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Unità-New Global, dialogo tra due mondi

New Global, dialogo tra due mondi di Claudio Martini* Fedele ai suoi valori di apertura e tolleranza, Firenze ha ospitato il Social forum europeo e le istituzioni hanno assolto al loro compito: a...

19/11/2002
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l'Unità

New Global, dialogo tra due mondi
di Claudio Martini*

Fedele ai suoi valori di apertura e tolleranza, Firenze ha ospitato il Social forum europeo e le istituzioni hanno assolto al loro compito: ascoltare la società civile, le spinte che da essa provengono, gli orientamenti che, in particolare, le giovani generazioni esprimono. Sono e resto convinto che garantire il dialogo tra mondi, anche solo apparentemente incomunicanti, sia una sorta di obbligo morale per noi che non vogliamo lasciar andare alla deriva i rapporti tra individui e comunità. Ora che quella moltitudine di giovani - tanti quanti non se n'erano mai visti a Firenze - ha lasciato la città dopo dibattiti appassionati e senza alcun episodio di violenza, è tempo di riflettere e considerare ciò che quei giovani ci hanno detto. Alcuni commentatori politici di vario orientamento sostengono che il Social forum di Firenze creerà molti problemi alla sinistra e all'Ulivo, sarà motivo di imbarazzo e di divisioni.

Devo dire che a Firenze ed in Toscana si respira, invece, un clima diverso: c'è entusiasmo, si è riaccesa la passione politica e civile, anche al di là del nostro elettorato. C'è un riavvicinamento di tanti cittadini - a partire dai giovani - alla politica, alle istituzioni, alla sinistra. E allora, più che i rischi vedo le opportunità. Credo che per i Ds e per l'Ulivo si sia aperta una nuova stagione, un nuovo spazio di relazioni e di iniziativa. Dobbiamo utilizzarli bene se vogliamo rispondere alla crescente domanda di "buona politica". Tantissimi cittadini ci chiedono di non richiudere la breccia aperta nella nostra ordinaria routine. Non si tratta di accodarci ai movimenti o di identificarsi con essi. Al contrario, siamo chiamati a sviluppare al massimo la nostra cultura riformista, vivendola finalmente per le spinte innovatrici che produce e non per i rischi che ci fa scansare. Definendola non per quanto è distante da un vago massimalismo, ma per quanto è vicina alle aspirazioni ed alle emozioni dei giovani. Non è un esercizio così spericolato' Dobbiamo investire con intelligenza e coraggio sul dialogo con i giovani di Firenze, senza temere le differenze. Propongo anzi di prendere il toro per le corna e di ragionare proprio sui nodi più difficili. Provo a fare qualche esempio.

Prendiamo il tema oggi più cruciale: la pace. Il messaggio della grande manifestazione di Firenze è molto chiaro: no alla guerra in Iraq, anche se votata dall'Onu. Si può riconoscere che non è un messaggio compiutamente "politico" e che non tiene conto del valore che, proprio per ragioni pacifiste, è doveroso attribuire all'Onu. E tuttavia, se non ci si ferma alla superficie, se si accetta di ragionare più a fondo non possiamo non renderci conto che le spinte etiche, così diffuse e così ricche, contenute in quel rifiuto tout court della guerra, sono un'ottima merce in questi tempi di egoismi cinici e di furba indifferenza. Ci sono poi critiche alle "logiche proprie dell'iperliberismo, che si alimenta della guerra". Dobbiamo pur confrontarci rigorosamente con questi giudizi. Quale è la nostra analisi sul rapporto tra mercati sregolati e neo-militarismo?

Ma, al di sopra di tutto, c'è il sentimento che "questa" guerra sia sbagliata, che andare in Irak sarà una sciagura. Ho sentito su questo punto argomenti simili a quelli da noi usati nel seminario sulle riforme, a Firenze: il terrorismo non c'entra, la minaccia atomica non è dimostrata, la polveriera mediorientale può esplodere. Tanti sospettano che il vero motivo sia il petrolio o il controllo di quell'area geografica. O la voglia di crociata di Bush.

Non può quindi essere solo questione di procedure, e non possiamo - proprio noi - fermarci a questo. Non basterà un voto dell'Onu per rendere giusta - nel cuore e nella testa dei giovani - una guerra che ha questo marchio e che ucciderà migliaia e migliaia di civili inermi, a cominciare dai bambini.

Qui la nostra cultura politica deve fare un salto coraggioso, affrontando in modo non difensivo anche la questione, il "nodo" dell'uso della forza a fini di pace. Io non arrivo a negare a priori questo tema, ma la questione non si può porre fuori da un investimento forte sui diritti umani, contro le ingiustizie del nostro tempo.

Propongo due paradossi sul tema. Il primo. L'uso della forza potrebbe anche essere l'estremo strumento di una vera politica di cooperazione, di solidarietà, di sviluppo equo. Ma dov'è oggi questa politica? Il secondo. Per usare la forza in modo giusto servirebbe innanzitutto una "autorità morale" che oggi nessuno ha, neanche gli Usa, perché è stato dilapidato un patrimonio di credibilità sull'altare degli interessi di parte. Ecco un terreno di lavoro nuovo: se vogliamo che un giorno ci sia comprensione tra quei giovani sull'idea di un uso davvero pacifico della forza, allora dobbiamo scongiurare oggi la guerra preventiva all'Iraq, e giocare tutte le nostre carte su un'idea nuova e giusta di governo mondiale (Pse, se ci sei batti un colpo'). Ed ecco il nostro tema: il riformismo come esperienza che dà forma concreta alle idee di giustizia, di solidarietà, di pace. E che offre una sponda vera ai sogni dei nostri giovani. Si può fare.

*Presidente Regione Toscana