Anche in Spagna la controriforma rinviata alla Corte Costituzionale
Spagna, marzo 2003
L’idea di ricorrere alla Corte Costituzionale per bloccare scelte impopolari e illegittime della controriforma scolastica, lanciata dalla Cgil nell’assemblea dei delegati sulla scuola del 29 e 30 gennaio scorsi, sembra aver fatto proseliti all’estero. Il quotidiano spagnolo El Paìs del 24 marzo riporta la notizia che sette Comunità Autonome spagnole, vale a dire 7 delle 16 amministrazioni regionali iberiche - dalle quali, per la storia politica e istituzionale di quel paese, dipende la gran parte dell’amministrazione scolastica – hanno deciso di ricorrere al Tribunal Costitucional contro la Ley de Calidad, la controriforma scolastica spagnola, accusando il governo di affidare a decreti ministeriali aspetti fondamentali del sistema educativo. Le sette comunità sono naturalmente le sei a guida socialista (Andalusia, Aragona, Asturie, Baleari, Castiglia-La Mancha e Estremadura ) più la Catalogna.
Una vocazione controriformatrice
La legge spagnola, ne abbiamo più volte parlato sulle pagine di VS, modifica parte dei vecchi ordinamenti della Logse, la legge varata all’epoca della cosiddetta decada socialista: obbliga le comunità a finanziare le scuole materne private convenzionate, crea una scuola materna da 0 a 3 anni a carattere assistenziale, divide gli alunni della scuola media in percorsi scolastici distinti a seconda del rendimento scolastico, cambia le modalità della secondaria superiore, stabilisce che gli alunni con più di due insufficienze vengano bocciati e introduce un esame alla fine della secondaria superiore (un altro esame per l’ammissione all’università era già previsto). Le analogie con alcuni aspetti della legge delega della Moratti sono evidenti. Nessuna sorpresa quindi che anche i sospetti di incostituzionalità siano analoghi.
Una vocazione centralizzatrice
Tuttavia le cose non combaciano perfettamente. Nel caso italiano sono soprattutto le prerogative parlamentari a risultare trascurate, nel caso spagnolo le violazioni riguardano soprattutto le competenze regionali: le differenti amministrazioni ne hanno individuato da un minimo di 44 ad un massimo di 60. Ad Aragona, Asturie e Castiglia non va giù l’idea di dover finanziare le scuole materne private. Finora la concertacion riguardava solo l’obbligo scolastico, per motivi di “supplenza”, ma ora minaccia di estendersi a tutta la sfera del privato per obbligo statale, senza che la comunità autonoma possa porre le sue condizioni. Per i catalani invece la legge limiterebbe la possibilità di adattare gli insegnamenti comuni alle caratteristiche culturali, linguistiche, demografiche, geografiche delle singole regioni, limiterebbe l’insegnamento del catalano e sottrarrebbe alla Generalitat la formazione degli insegnanti. Per l’amministrazione delle Baleari, isole dove prevalgono dialetti catalani, la lingua propria rischia di diventare lingua opzionale. Le Asturie contestano anche l’obbligo di istituire mediante regolamenti centrali l’educazione assistenziale infantile da 0 a 3 anni. Le amministrazioni andalusa, castigliana, estremegna e aragonese sottolineano invece come le norme sui percorsi a seconda del rendimento nella scuola media siano disposte in modo tale da provocare non solo una segregazione dell’ alumnado in tre aree socio-culturali, ma anche la possibilità di ulteriori segmentazioni. E più o meno la stessa cosa dicono gli asturiani, i quali denunciano come l’avocazione centralistica dei Programmi di Iniziazione Professionale, sorta di avviamento al lavoro, costituiscano in realtà un quarto canale di scuola media.
Una vocazione prevaricatrice
Nell’insieme tutte le amministrazioni regionali lamentano quello che chiamano reglamentismo, vale a dire un eccesso di regolamentazione centralistica, che sfiora la pedagogia di stato nel momento in cui si definiscono i limiti per promuovere o bocciare un ragazzo, le attività per stimolare la lettura, le modalità per esprimersi in pubblico. Che dovremmo dire noi quando ci si impone, per esempio, di organizzare la didattica nella scuola elementare mediante maestri prevalenti e maestri coadiuvanti, oppure quando si pensa restaurare l’autorevolezza docente attraverso la restaurazione di una relazione minacciosa e ricattatoria quale quella che passa attraverso il voto di condotta!
Roma, 31 marzo 2003