Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità-Restituisce i gradi l'ufficiale anti-Sharon

Unità-Restituisce i gradi l'ufficiale anti-Sharon

Restituisce i gradi l'ufficiale anti-Sharon di Umberto De Giovannangeli Il suo gesto ha colpito Israele. La sua protesta scuote Tsahal. Non ama le luci della ribalta mediatica, il professor Eitan...

04/01/2004
Decrease text size Increase text size
l'Unità

Restituisce i gradi l'ufficiale anti-Sharon
di Umberto De Giovannangeli

Il suo gesto ha colpito Israele. La sua protesta scuote Tsahal. Non ama le luci della ribalta mediatica, il professor Eitan Ronel. Rare le interviste concesse, ancor meno le presenze a raduni politici. Stavolta, però, il professor Ronel è uscito allo scoperto, guadagnando titoli di prima pagina sui maggiori quotidiani israeliani e nei principali notiziari televisivi. La ragione è nella decisione che ha maturato, con sofferenza, nei giorni scorsi. Il professor Eitan Ronel, alto ufficiale israeliano della riserva, ha restituito i propri gradi al capo di stato maggiore generale Moshe Yaalon. Alla base del gesto, vi è la protesta per l'attuale politica del governo Sharon nei confronti dei palestinesi. "Era una decisione che stavo maturando da tempo - dice a l'Unità il professor Ronel - ma a farmi decidere sono stati gli avvenimenti degli ultimi giorni". A fargli restituire i gradi è stato il "brutale intervento" dell'esercito contro pacifisti, israeliani e internazionali, che manifestavano contro la realizzazione della barriera di separazione in Cisgiordania. In una di queste azioni di protesta, un giovane pacifista israeliano è rimasto ferito gravemente a una gamba dai proiettili sparati da soldati israeliani. "Uno Stato in cui dimostranti vengono dispersi dall'esercito con munizioni da combattimento non è più uno Stato democratico, quello per il quale tanti di noi hanno combattuto e molti hanno sacrificato la propria vita", spiega il professor Ronel.

Qualcosa si è rotto nel rapporto di fiducia e di identificazione che aveva legato Eitan Ronel all'esercito d'Israele: "Sono orgoglioso - dice - di averne fatto parte, perché credo che sia dovere di ogni israeliano fornire il proprio contributo alla difesa del Paese. Ma ciò che si sta consumando oggi nei Territori non ha niente a che fare con la storia di Tsahal né può essere in alcun modo giustificato dalla guerra al terrorismo". Qualcosa si è rotto: "La fiducia in voi comandanti è svanita", scrive il professore, in una lettera aperta in cui spiega la ragione che lo ha spinto a restituire i gradi ricevuti dallo stesso Yaalon nel corso di una solenne cerimonia, alcuni anni fa.

Eitan Ronel non è un pacifista romantico, un idealista incapace di fare i conti con la dura realtà di un Paese in trincea. Quei gradi erano il riconoscimento dell'abnegazione e del coraggio dimostrati sui campi di battaglia. Ed è lo stesso coraggio, e onestà intellettuale, che oggi lo hanno spinto alla clamorosa protesta. "Un passo dopo l'altro - annota con amarezza - il valore della vita umana viene svalutato. Vengono così corrotti i soldati, i comandanti, il popolo intero". Il suo gesto ha un forte valore simbolico: Eitan Ronel si è "auto- degradato" per non essere parte di un degrado morale che oggi investe Tsahal.

Ed è proprio per evitare questo degrado morale e l'imbarbarimento delle coscienze, che Eitan Ronel si schiera decisamente per atti unilaterali: "Ritirarsi dai territori occupati - sottolinea - non è una concessione fatta ad Arafat, per il quale non nutro alcuna stima né fiducia, o un cedimento ai terroristi che mirano alla nostra distruzione. Il ritiro dai Territori è la condizione per non cancellare i princìpi di democrazia che sono a fondamento dello Stato d'Israele". Questo non significa abbassare la guardia nella lotta al terrorismo o porre in secondo piano la sicurezza d'Israele e dei suoi cittadini: "Fissiamo dei confini transitori - prosegue Ronel - e riconosciamo ai palestinesi il diritto ad uno Stato indipendente. Un diritto che comporta anche pesanti responsabilità, come quella di porre fine alla violenza e all'azione delle milizie armate".

E se ciò non dovesse avvenire, conclude Eitan Ronel, "avremmo tolto ogni alibi ai palestinesi, riconquistando prestigio e credibilità agli occhi di quella opinione pubblica mondiale che oggi vede Israele come una potenza occupante, che opprime un popolo senza diritti".

Le considerazioni del professor Ronel riecheggiano quelle che hanno spinto decine di piloti dell'aviazione militare e soldati e ufficiali riservisti di Tsahal a scegliere la strada dell'obiezione. "Appena passiamo la frontiera, entrando in Cisgiordania, diventiamo potenziali assassini. È questo che ho provato. Perché un qualsiasi bambino può lanciarmi una pietra costringendomi a corrergli dietro o a fare di tutto per proteggermi, anche aprire il fuoco contro chi mi sta scagliando addosso delle pietre. Di fronte a questa trappola, l'unica soluzione possibile, sia sul piano etico che su quello politico, è rifiutarsi di prestare il servizio militare nei territori occupati. Un rifiuto che per me ha un significato politico, ed è importante, anche se rischio il carcere, perché può influire sul corso degli avvenimenti", dice Ogal Ezrati, obiettore di coscienza israeliano.

Considerazioni che conquistano sempre più consensi nella società israeliana e tra i "refusnik", i riservisti. Quei riservisti che, il 25 gennaio 2002, spiegarono così in una lettera aperta, la prima del genere, pubblicata dai maggiori giornali israeliani, il loro rifiuto di prestare servizio nei territori occupati: "Abbiamo visto con i nostri occhi il sangue versato da entrambe le parti. Il prezzo dell'occupazione dei Territori è la perdita del carattere umano di Tsahal e la corruzione della società israeliana, Non siamo più disposti a dominare un altro popolo, a espellere, affamare, umiliare i palestinesi. Ci rifiutiamo di divenire strumenti di oppressione". Quel 25 gennaio, erano 52 le firme di ufficiali e soldati della riserva usciti allo scoperto. Oggi sono centinaia ad aver seguito il loro esempio. Eroi di pace in tempi di guerra. Di una sporca guerra.