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Idee molto diverse e scelte di campo sulla scuola.

Pubblichiamo volentieri il seguente contributo che abbiamo ricevuto da Giovanni La Rosa.

03/07/2001
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Pubblichiamo volentieri il seguente contributo che abbiamo ricevuto da Giovanni La Rosa.

Le vicende contrattuali dei Dirigenti Scolastici si sono interrotte il 7 maggio per le diverse posizioni assunte dalle singole sigle sindacali. Faziosamente e strumentalmente, chi si è schierato per la conclusione della trattativa sulla base dell'ipotesi raggiunta il 7 maggio, è stato definito in vari e coloriti modi, da "straccione" a "intellettuale organico".

Sarebbe sbagliato, però, oggi ritenere che le profonde divergenze di vedute e di opinioni siano costituite solo da una diversa valutazione di una strategia sindacale sulle risorse economiche per finanziare il primo contratto dei dirigenti scolastici. Oggi, queste divergenze sono molto più delineate di prima e si basano su idee diverse intorno alla scuola, alla scuola pubblica in particolare, e idee diverse intorno alla dirigenza scolastica.

Sui valori, ancor più che sui soldi, il solco diventa più profondo. Ognuno di noi deve, perciò, riflettere sul dove collocarsi perché chi si presenta oggi come "associazione maggioritaria" ancora non lo è. Ciò vuol dire che essa non rappresenta da sola i Dirigenti Scolastici, bensì solo una parte che, forse, sta osservando il disegno che ogni giorno viene tracciato sulla base di particolari idee e valori. Sono condivise queste idee e questi valori?

C'è da sperare che parta un segnale verso e contro un certo disegno e un certo mondo di valori che rischiano di snaturare e di devastare la scuola pubblica.

Così come accadde per la trattativa con l'Aran, cioé la delegittimazione dell'intero tavolo negoziale per effetto dell'iniziativa diretta ai candidati premier durante la campagna elettorale, che produsse solo promesse, oggi un vertice sindacale parla ai politici in nome e per conto di un'intera categoria che viene proiettata su un piano politico, su un modello di scuola e di dirigenza non condivisibile e non condivisa, credo da buona parte di quella presunta maggioranza.

Ragioniamo sulle materie e sulle proposte del documento ANP indirizzato ai parlamentari della XIV Legislatura.

Sul contratto.
Una libera interpretazione del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto ha portato a dire che le risorse contrattuali sono inferiori alla metà di una reale perequazione con il contratto dell'area I.

Quante volte si è dimenticato che "a legge finanziaria chiusa e stanziamenti bloccati" per il 2001 si è chiuso il contratto dei dirigenti dell'area I nel febbraio 2001 e che la perequazione, sostanzialmente raggiunta con il primo atto di indirizzo, non è stata più possibile?

Si sono dette molte parole per tentare di spiegare come stanno effettivamente le cose, cioè aumenti medi netti mensili oscillanti tra le 800 e le 900 mila mensili. Sostenere il bluff dei 40 miliardi dei ratei non ha senso perché l'unico reale bluff, al momento, sono le promesse elettorali. Vedremo presto con il DPEF e con la finanziaria 2002 gli esiti delle promesse.

E' realistico oggi pensare a leggi di assestamento di bilancio oppure a generici interventi legislativi urgenti (siamo chiari: quali?) per andare a reperire e stanziare altri 250 miliardi. Se così fosse, allora lo avrebbero già fatto per altri contratti e lo farebbero oggi in molti per effetti di rincorsa.

Qualcuno vuole spiegare qual è il sistema di regole generali delle contrattazioni sindacali a cui ci si deve attenere, a cui l'ANP si attiene? Qualcuno vuole spiegare che cosa significa una legge finanziaria per la stipula dei contratti pubblici?

Può essere il governo per primo a violare le regole contrattuali ben sapendo delle rincorse che gli altri inizierebbero a compiere e a rivendicare? Per chiarezza, bisogna solo dire che le regole non ci sono più, allora tutto diventa legittimo. Si può chiedere tutto e subito, tutti possono chiedere tutto e subito.

Paradossalmente, potrebbe accadere che, proprio a causa della richiesta di violare le regole contrattuali, come si fa con la richiesta di un assestamento di bilancio, non si ottengano i risultati sperati e non si chiuda alcun contratto.

E' realistico pensare a queste soluzioni nel momento in cui la maggior parte delle promesse elettorali cominciano a essere ritirate, ad eccezione di quelle a costo zero come la sospensione della riforma dei cicli? In modo ricorrente e diffuso, tutti gli esperti economici, compresi i futuri ministri parlano di guai grossi nei conti pubblici.

Ci sono promesse fatte a milioni di italiani, promesse che oggi vengono differite ad altri e futuri tempi migliori. Figuriamoci delle promesse fatte a 10.367 dirigenti scolastici.

Quello che è venuto a mancare, e spero sia solo questo, nelle nostre vicende contrattuali è il rispetto del principio di realtà. Una realtà che al 7 maggio ci avrebbe potuto dare un contratto d'ingresso con certe risorse economiche e una parte normativa. Cosa ci porteremo dietro di quel risultato nella prossima finanziaria? Chi ha risposte certe le dia?

La sfida è aperta: avete promesso più soldi! Bene, ora dateli. Se non arrivano più soldi, chi pagherà lo scotto? Purtroppo tutti noi, per responsabilità non nostra.

L'unica cosa che si può dire per riavviare il confronto contrattuale è che dai risultati raggiunti il 7 maggio non si torna indietro e che l'iniziativa sindacale deve ripartire al più presto su questa base.

Sulle aree contrattuali nel comparto e sulla rappresentatività
Fuor di ipocrisia: il problema è guadagnare e conquistare le rappresentatività. Le aree contrattuali sono solo uno strumento per aver più tessere.

L'obiettivo è disgregare l'attuale rappresentatività frantumando il comparto in settori, meglio dire in "corporazioni". L'affiliazione recente della FNADA all'ANP che oscilla tra il fare associazione e il fare sindacato a seconda dei contesti la dice lunga sull'obiettivo di frantumare il comparto.

Le motivazioni circa la necessità di costituire differenti aree contrattuali mi sembrano tutte da dimostrare e da argomentare.

Si sostiene l'azione negativa degli "aspetti comuni" sulle "specificità professionali" con la conseguente perdita di identità culturale e di ruolo. A me pare che la scuola dell'autonomia che esce da questo documento altro non sia che una scuola delle corporazioni i cui interessi particolari e specifici sono anteposti alle finalità istituzionali comuni.

Sono proprio gli "aspetti comuni" a dare senso e significato ai ruoli dei singoli soggetti. In questo senso, mi pare che l'attuale CCNL e CCNI non abbiano prodotto penalizzazioni professionali, bensì abbiano promosso professionalità e definito profili molto più ricchi dei precedenti specificando la loro funzionalità al servizio pubblico d'istruzione e alla realizzazione dell'autonomia e del piano dell'offerta formativa.

Oggi questa cornice non va più bene secondo alcuni perché contano maggiormente le specificità professionali contrapposte agli "aspetti comuni".

A me pare tutto molto strumentale, infarcito di argomentazioni affabulanti.

E' una frantumazione che ricorda e riconduce a un disegno più generale di esaltazione dei localismi, dei regionalismi, delle diversità non comunicanti tra loro. Sparito il comune denominatore, cosa rimane di un servizio pubblico?

Nella mia ignoranza, mi pare che lo spirito del Decreto 29/93 e della L. 59/97 sia ancora valido. Prospettive diverse devono confrontarsi con un contesto normativo tuttora vigente, che funge da sfondo anche alla nostra dirigenza per la quale l'area autonoma nel comparto ha profondo significato di ruolo e di funzione.

Sul reclutamento dei docenti
Mi pare che, anche in questa occasione, ci si allontani dal Decreto 29/93 e dallo stesso contratto dell'area I dei dirigenti pubblici. Ma di quale dirigenza stiamo parlando? Ci si richiama all'area I e poi si propone altro, una realtà irrintracciabile nei diversi contesti delle dirigenze pubbliche e, forse, anche delle dirigenze private.

Reclutamento dei docenti sui curricoli locali da parte delle scuole, con superamento delle classi di concorso nazionali, diverso dal reclutamento nazionale.

Ma si pensa a una scuola con un organico locale e uno nazionale? Due categorie di insegnanti? Gli insegnanti "locali" e gli insegnanti "nazionali" sancendo la divaricazione e la separatezza tra curricolo nazionale e curricolo locale.

Gli insegnanti "locali" sulla base di quali titoli, quali procedure, quali garanzie, quali commissioni e, poi, quali contenziosi? Quale stabilità del posto di lavoro per i docenti "locali"? Mi pare che lo stesso concetto di locale debba essere anche spiegato e sviluppato. E' il locale determinato dai genitori che, poi, valutano anche i docenti? E' il locale che sta per mutevole, a seconda di varie mode? Se così è, al variare del curricolo locale, deve variare anche l'insegnante "locale". Chi licenzia per giusta causa? Secondo quali garanzie e tutele? Secondo quali procedure e contenziosi?

O forse si pensa di assumere con forme spinte di mercato flessibile del lavoro, una sorta di interinale della scuola, un "usa e getta" locale?

Questa è la scuola-azienda, molto diversa dalla scuola-impresa di Piero Romei che ben specificava il termine impresa con "l'impresa di organizzare per educare e di istruire".

Anche qui mi pare che ci si allontani dal Decreto 29/93 che attribuisce al dirigente la funzione di gestione delle risorse assegnate.

Il semplicismo con cui si affronta poi la questione del personale in esubero stupisce, anche per il candore con cui confligge con l'idea precedente di una valorizzazione della professionalità mediante una specifica autonoma area di comparto per i docenti.

Già, forse l'esubero sarà determinato dai docenti assunti dalle scuole localmente.

In chiusura, agli insegnanti locali quale contratto destiniamo? Quale area autonoma e in quale comparto?

Sulla valutazione di sistema
Una sola considerazione. Ci siamo già dimenticati dei disastri compiuti dai soggetti esterni nella valutazione dei dirigenti scolastici?

Conosciamo il lavoro svolto in questi anni dal CEDE e dall'Istituto per la valutazione o ci siamo dimenticati delle indagini "oneste" compiute, ad esempio sulle competenze alfabetiche?

Il servizio pubblico d'istruzione in questi anni ha avuto come ritorno d'informazione del proprio lavoro molte indagini. Non se ne è tenuto conto, ma si chiede l'intervento di un'agenzia esterna. Mi pare incoerente.

Sulla valutazione del servizio del personale
"…deve essere assicurato il coinvolgimento, opportunamente filtrato, dell'utenza".

Nella scuola-azienda prefigurata fino ad ora, la proposta è coerente. Peccato che non siamo nella Toyota e nella logica automobilistica della qualità totale.

Cosa significa allora libertà d'insegnamento, docenti privi di condizionamenti se non quello di garantire con la loro azione il successo formativo?

L'utenza deve trovare il proprio posto nella valutazione di sistema e non già nella valutazione delle persone pena la perdita di autonomia della persona stessa. Ma forse nell'azienda ciò non conta.

E' una realtà questa lontana dalla tradizione italiana che nulla ha da spartire con consigli di amministrazione nelle scuole, con dirigenti nominati dai poteri locali o eletti dal "popolo" sulla base di programmi e promesse. Dirigenti che, poi, scelgono e assumono docenti sulla base di quale affinità?

Sull'integrazione di sistema e parità scolastica
Io credo sia importante capire chi fa che cosa, come lo fa, con quali risorse assegnate da chi e con quali esiti, a partire proprio dagli spazi occupati da Regioni e da privati.

E' importante capire tutto ciò per spiegarsi come mai, per esempio, l'integrazione scolastica avviene pressoché solo nel servizio pubblico d'istruzione o perché nel privato vi siano sezioni di scuola materna composte da 35 alunni o perché le condizioni di lavoro del personale vadano sovente al di fuori del CCNL.

Ha qualche cosa a che vedere questo ragionamento con il buono-scuola? Si prefigura forse la creazione di due binari di formazione: uno d'élite e l'altro per la massa sul modello americano?

Le tendenze verso l'esaltazione dei localismi e dei regionalismi, della devolution in generale, mi portano a dire che forse il modello è proprio questo. Una parlamentare infatti, sostiene: più soldi alle famiglie, le scuole sceglieranno i propri insegnanti e i finanziamenti, anche per quelle pubbliche, saranno stabiliti in base agli iscritti. Questo è il programma di Bush. Nulla contro Bush, ma il sistema di istruzione negli Stati Uniti sta producendo analfabeti e la chiusura delle scuole pubbliche in favore di quelle private.

Sulla riforma dell'amministrazione scolastica
Una sola considerazione: "…se si attribuisse alle Regioni la responsabilità in materia, il principio dell'autonomia didattica e organizzativa delle scuole dovrebbe uscirne rafforzato.".

Un'altra tessera del regionalismo e del localismo. Stupisce questa volta l'uso del condizionale dopo tante monolitiche certezze. Stupisce ancora il passaggio successivo "In nessun caso…". Forse qualche dubbio è lecito averlo allora sulla possibilità di mantenere l'autonomia.

Il solco è profondo e i versanti sono contrapposti. Ognuno faccia la scelta migliore per la propria sfera di valori e di idee.

Roma, 3 luglio 2001