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Unità-La pace non è un intervallo

pace non è un intervallo di Furio Colombo Questa non è una riflessione ottimista. Stiamo cercando una cultura della pace. Dimostreremo che una cultura della pace non esiste. Vogliamo negare e re...

19/12/2002
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l'Unità

pace non è un intervallo
di Furio Colombo

Questa non è una riflessione ottimista. Stiamo cercando una cultura della pace. Dimostreremo che una cultura della pace non esiste. Vogliamo negare e respingere non solo una certa proposta di guerra, ma tutto il percorso logico e storico che porta a volere o anche solo a tollerare la guerra. Ma dovremo ammettere che tutto in noi e intorno a noi, dall'istinto alla storia.
Dal legame col territorio ad una percezione pratica del diritto alla difesa, ci orienta verso la cultura della guerra e ci fa apparire buona ma inutile - o addirittura pericolosa - la cultura della pace - questa cultura ci sfugge subito dopo essere stata enunciata. Non riusciamo a costruirla come rigorosa sequenza logica ne immaginare come possa coinvolgere una intera comunità.
1 La vita umana è fatta di azione, la sua cultura è cultura di azione (presenza, intervento, cambiamento, resistenza).
La guerra è azione, profondamente omogenea con la cultura dell'azione: distruggere, conquistare, dominare, costruire.
2 La pace è assenza di'
È celebrata come valore ma vissuta come un intervallo. Nel migliore dei casi intervallo fra il travaglio della nascita e quello della morte.
Tutte le metamorfosi della pace puntano al "riposare" oppure a una condizione superiore, spirituale, celeste, disumana.
Tutti noi amiamo la pace ma non la pensiamo. Concettualizziamo invece tutto il tempo la reazione, la risposta.
3 Guerra e terra, sono legati.
Non esiste il pacifista patriottico, perché non c'è una cultura della pace. C'è un vuoto. Vuoto come la pace, pieno come la guerra.
La guerra si presta a procedure logiche rigorose, critica, verifica, realistico controllo, realistico rifiuto, oppure accettazione con diversi modelli di cultura.
La pace si esalta per principio religioso, per ragioni ideologiche (la guerra dei padroni), per adesione totale alla non violenza.
Solo il principio religioso non si discute e si presta a sfidare l'assurdo.
Il principio ideologico non è che un rovesciamento del principio guerra. È un espediente: guerra no rivoluzione sì.
La non violenza fa riferimento a vari principi cristiani e orientali ed è un po' come lo yoga: un fine o un metodo.
Se è metodo può essere una strategia utile ma episodica e non serve a fondare una cultura della pace.
Se è un principio richiede una totale separazione dai modi di vita.
La cultura della pace
4 Come hanno dimostrato San Francesco, Gandhi, e Martin Luther King, la non violenza come valore è uno scandalo, una rottura logica e anche una contraddizione individuale all'istinto di conservazione per risalire a un istinto collettivo di sopravvivenza che non possediamo.
La cultura della pace non ha niente a che fare col desiderare di essere lasciati in pace.
È attiva, militante, predicatoria, esemplare. Ma dispone di pochissimi argomenti e concetti (di solito una collezione di negazioni). Questo spiega perché il pacifismo in politica è spesso un espediente, un modo di negare per ragioni politiche, un evento indesiderato. Nella morale offre un unico percorso: l'offerta individuale di se stessi al rischio (o al nemico) in nome del rifiuto a combattere. Nella religione si pone come accettazione di un valore assoluto per quanto illogico e sconveniente.
Occorre ripetere il carattere individuale e personale della scelta di pace. È una scelta non sorretta da un sistema di cultura. Persino gli obiettori di coscienza sono accettati o tollerati dalla società solo se c'è un esercito.
5 Un evento italiano ci aiuta a illustrare il vuoto di cultura della pace. Nella città di Bolzano il sindaco ha voluto cambiare nome alla principale piazza cittadina. Si chiamava piazza della Vittoria. È stata chiamata piazza della Pace. Subito la destra italiana, guidata dal vice premier Fini, si è opposta e ha lanciato un referendum popolare. Ha vinto clamorosamente piazza della Vittoria contro piazza della Pace, 80 contro 20 per cento. La vittoria è vista come pace dopo la guerra, alle giuste condizioni.
6 Il fatto è che la cultura della pace per esistere, non può nascere dopo o al momento della guerra. La pace comincia prima.
Comincia nell'educazione della prima infanzia, nel rapporto bambino-bambina, nel concetto di cooperazione in luogo di competizione; nel ripensare lo sport (Tutto lo sport è sport di guerra); nel ripensare meritocrazia, gerarchia, selezione, eliminazione carriera; nel ripensare l'ingresso in massa delle donne, avvenuto a prevalenti condizioni maschili.
7 La pace comincia prima: in una diversa diplomazia, in una diversa visione di frontiere e stati, in una diversa concezione di associazioni e istituzioni internazionali e di meccanismi e sistemi di mediazione. Mediazione compromesso, ascolto, forme espressive, modi di chiedere, ottenere, rinunciare, dare, accettare, rispettare (estensione e limiti) di tutte queste azioni sono i dati di una cultura che, per esistere, deve cominciare prima o altrimenti il pacifismo è solo una mutilazione di realtà.
8 Gli argomenti contro la guerra non ci dicono nulla della pace. Sono l'orrore della guerra, le vittime della guerra, le devastazioni della guerra, le ragioni nascoste e spesso ignobili di una guerra, il costo di una guerra... Nessuna di esse - tranne le accuse di immoralità o di ragioni ignobili, che non riguardano tutte le guerre - oppone alla guerra gli argomenti logici di una cultura diversa o alternativa. La condanna della guerra è tratta dall'elenco dei suoi difetti, ma dentro una sequenza azione-reazione che non prevede percorsi diversi ed efficaci (fermare un nemico, un pericolo, una invasione, una ingiustizia).
9 L'argomento più frequente del pacifismo è "la guerra non è mai la soluzione dei problemi che affliggono la terra". Purtroppo non è vero. Nessuno avrebbe abbattuto i cancelli di Auschwitz senza la guerra. Si può immaginare una cultura capace di impedire Auschwitz prima di Auschwitz. In termini generali quella cultura è la democrazia. Nessuna democrazia avrebbe permesso Auschwitz. È vero.
Ma quando la democrazia, aggredita a tradimento nel bel mezzo della pace e terrorizzata a morte, decide di dedicarsi alla guerra preventiva, salta di colpo nella logica dei suoi nemici e la guerra torna ad essere non una ma la sola risposta.
10 Esistono molte ragioni per opporsi all'idea, alla proposta di guerra preventiva. La più vigorosa è che una guerra preventiva è concepibile solo contro il peggiore e il più pericoloso e minaccioso dei nemici. Ma colpendolo prima la democrazia che attacca si fa moralmente uguale al nemico attaccato. Ne adotta - sia pure per difesa - modalità, crudeltà, spregiudicatezza. Decide che "il tutto" (averi e bambini) di un altro è sacrificabile per la preservazione del mio tutto. È vero che il punto "estremo" della diplomazia internazionale dopo il quale viene la guerra è spesso unilaterale, ideologico, soggettivo. Ma senza dubbio la "guerra preventiva" sblocca l'idea di accettazione della guerra che acquista spazio vastissimo e si libera di ogni limitazione e di ogni regola. In casi come questi gli argomenti della pace diventano solo apparentemente più facili. Finiscono per chieder il ritorno alla vecchia e più limitata idea di guerra. Resta, grandissimo e irrisolto il problema di pensare la pace come cultura attiva e protagonista, interrompendo la metafora maschio-femmina che - come nel mondo della strumentazione meccanica - distingue ciò che agisce in modo attivo, penetra e guida, da ciò che attende, resta passivo e subisce l'azione e l'iniziativa.
Un dualismo da superare
Guerra maschio e pace femmina sono due immagini lungamente coltivate che bloccano l'irrompere di un pensare e agire radicalmente alternativo. Al punto che persino il sacro (vedi Roger Caillois) tende a rivestire la guerra o a rivestirsi di guerra, al punto che la "sacralità della pace" è vista quasi solo come ascesi individuale. Il discorso giunge così a uno dei suoi momenti più difficili nella storia. Per fortuna continua.
11 Oltre la classica alternativa pace-guerra resta l'alternativa guerra politica, con tutti gli strumenti di cui la politica si è arricchita in un mondo di informazione continua (niente può più accadere nel silenzio); e la presenza di istituzioni internazionali che è bene non isolare e non svalutare. Per esempio: la sequenza Putin-Terrorismo ceceno (Mosca, 25-26 ottobre) si è svolta sotto l'urgenza esclusiva di usare la forza per rispondere alla minaccia della forza. I risultati sono noti. E sono diventati ancora più gravi quando quell'episodio è stato usato anche per aggravare la violenza usata dai russi in Cecenia, che aveva provocato la violenza dell'occupazione del teatro. Si è usato il gas nervino. Terrorismo contro terrorismo. Un altro esempio: la sequenza Carter-Clinton e Rabin-Barak.
In entrambe le sequenze, affidandosi alla ricerca instancabile di soluzioni politiche, si era quasi giunti a trovare un punto di minima violenza e di massima salvaguardia di vita dei due popoli, israeliano e palestinese. Ancora un altro esempio: il modo di operare del presidente Kennedy durante la crisi dei missili a Cuba, una situazione in cui il leader americano ha costruito condizioni per " dell'avversario, e creare condizioni di possibile trattativa.
Il percorso alternativo guerra-politica non richiede l'abbandono del realismo (la classica accusa ai pacifisti).
Buone ragioni di Stato e buoni argomenti di cultura tradizionale possono sostenere la ricerca di un processo di pace o di preferenza per l'opzione "pace".

Oggi e domani, a Parigi, intellettuali, scrittori, psicoanalisti e filosofi si confronteranno sul tema della pace, una pace concreta e attiva tutta ancora da immaginare. Questo è il testo dell'intervento di Furio Colombo, previsto per domani.