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Unità-Italia sull'orlo della crisi istituzionale

Italia sull'orlo della crisi istituzionale di Furio Colombo Sappiamo tutti che cosa è la "devolution". La parola è presa d'accatto da una lingua e da una situazione che non hanno alcun rapporto...

05/12/2002
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l'Unità

Italia sull'orlo della crisi istituzionale
di Furio Colombo

Sappiamo tutti che cosa è la "devolution". La parola è presa d'accatto da una lingua e da una situazione che non hanno alcun rapporto con le vicende del nostro Paese. Si riferisce a una legge ambigua, brutta, confusa, destinata a far danno. Lo scopo è di lasciare un segno (in questo caso una ferita grave) come ricordo dello sgangherato passaggio al governo della Lega Nord.

Ma adesso, prima ancora di produrre il suo danno, la "devolution" apre la crisi istituzionale più grave della Repubblica. Da una parte il Capo dello Stato, che ha deciso di lanciare l'allarme, indicando come primo tema del danno la scuola, chiedendosi ad alta voce se sia mai possibile un sistema scolastico sconnesso e scardinato che ha come unico punto di riferimento la "cultura locale" . Oggi. In Europa. Al presidente della Repubblica si è unito il presidente della Camera dei deputati Casini che non ha esitato a condividere i motivi di allarme. Sia pure in modo più tiepido e indiretto,si è unito persino il presidente del Senato. Questa volta, infatti, il problema è apparso subito troppo grave. Lo aveva denunciato tutta l'opposizione, sapendo che la Lega e il suo disinvolto leader Bossi, in cerca di una ragione politica di esistere, stavano spingendo l'Italia verso la secessione di fatto.

La Lega, tranne il progetto di divedere e spaccare l'Italia e quello - già realizzato per legge - di perseguitare gli immigrati, non ha molto da dire ai suoi elettori (che del resto sono il tre e qualcosa per cento) e al Paese. Si può capire la sua rabbiosa ostinazione, pena il cadere nel vuoto. Ma la Lega esiste elettoralmente perché Forza Italia e Berlusconi l'ha letteralmente portata a spalla alla Camera e al Senato.

Perciò la Lega, additata come un pericolo dalle massime istituzioni dello Stato, si rivolge al protettore-alleato. Ed è qui che nasce in tutta la sua gravità la crisi istituzionale. Berlusconi, spensieratamente, si schiera con Bossi contro Ciampi, si schiera con la Lega contro il presidente della Repubblica, si dichiara sodale di Borghezio (quello che incendia i giacigli degli immigrati e li chiama "faccia di merda", in nome della cultura locale da insegnare nei licei), di Gentilini (quello che abbatte le case degli immigrati legali e vuole farli tornare a casa nei vagoni piombati, in nome di una "razza Piave" che certo sarà illustrata nelle sue scuole padane) contro il presidente della Repubblica, il presidente della Camera, il presidente del Senato. E il resto del paese.
La Lega sarà anche un partito piccolo, irrilevante (in qualsiasi altro paesaggio politico) e privo di proposte sensate. Ma così spalleggiata da uno che ha mezzi finanziari, giornali e televisioni, si sente libera di esprimersi secondo la sua cultura locale, che è la maleducazione.
E allora Bossi fa sapere che il presidente della Repubblica è una "interferenza" nel suo lavoro parlamentare. Implica che non se lo deve permettere. (La Padania, 4 dicembre, pag. 1 e 3)

E il capo gruppo leghista alla Camera on. Cé, per esser sicuro che non lo si accusi di rispetto per le istituzioni, aggiunge che il "presidente della Repubblica dovrebbe smettere di generare confusione" (Tg1, 4 dicembre, ore 20.00).

La frantumazione si estende all'interno della maggioranza. Possibile che siano d'accordo tutti con un simile comportamento? Follini, e Buttiglione, per il CDU, fanno sapere che no, non sono d'accordo. Altri si limitano a far mancare (anche quattro volte di seguito) il numero legale alla Camera, dove dovrebbe compiersi il grave vulnus della legge Bossi. Altri ancora forse parleranno. Ma il presidente del Consiglio, evidentemente incapace di capire la gravità di quello che sta facendo, vede lo spacco e lo aggrava. Vede il contrasto con il Quirinale e lo allarga. Si schiera con Bossi e contro tutte le Istituzioni. Il giudizio sul senso della legge non c'entra più. E' venuto meno non solo un comportamento essenziale e dovuto ma anche una elementare prudenza. Se invece di yes men fosse circondato da qualche costituzionalista e da qualche amico non a libro-paga, il consiglio sarebbe certo stato: un capo di Governo non gioca allo scasso. Ma Berlusconi, che come si è visto anche a proposito della Fiat, in questo periodo ha le idee particolarmente confuse, vuole giocare. Come si dice ai tavoli di gioco, bisognerà andare a vedere le sue carte. Il presidente Casini non ha avuto esitazioni a rilanciare: "La maggioranza dei deputati è con me". E' una frase grave. Descrive bene il passaggio pericoloso a cui l'Italia è stata spinta dalla politica di Berlusconi-Bossi. Sull'orlo del non ritorno.