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Unità-Piccolo dizionario della pace e della guerra

.2003 Piccolo dizionario della pace e della guerra di Furio Colombo La guerra, da noi, in Italia, comincia in casa. Comincia istigata dal primo ministro contro chiunque si opponga ai suoi monolo...

08/02/2003
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l'Unità

.2003
Piccolo dizionario della pace e della guerra
di Furio Colombo

La guerra, da noi, in Italia, comincia in casa. Comincia istigata dal primo ministro contro chiunque si opponga ai suoi monologhi, al suo stile sprezzante ed estraneo al Parlamento, oppure osi proporgli una critica.
Tutto ciò accade in modo talmente grottesco da far perdere, a momenti, il senso della tragedia imminente.
Dichiarare d'ufficio che sei anti-americano (come fa tutta la stampa di proprietà Berlusconi) facendo finta di non vedere la differenza - chiara al resto del mondo - fra Bush e l'America (popolo, civiltà, cultura, storia) è l'arma politica di Berlusconi per la sua guerra interna.
Spezzare l'Europa con il pretesto di accodarsi a George Bush è la vendetta di un leader il cui peso in Europa era nullo e che era già stato emarginato.
Lui non ti parla di guerra, nonostante qualche slogan altisonante. Ti parla dei suoi espedienti per incriminare l'opposizione.
In questo dibattito drammatico sulla guerra imminente, vi sono alcune parole che ricorrono continuamente, ma che a volte appaiono stravolte o da coloro che sono contro la guerra (la questione del pacifismo assoluto) o da coloro che sono per la guerra, e dicono tranquillamente che la guerra si può fare anche domani, e che il tempo per le discussioni è scaduto.
Ci sono parole chiave in questo discorso, come AMERICA e GUERRA che vengono usate in tanti contesti diversi cambiandone spesso il significato. L'Unità si propone da oggi di offrire un piccolo dizionario di quelle parole chiave in questi giorni di tensione, di confusione e di rischio.
NAZIONI UNITE. È l'organizzazione mondiale che tiene insieme, e mette a confronto tutti i Paesi del mondo, compresi i più piccoli, i più poveri, quelli senza voce e senza ascolto. È l'organizzazione che, attraverso il Consiglio di sicurezza, si dovrà pronunciare sul progetto americano di guerra contro l'Iraq. Questa organizzazione - che certo è immensamente imperfetta ma unica - viene svalutata da chi vuole la guerra e da chi vuole la pace. Da Washington è stato detto con rudezza: "Meglio se il Consiglio di sicurezza sarà favorevole alla guerra. Ma se non lo sarà, andremo avanti lo stesso". Molti gruppi di pacifisti nel mondo continuano ad affermare che "non importa quel che il Consiglio di sicurezza deciderà". La prima frase esprime bene la persuasione che la guerra sia indispensabile e sia anzi parte di una ideologia (un fatto nuovo che cambia radicalmente la politica degli Stati Uniti, come osserva Lucia Annunziata nel suo libro 'NO'). La seconda frase appare imprudente per chi sta dalla parte della pace. Perché decidere di non tener conto delle Nazioni Unite prima che le Nazioni Unite si pronuncino? Infatti se l'esito fosse una decisione di guerra, la libertà di coscienza e il diritto di scegliere la pace resterebbero intatti. Non c'è ragione di negare un po' di fiducia o almeno di speranza alle Nazioni Unite, che non sono una organizzazione di guerra e sono il nemico numero uno della destra americana. Basti pensare che tre presidenti degli Stati Uniti, tutti e tre di destra, Ronald Reagan, George Bush padre e George Bush figlio, hanno rifiutato, fin dal 1980, di pagare il contributo americano all'Onu, che era il contributo più alto, decisivo per il bilancio e dunque per gli impegni mondiali (compreso il mantenimento della pace) di quella organizzazione. Solo il democratico Bill Clinton ha tentato di ripagare tutto l'enorme debito, ma per la durissima opposizione del senatore Helms,uomo di estrema destra e presidente della Commissione Esteri, e di tutta la parte repubblicana del Senato, ci è riuscito in minima parte.
Se l'Onu si pronunciasse contro la guerra? In quel caso, chiunque ha a cuore la pace avrà un fortissimo argomento in più. Perché distruggerlo prima di saperlo? Non c'è alcun rischio (e c'è il vantaggio di un sostegno importante, se la decisione negherà la guerra) ad attendere la decisione delle Nazioni Unite. Rifiutarla a priori, invece, toglie di mezzo un possibile grande sostegno alla causa della pace. Può accadere che la posizione finale dell'Onu, senza essere un inno alla pace, sia solo un nuovo tentativo di evitare la guerra, la sua presunta ineluttabilità. Anche in quel caso offrirà un riferimento utile ai movimenti di pace. Guadagnare tempo è importante per chi si oppone alla guerra.
AMERICA. Se qualcuno dicesse che Berlusconi è l'Italia, molti italiani si sentirebbero profondamente offesi. L'identificazione fra un governo e il Paese è stata tipica del fascismo. Perché offendere tutti gli americani dichiarando che qualunque cosa dicano e facciano (o abbiano detto e fatto nel passato), niente più li distingue dalla dottrina della guerra preventiva di Bush e Rumsfeld? Dove finiscono, in questo modo di vedere, grandi personaggi americani, come i senatori Byrd e Kennedy, che continuano a dire di no alla guerra, e Jimmy Carter, l'ex presidente degli Stati Uniti, che da anni gira tra i conflitti del mondo cercando di far pace?
Immaginare l'America come qualcosa di monopolitico e compatto che si esprime solo con la dottrina di guerra preventiva di George W. Bush è una visione manichea (tutto il male da una parte, tutto il bene dall'altra) esattamente come quella di Bush che intimidisce persino i Paesi amici per tradizione e civiltà con la frase: "O siete con noi o siete contro di noi". Chi dissente dalla dottrina di Bush e dalla sua immediata applicazione pratica (non ci sono più alleanze, ci sono solo coalizioni che seguono, di volta in volta, le decisioni indiscutibili del Paese guida) lo fa in nome di valori che sono tipici della libertà, della democrazia, della legalità, del rispetto, tutti valori che hanno segnato tante volte la vita americana. Come dimenticare che la guerra del Vietnam è stata stroncata dalla opposizione di tutto un Paese, dei suoi giovani, dei suoi intellettuali, da Martin Luther King a da Robert Kennedy, di tutta la sua intelligenza mobilitata contro quella guerra?
C'è, in questa visione, lo stesso pericoloso errore di identificare tutto Israele con il suo primo ministro Sharon, cercando di non ricordare che già due volte, con i primi ministri israeliani Rabin e Barak, la pace nel rispetto e nel mutuo riconoscimento si era rivelata possibile e imminente. Cercando di dimenticare che il comportamento di Sharon in Libano è stato svelato e condannato (fino alle sue dimissioni) dalla stampa israeliana. E che un celebre libro di Jacopo Timerman - già direttore de La Opinion di Buenos Aires, perseguitato dai generali argentini perché ebreo, sfuggito al carcere del fascismo argentino e rifugiatosi in Israele - documenta l'inchiesta più dura su Sharon, quando era ministro della Difesa, benché i suoi due figli fossero in quei giorni soldati nel Libano.
SADDAM HUSSEIN. Anche il mondo arabo lo considera uno dei peggiori dittatori fra coloro che hanno insanguinato il mondo. Tutti noi abbiamo saputo della popolazione curda del nord dell'Iraq sterminata (con un buon numero di donne e bambini) dal gas, prima che George W. Bush esistesse e rappresentasse l'America.
Le prove di Colin Powell non hanno persuaso i ministri degli Esteri di Francia, Germania, Cina, Russia, tutti i Paesi che contano nel Consiglio di sicurezza (alcuni hanno, e forse useranno, il diritto di veto). Sembrano prove che derivano da una persuasione, più che un sospetto verificato dalle prove. Scetticismo e incredulità per i percorsi scelti da questo governo americano (e da quello italiano che lo segue ciecamente) per dimostrare la necessità di una guerra che il mondo non vuole, non significano, però, che Saddam Hussein sia un benefattore dell'umanità o un mite personaggio, vittima di un grande equivoco. Le esecuzioni all'interno della sua stessa famiglia e fra i suoi parenti che avevano osato opporsi, sono stati rese pubbliche persino in Iraq, perché quel tipo di potere ha le sue esigenze dimostrative.
Più vuoi la pace, più devi contrastare il gioco manicheo che vogliono importi, la contrapposizione di certezze assolute, quando proprio il dubbio è fra gli argomenti più forti per non fare guerra. La pace è importante, difficile e irrinunciabile perché lo scontro potrà portare (purtroppo è quasi sicuro) a spaventose conseguenze mondiali, non perché Saddam Hussein sia un pover'uomo che merita l'indulto. Più si vede chiaramente, insieme all'errore americano l'orrore del regime iracheno, più diventa serio, fondato, credibile il sentimento di avversione a un immenso intervento militare che aggiungerà l'orrore all'orrore, moltiplicandolo in misura imprevedibile.
Perché non considerare l'appello dei radicali per l'esilio del dittatore che da decenni tormenta sopratutto il suo popolo, rimuovendo così l'ossessione di guerra alla quale tanti di noi si oppongono e intendono opporsi?
GUERRA. Chi è contro la guerra ha bisogno, voglia, interesse di coinvolgere quante più persone è possibile, affinché il movimento per la pace (che è il contrario della parola d'ordine di Bush "noi andiamo avanti da soli e peggio per chi non ci segue") sia vastissimo e impossibile da ignorare. È necessario un atteggiamento orientato contro la specifica situazione che stiamo vivendo, contro questa terribile vigilia, contro questa guerra, che si annuncia spaventosa. Chi frequenta la pace come valore assoluto, in qualunque tempo, in qualunque caso, resterà dalla parte della pace. Ma è impossibile chiedere a tanti altri, che questa guerra non vogliono, il ripudio di tutte le guerre, in base a una persuasione di fede.
Dunque è essenziale cercare alleanza con chi non vede il senso, o teme le conseguenze del progetto sterminato di morte collettiva, con chi non riconosce il diritto alla guerra preventiva, con chi continua ad avere fiducia nelle organizzazioni internazionali che possono ancora imporre la pace, con chi ama l'America ma non George Bush, con lo stesso diritto con cui tanti di noi amano l'Italia ma non Silvio Berlusconi, con chi vuole la pace fra i popoli ma non la distruzione dei popoli, dunque non la distruzione dell'Iraq, non la distruzione di Israele, non la distruzione dei Palestinesi. Tanti, tantissimi che vedono e temono il pericolo vero del terrorismo, come quello orrendo delle Torri di Manhattan e delle bombe umane (che sono una spaventosa e finale dichiarazione di distruzione totale) sono pronti ad opporsi alla guerra perché vedono da essa venire più terrorismo e meno sicurezza, oltre all'orrore delle morti di massa. È indispensabile unire le forze, non dividerle imitando il manicheismo di Bush.
La cultura della pace non può contenere odio. Non contro l'Iraq, per non confondere il popolo iracheno con Saddam Hussein. Non contro l'America, perché non è sensato identificarla con Bush o fare di tutto il Paese il responsabile dei mali del mondo. Non contro Israele, il solo Paese che rischia davvero di essere cancellato dall'esplosione di questa guerra. La sua guida al momento è sbagliata? Non il suo diritto di esistere. La pace è il contrario di tutto ciò che gli uomini di Bush ci dicono in questi giorni: invece che nemici da distruggere, chi è per la pace vede donne e uomini e bambini veri, vede miliardi di abbandonati del mondo che chiedono aiuto. Chi non è persuaso dalle prove di Colin Powell non va in giro a presentare prove contro l'America. Il suo obiettivo è la cultura della pace, che non fabbrica nuovi nemici.

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