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Unità-Uno sciopero per l'unità sindacale

Uno sciopero per l'unità sindacale di MASSIMO ROCCELLA Lo sciopero generale del 18 ottobre può rappresentare un ostacolo sulla strada della ricomposizione dell'unità sindacale? Molti, nelle fi...

16/10/2002
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l'Unità

Uno sciopero per l'unità sindacale
di MASSIMO ROCCELLA

Lo sciopero generale del 18 ottobre può rappresentare un ostacolo sulla strada della ricomposizione dell'unità sindacale? Molti, nelle file dell'opposizione, lo credono ed altri, anche fra quelli che hanno dichiarato di sostenere l'iniziativa della Cgil, nutrono forse, in cuor loro, la stessa preoccupazione. Vale la pena, anche in questo caso, di provare a riflettere e cercare di formare i propri convincimenti in forza di una fredda disamina logica.
Le ragioni dello sciopero, innanzi tutto. Si potrebbe parlare di sciopero superato dai fatti, se gli avvenimenti successivi alla sua proclamazione fossero tali da attenuare almeno le motivazioni alla base della scelta della Cgil. È vero, purtroppo, l'esatto contrario. Con la firma del Patto per l'Italia non solo si è concordata una manomissione dell'art. 18 molto più grave di quanto si vorrebbe far credere (come è stato già puntualmente documentato su questo giornale), ma si è dato implicitamente il via libera ad un più ampio progetto di deregolazione del mercato del lavoro, che ha poi trovato la sua prima sanzione formale con l'approvazione da parte del senato del disegno di legge n. 848. Dopo quella firma, d'altra parte, le ragioni dello sciopero si sono moltiplicate, a fronte di una politica economica e sociale non più limitata a colpire i lavoratori sul terreno dei diritti, ma che ha allungato il tiro, investendo direttamente la questione della tutela del potere d'acquisto dei salari e, più in generale, del mantenimento dei livelli di reddito e di consumi degli strati sociali più poveri.
Basti ricordare, sotto il primo aspetto, la pretesa governativa (e confindustriale) che i contratti di lavoro, privati e pubblici, si rinnovino con riferimento ad un tasso programmato d'inflazione dell'1,4%, che si sa già dall'inizio lontanissimo dal dato dell'inflazione effettiva: il che, in buona sostanza, equivale alla provocatoria richiesta alle organizzazioni dei lavoratori di farsi agenti della riduzione dei salari reali, come nella nostra esperienza sindacale si è verificato soltanto in una contingenza storica (guarda caso nel ventennio corporativo: forse davvero dal Dna della destra italiana è impossibile cancellare le tracce di un passato che non passa).
Quanto al secondo aspetto, è già stato ampiamente dimostrato il carattere ingannevole della tanto sbandierata riduzione fiscale "più grande di sempre" a favore dei ceti meno abbienti. Anche a volerne trascurare la funzione di foglia di fico populista, meramente preparatoria rispetto all'obiettivo di riversare la gran parte delle diminuzioni d'imposta, a "riforma" completata, a vantaggio di ricchi e ricchissimi, già adesso quella riduzione non potrà valere ad incrementare il reddito disponibile dei beneficiari. Servirà soltanto ad attenuarne il peggioramento delle condizioni di vita, dovuto alla contrazione della spesa sociale che il governo, per il momento, non si propone di realizzare in via diretta, ritenendo preferibile affidarne il compito agli enti locali, che vi saranno costretti dai tagli ai trasferimenti previsti nei loro confronti dalla legge finanziaria: evidentemente, come spesso accade quando si ha a che fare con il governo ottimamente presieduto dal cav. Berlusconi, gli impegni di segno contrario assunti col Patto per l'Italia erano stati scritti con inchiostro simpatico.
Quali sarebbero dunque le ragioni per le quali la Cgil dovrebbe rinunciare allo sciopero del 18 ottobre? Si può forse fare una colpa ai dirigenti di Corso d'Italia di avere realisticamente previsto con largo anticipo quale sarebbe stata l'evoluzione dello scenario economico-sociale (fallimento del Patto per l'Italia compreso)? Ed è davvero ipotizzabile, di fronte ad uno sciopero che coinvolge l'idea stessa di coesione sociale messa a repentaglio dalle politiche della destra, che l'opposizione, anche soltanto in qualche sua rilevante componente, possa correre il rischio di comunicare un messaggio privo della nettezza che dovrebbe essere indispensabile rispetto a questioni essenziali per il futuro del paese (ed anche, vale la pena di ricordarlo, per le sorti politiche dell'opposizione medesima)?
Il travaglio dell'opposizione, ed in particolare di alcune sue componenti come la Margherita e lo Sdi, è comprensibile, in ragione degli storici legami di queste formazioni con Cisl e Uil, e comunque va rispettato. Non si può fare a meno di rilevare, peraltro, che al fondo di certe preoccupazioni per l'unità sindacale s'intravede una concezione alquanto astratta della logica dell'azione sindacale ed anche, a guardar bene, una scarsa considerazione per le scelte recenti di Cisl e Uil. L'adesione di queste organizzazioni al Patto per l'Italia, in effetti, può ben essere considerata un errore, ma solo dal punto di vista della Cgil e dell'opposizione. L'invito da taluni rivolto alla Cgil di soprassedere allo sciopero del 18 ottobre, come se ciò potesse bastare per ripristinare condizioni di unità sindacale ed aprire la strada ad iniziative di lotta congiunte in tempi politicamente utili (i tempi, si sa, in politica ed anche nell'azione sindacale sono determinanti), è davvero privo di qualsiasi senso della realtà.
Cisl e Uil, infatti, se davvero lo volessero, avrebbero già tutti gli elementi a disposizione per cambiare rotta. Si comincia ad ammettere, infatti, da esponenti delle due confederazioni, che sul Mezzogiorno il Governo sta tradendo gli impegni, ma per il resto, si aggiunge, il Patto per l'Italia sarebbe rispettato: ed invece, a parte il fatto che le scelte governative sul Sud dovrebbero bastare da sole a far saltare il banco, è ormai evidente che l'intero Patto per l'Italia è ridotto a carta straccia, in particolare per quanto riguarda il vincolo di mantenere invariata la spesa sociale.
La verità è che l'appoggio, obbiettivamente assicurato al governo Berlusconi da Cisl ed Uil, risponde a scelte di fondo, a convincimenti radicati che non possono essere rimessi in discussione, come se si fosse trattato di una semplice svista, con gli appelli all'unità sindacale, ma soltanto dall'evolversi della dinamica sociale.
È un'esperienza, del resto, conosciuta a suo tempo, sulla propria pelle, dalla Cgil: quando negli anni '50, prima di cambiare linea sulla questione della contrattazione aziendale, dovette toccare con mano, esponendosi ad una dura sconfitta sindacale, la perdita di consenso fra i lavoratori rispetto alla propria politica di accentramento contrattuale.
Anche oggi non v'è ragione di pensare che un mutamento di orientamenti possa prodursi senza incidere su quella variabile fondamentale, costituita dal consenso dei destinatari dell'azione sindacale. Da questo punto di vista, e nonostante ciò che si potrebbe superficialmente (o, in qualche caso, strumentalmente) essere portati a sostenere, le iniziative assunte in questi mesi dalla CGIL, ivi compreso lo sciopero generale di venerdì prossimo, possono contribuire anche all'obiettivo di ripristinare migliori rapporti con le altre due confederazioni più di mille giaculatorie sull'unità sindacale.