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Unità-La sinistra del lago ghiacciato

La sinistra del lago ghiacciato di Antonio Padellaro A sinistra ora si parla molto della Battaglia del lago ghiacciato, il gioco evocato da Massimo D'Alema nel corso della presentazione del libro ...

14/12/2002
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l'Unità

La sinistra del lago ghiacciato
di Antonio Padellaro

A sinistra ora si parla molto della Battaglia del lago ghiacciato, il gioco evocato da Massimo D'Alema nel corso della presentazione del libro riformista "Non basta dire no". Se ne parla, perché chi appartiene alla generazione del presidente dei Democratici di sinistra, i cinquantenni o giù di lì, è andato a rovistare nella memoria dei passatempi giovanili cercando di scovare, tra un Risiko e un Monopoli, quel "monaco nero che non contava molto, ma aveva il compito di lanciare invettive contro i nemici". A D'Alema il malaugurante monaco (da non confondere, speriamo, con i lugubri e massonici frati neri del ponte londinese, tomba del banchiere Calvi) è ritornato in mente per analogia sgradevole con personaggi della politica contemporanea: "Noi siamo pieni di monaci neri che non ci fanno vincere ma lanciano invettive...". Affermazione che, naturalmente, non poteva passare sotto silenzio. A molti nella sinistra, e soprattutto nella sinistra dei Ds, sono fischiate le orecchie. A chi alludeva D'Alema? Qualcuno ha fatto il nome di un ex sindacalista, attualmente parcheggiato in una famosa fabbrica di pneumatici, ma si tratta sicuramente di una malignità.
Giustamente per un professionista della politica, così D'Alema si definisce, alla fine l'unico fatturato che conta davvero sono i voti. Tutto il resto sono chiacchiere. E chiacchiere quanto mai dannose se a furia di opporsi, a furia di dire sempre di no, e a furia di girotondi e manifestazioni di piazza, si finisce poi per fare il gioco dell'avversario, si finisce poi per perdere di nuovo le elezioni. Si potrebbe obiettare che l'ultima volta, l'Ulivo le elezioni le ha perse sonoramente, eppure Moretti si limitava a girare film e i futuri girotondisti se ne stavano giudiziosamente a casa, confidando, a ragion veduta, sulla delega affidata ai professionisti della politica.
Questa sarebbe, tuttavia, un'obiezione sbagliata, poiché per tornare a essere maggioranza l'opposizione ha, ovviamente, bisogno proprio di tutti: dei voti dell'opposizione moderata e riformista, e dei voti dell'opposizione cosiddetta radicale, che di voti ne può portare tanti.
Come dimostra il successo del centrosinistra nelle ultime amministrative, tornato a vincere in molte grandi città grazie anche al calore suscitato dai movimenti, come volentieri riconosciuto dal segretario della Quercia Fassino. Senza contare i sondaggi che, concordemente, danno i Ds in crescita, segno che i girotondi alla sinistra non fanno poi così male. A meno che D'Alema non ritenga che l'opposizione cosiddetta radicale possa, alla lunga, influenzare negativamente i tanti elettori moderati ed incerti, sempre più disgustati da Berlusconi ma spaventati dalla presenza di una sinistra troppo intransigente. È come se in Germania, solo per fare un esempio, Schroeder avesse considerato pericolosa per l'Spd l'alleanza con i Verdi, per eccesso di estremismo. Schroeder i voti di Joschka Fischer se li è presi senza tanto sottilizzare, ed è rimasto, felicemente, a fare il cancelliere. Se dunque, come sostiene D'Alema, "la radicalizzazione a sinistra ci porterebbe a perdere tutte le elezioni", cosa deve fare la sinistra cosiddetta normale? Tagliare i ponti con l'opposizione radicale? Rinunciare preventivamente a quei consensi, chiamiamoli anche massimalisti e dogmatici, ma che hanno la loro destinazione naturale nel centrosinistra? Poiché ciò sarebbe assurdo, ci deve essere sicuramente un'altra spiegazione, un'altra soluzione del problema che a noi, in questo momento, però sfugge.
C'è un altro interrogativo che rende opaco il panorama dell'opposizione. Riguarda il futuro della minoranza diessina, la sinistra oggi organizzata intorno all'associazione Aprile. Sull'"Unità" di ieri abbiamo letto una dichiarazione di intenti così sintetizzata: "Niente scissioni, ma la sinistra va oltre i Ds". Si parla anche di un'assemblea programmatica e di uno statuto nel quale si definirà se e come mantenere un legame con i Ds. Non sono certo affermazioni tranquillizzanti. Già il fatto che i maggiori esponenti di Aprile, da Giovanni Berlinguer a Fabio Mussi, debbano continuamente smentire le voci di una scissione è il segno di un clima psicologico non proprio sereno, di una tensione che, un anno dopo il congresso di Pesaro, non riesce a scaricarsi nella normale dialettica di partito. E cosa vuol dire: andare oltre i Ds? E l'espressione: mantenere un legame con i Ds, a cosa prelude? C'è poi, tuttora irrisolto, il ruolo di Sergio Cofferati, il presidente della fondazione Di Vittorio che, continua a partecipare alle manifestazioni di Aprile, ma che per il momento tace. Un silenzio legittimo, ma un silenzio che pesa e che viene usato per accreditare le voci più allarmanti e dannose sull'esistenza di un partito di Cofferati, che dovrebbe chiamarsi partito del lavoro. Un grosso ramo della Quercia, dicono, destinato prima o poi a staccarsi dal tronco. Poiché anche ciò sarebbe assurdo, ci deve essere sicuramente un'altra spiegazione, un'altra soluzione. Sul lago ghiacciato la sinistra stia attenta a non scivolare.