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Unità-Tra polemiche e malumori il Senato licenzia la Devolution

Tra polemiche e malumori il Senato licenzia la Devolution di Luana Benini Sarà stata la cattiva coscienza, un modo per salvarsi formalmente l'anima, ma i senatori di An, nel giorno in cui approv...

06/12/2002
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l'Unità

Tra polemiche e malumori il Senato licenzia la Devolution
di Luana Benini

Sarà stata la cattiva coscienza, un modo per salvarsi formalmente l'anima, ma i senatori di An, nel giorno in cui approvano supinamente la devolution voluta da Bossi, si appuntano platealmente sul petto una coccarda tricolore. Il loro capogruppo, Nania, alza la voce e suona un peana all'unità del Polo. Poi scende nel parterre e appunta la coccarda sul petto leghista di Bossi che in cambio gli porge il fazzoletto verde-Padania che ha nel taschino. Quando Berlusconi fa il suo ingresso nell'emiciclo si siede accanto a un Bossi in maschera tricolore.

Il capo leghista, ha disertato l'aula per tutto il giorno, nonostante le ripetute sollecitazioni dell'opposizione, e si è fatto vedere solo alla fine. Gran sorriso a tutta faccia. Grandi complimenti da parte del centro destra. A salutare il primo sì alla devolution c'è gran parte del governo: La Loggia, Castelli, Tremonti...E la presenza del premier, anche questa in extremis, ha il senso di un timbro, un imprimatur.

Ma dietro la parata di facciata si intuisce un rumore di spade. Fisichella, dal suo banco, ripete il suo no alla devolution: "Perché tanta pervicacia di portarlo avanti in questo scorcio di vita parlamentare? Perché si attivano derive che poi è difficile tenere sotto controllo?". A Nania rivolge una stoccata niente male: "Vedo le coccarde tricolore, ma non le scambierei con nessun fazzoletto di nessun colore".

Il voto finale è seguito dall'applauso caloroso della Lega e da quello tiepido di An, Fi e centristi. Il centrosinistra non si lancia in iniziative plateali. E' semplicemente il gelo. Ha parlato Nicola Mancino, Margherita, a nome dell'Ulivo. Ma Verdi e Pdci hanno voluto comunque prendere la parola. "Un testo velleitario - ha detto Mancino - che aprirà uno scontro istituzionale permanente fino a realizzare di fatto la secessione promessa al popolo padano".

Il secondo tempo della devolution sarà giocato alla Camera (per approvare una riforma costituzionale servono quattro passaggi, due alla Camera, due al Senato). E tutti i nodi della maggioranza arriveranno al pettine. Si potrà vedere soprattutto chi la vincerà nel braccio di ferro fra i malpancisti dell'Udc, e i leghisti di Bossi. Bruno Tabacci, Udc, ha già annunciato: è pronto un nostro maxiemendamento al testo, perché la devolution - ha affermato - non è aria fritta come ha scritto Fini ai suoi parlamentari, ma è pericolosa. Per tutta risposta ieri il vicepresidente leghista del Senato, Calderoli, commentava sprezzante: "Tabacci non è l'Udc". E alla Camera il capogruppo leghista Cé invitava Tabacci addirittura a fare le valigie per lasciare la Cdl: l'emendamento di Tabacci battezzato "salva Italia"? "Una provocazione", secondo Cé.

Altra musica con il capogruppo Udc al Senato D'Onofrio che in tutta questa vicenda della devolution si è trovato a spezzare più di una lancia a favore di Bossi. Ieri ha approfittato della sua dichiarazione di voto proprio per inviare un messaggio a Tabacci: "La Camera non cambierà il testo, semmai potrà aggiungere qualcosa e completarlo". Sarà difficile che la Lega alla Camera ceda. I fedelissimi di Bossi hanno già spiegato in mille salse che tutt'al più si potrà parlare di "raccordi", "manutenzioni" dell'art.117 della Costituzione nel suo complesso. Ma le parole magiche "competenze esclusive" per le regioni su scuola, sanità, polizia, non si toccano. Del resto, anche il premier ha confermato che il ddl alla Camera non sarà modificato.

In questo quadro, l'ordine del giorno che il centro destra ha fatto trovare stampato per l'aula ieri mattina, appare per quello che è, "una foglia di fico" che non cambia nulla. Non impegna il governo. E' solo una presa d'atto da parte dell'Assemblea che la devolution viene inserita dopo il quarto comma dell'art.117 della Costituzione. Giustapposta, cioè, agli altri commi che restano in vigore. L'ordine del giorno richiama in particolare il comma due sulla legislazione esclusiva dello Stato nelle stesse materie oggetto di devolution alle regioni. Con l'aggiunta, che vuole essere rassicurante, di un passaggio del discorso di Umberto Bossi al Senato il 27 novembre, laddove afferma che la devolution non tocca la solidarietà legata all'art. 119 e neppure i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti sull'intero territorio nazionale.

Che senso ha? E' meno che niente, è acqua fresca. Fa ridere un ordine del giorno interpretativo di una legge costituzionale, commentavano ieri i senatori dell'Ulivo. Altra cosa sarebbe stato un emendamento, una integrazione al testo. Comunque sia la maggioranza si è votata il suo ordine del giorno, "foglia di fico" ed ha respinto i due ordini del giorno dell'Ulivo (primi firmatari rispettivamente Angius e Mancino), rafforzativi, per così dire, del principio di salvaguardia delle competenze statali in materia di sicurezza, scuola e sanità.

Mancino ha spiegato bene nella sua dichiarazione di voto il pasticcio, "il mostro giuridico" l'ha definito Achille Occhetto, prodotto dall'inserimento delle poche righe della devolution nel contesto dell'art.117: "Tra competenze esclusive, egualmente attribuite, in una parte dell'art.117 allo Stato, e in quella parte che la maggioranza vuole approvare, alle regioni, chi prevale? Lo Stato? In forza di quale criterio? La regione? Per togliere alla cultura, per esemplificare, un dato essenziale di identità e di unità?". Competenze esclusive assegnate a due livelli istituzionali, uno nazionale e uno territoriale. "Ma che Stato sarebbe quello che ogni giorno dovesse convivere con un conflitto di competenza? Non si scardinerebbe l'ordinamento?".

Ma per Berlusconi e il suo ministro delle giustizia Castelli, la devolution serve alla "modernizzazione" del Paese. Per il forzista Schifani "rimedia al caos istituzionale causato dall'Ulivo con la riforma del Titolo V della Costituzione". Ma in questi giorni sono caduti nel vuoto gli appelli ripetuti anche ieri da parte di Angius e Bordon a fermarsi, a confrontarsi sull'intero Titolo V. E già forzisti e leghisti annunciano le tappe successive: prima di Natale, ha annunciato Calderoli, la riforma della Consulta, poi sarà di scena il presidenzialismo. Nell'Ulivo, invece, già si pensa al referendum.