Elezioni CSPI, si vota il 7 maggio 2024

Home » Scuola » Secondo ciclo: cosa faranno da grandi?

Secondo ciclo: cosa faranno da grandi?

Niente sbocchi professionali per chi anticipa il secondo ciclo con la sperimentazione

24/10/2005
Decrease text size Increase  text size

Il decreto sul secondo ciclo all’articolo 27 comma 4 riporta il seguente e ormai noto passaggio:

“ sino alla definizione di tutti i passaggi normativi propedeutici all'avvio del secondo ciclo di competenza del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, il medesimo Ministero non promuove sperimentazioni del nuovo ordinamento nelle scuole, ferma restando l'autonomia scolastica".

Uno di questi passaggi normativi è contenuto nello stesso articolo al comma 1 b) laddove si prevede che prima di avviare il tutto il Ministero, sentita la Conferenza Unificata Stato-Regioni, deve definire

“le tabelle di corrispondenza dei titoli di studio in uscita dai percorsi di istruzione secondaria di secondo grado dell’ordinamento previdente con i titoli di studio in uscita dai percorsi liceali di cui al capo secondo” (cioè i nuovi percorsi liceali, ndr).

Orbene c’è una differenza fondamentale tra i vecchi e i nuovi titoli: tra i primi molti sono professionalizzanti, tutti i secondi non lo sono. Ma soprattutto ancora non si sa quali sono i percorsi sostitutivi o aggiuntivi ai nuovi titoli per poter arrivare agli sbocchi professionali.

In particolare il lavoro della commissione incaricata della ridefinizione dei titoli per accedere all’esame di Stato per le professioni, oggi contemplati nel DPR 328/2001, è ancora molto indietro nei suoi lavori.

Si tratta di professioni a cui si accede con lauree universitarie ma anche di professioni come il geometra, il perito industriale, il perito agrario, l’agrotecnico, alle quali si accedeva finora, per l’appunto, con i diplomi rilasciati dagli istituti tecnici e professionali.

Se l’attuazione fosse partita subito ci saremmo dunque trovati in questa paradossale situazione:

- da un lato un DPR 328/2001, non ancora modificato, che recita che i titoli per accedere a queste professioni attraverso l’apposito esame di Stato sono quelli previsti dalla normativa vigente e rilasciati dagli istituti tecnici e professionali.

- dall’altro la legge 53 e il decreto sul secondo ciclo che dicono che i nuovi titoli non sono più validi: quelli rilasciati dal liceo perché “liceali”, quelli rilasciati dal sistema dell’istruzione-formazione professionale perché inferiori ad un quinquennio di studi.

Gli altri titoli previsti dal medesimo DPR 328 sono :

- quelli secondari varati dalla legge 30 /2000 (la riforma Berlinguer), ma questa come si sa è stata abrogata dalla Moratti e dalla sua legge 53 e con essa anche i titoli in questione.

- le qualifiche rilasciate dagli IFTS (quadrisemestrali e con almeno sei mesi di tirocinio), ma questi, ancorché la legge 53 ne preveda l’aggancio al quarto anno superiore, devono avere a monte un diploma valido per l’iscrizione all’albo (condizione che non esiste più)

- le lauree indicate con le classi 1, 4, 7, 8, 10, 16 17, 20, 21, 23, 25, 26, 27, 40 e 42 ( e di alcune di queste solo alcune sezioni).

Dal momento che i titoli secondari non sono più validi, che quelli previsti dalla riforma Berlinguer sono stati abrogati con la riforma stessa e che le qualifiche degli IFTS debbono comunque prevedere un diploma secondario valido che non esiste più, sarebbero rimaste buone solo le lauree e quindi l’unico mezzo possibile per accedere alla professione di geometra, di perito industriale, di perito agrario e di agrotecnico sarebbe stato iscriversi e frequentare l’università.

Questo spiega in parte il perché del rinvio dell’attuazione

Ma questa faccenda si ripropone pari pari per eventuali scelte di sperimentazione del nuovo modello: questa sarà l’unica prospettiva certa che a gennaio le scuole potranno indicare alle famiglie che iscriveranno gli alunni a eventuali sperimentazioni del secondo ciclo negli istituti tecnici o professionali. Il resto saranno solo dei “forse” o dei “vedremo”.

Una prospettiva dispendiosa e punitiva, per una utenza che ha sempre scelto gli istituti tecnici e professionali anche per ragioni di tipo economico e di durata degli studi. Ma soprattutto una responsabilità che le scuole autonomamente non possono assumersi.

Roma, 24 ottobre 2005