ponti verso il nuovo.