Education at a glance. La situazione italiana a confronto con i paesi OECD
I dati comparati evidenziano progressi, ma anche problemi annosi del sistema educativo italiano che richiedono soluzioni politiche ed urgenti interventi mirati. Al centro le questioni dell’equità e della qualità del servizio offerto.
Il rapporto annuale “Education at a glance”
Le sfide quantitative
Anche in Italia, negli ultimi anni, si è verificato un rilevante aumento del numero di studenti che acquisiscono una qualificazione a livello d’istruzione superiore con risultati al di sopra della media OECD: il 41% di studenti della coorte di età corrispondente completa il primo ciclo d’istruzione superiore, rispetto alla media OECD del 36% (dati 2005). Un incremento che, a parere dell’OECD, deve essere soprattutto attribuito alla riforma universitaria collegata al processo di Bologna. Un trend destinato a crescere, ma che necessita di una maggiore accelerazione se si vuole evitare un ampliamento del differenziale tra l’Italia e molti paesi dell’OECD, dove il tasso di iscrizione all’istruzione superiore supera il 70%. A questo proposito, l’OECD cita i casi positivi della Corea, dell’Irlanda e della Spagna dove, partendo da livelli molto bassi, il tasso dei laureati è raddoppiato negli ultimi venti anni.
Come per la maggior parte dei paesi OECD, anche in Italia gli studi più richiesti sono nei settori delle scienze sociali, economia e legge, mentre la percentuale degli studenti che frequentano facoltà scientifiche è di un punto percentuale al di sopra della media OECD, pur rimanendo ancora una forte differenza con altri paesi rispetto sul numero di persone che hanno fatto studi superiori scientifici ogni 100.000 abitanti. (1401 in Italia, più di 2.200 in Australia, Francia, Finlandia, Corea, Nuova Zelanda e Regno Unito).
Tra le questioni ancora irrisolte: la scarsa presenza di corsi d’istruzione superiore più focalizzati all’acquisizione di competenze tecniche e pratiche finalizzate ad un ingresso diretto nel mercato del lavoro e la presenza ridotta di studenti stranieri (meno del 2%), dato che situa l’Italia tra i paesi OECD meno internazionalizzati.
Sul piano dei benefici rispetto al mercato del lavoro, derivanti dal possesso di un titolo d’istruzione superiore si confermano i dati positivi. In Italia, le persone adulte (25-64 anni) con titoli di studio inferiori al diploma guadagnano il 21% meno dei diplomati e la metà dei laureati. E se in generale persone con titoli di studio d’istruzione superiore guadagnano di più dei diplomati, tale differenza si colloca al 60% nel caso italiano, un vantaggio comparativamente più alto rispetto alla media dei paesi OECD. Rimangono, invece, significative le differenze tra uomini e donne a parità di titolo di studio (in buona compagnia con molti altri paesi OECD).
…e quelle qualitative
In Italia, ancora un’ampia fetta di persone non completa l’istruzione secondaria, incontrando maggiori difficoltà e penalità nel mercato del lavoro e, malgrado la crescita nell’ultimo decennio, il rischio è di non colmare mai il differenziale con altri paesi, in cui il tasso di crescita degli studenti che completano gli studi secondari è molto più elevato. I dati confermano anche per l’Italia le maggiori difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro per le persone prive di titolo di studio secondario (il 52% degli adulti è occupato rispetto al 73% con diploma o titoli corrispondenti e al 80% con titoli d’istruzione superiore). Una differenza che diventa ancora più pronunciata nel caso delle donne: è occupato solamente 1/3 delle donne con bassi titoli di studio. Nel caso dei giovani, la transizione dalla scuola al mercato del lavoro è ancora più difficile per quelli in possesso di bassi livelli educativi. In Italia, l’11,3% dei giovani tra 25 e 29 anni senza titolo di studio secondario non lavora e neppure segue percorsi formativi, con gravi costi sociali ed umani, mentre la percentuale scende al 6,9% per quelli che hanno concluso gli studi secondari.
Per quanto riguarda l’accesso all’istruzione superiore, anche in Italia la probabilità è maggiore per gli studenti i cui padri sono a loro volta laureati: il 17% dei padri di studenti che frequentano l’università hanno, infatti, un titolo di studio di istruzione superiore, mentre i laureati rappresentano solo il 10% dei padri di studenti per uno stesso gruppo d’età. Tassi di iniquità, però, meno elevati rispetto ad altri paesi europei come Austria, Francia, Germania e Regno Unito, dove gli studenti con padri laureati hanno una probabilità due volte più alta di frequentare studi superiori rispetto alla loro presenza percentuale a livello della popolazione.
Si conferma lo scarso sviluppo del sistema d’istruzione e formazione continua, con uno dei più bassi tassi di partecipazione (solo il 4% della popolazione adulta). Dato che maschera le larghe differenze di partecipazione in rapporto ai livelli d’istruzione: dal 12% per l’istruzione superiore a solo l'1% per adulti con livelli di studio bassi. Ne risulta che l’aspettativa di frequentare corsi non formali di formazione connessa al lavoro per persone con titoli di studio inferiori al diploma o alla qualifica è di sole 26 ore per tutta la vita lavorativa, 30 minuti scarsi per anno. Si tratta del livello più basso rispetto ad altri 22 paesi con dati reperibili. In pratica, l’educazione e formazione continua, in Italia, tende a rinforzare, piuttosto che a ridurre, le differenze iniziali.
Infine, è molto alto il differenziale tra uomini e donne rispetto alle aspettative di concludere gli studi superiori; solo il 43% dei maschi quindicenni rispetti al 60,4% delle ragazze.
Le sfide delle risorse e dell’efficienza
I livelli di spesa per studente in Italia fino all’istruzione secondaria sono alti rispetto alla media dei paesi OECD (rispettivamente 7.390 e 7.843 dollari USA in confronto a 5.832 e 7276 dollari). Considerando la spesa complessiva per tutta la durata dell’istruzione primaria e secondaria, l’Italia investe 99.778 dollari per studente, un livello alto tra i paesi OECD, all’ottavo posto dopo Austria, Danimarca, Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Svizzera e Stati Uniti.
In contrasto con tale situazione, l’Italia investe, invece, molto meno nell’istruzione superiore, con una spesa pari allo 0,9% del PIL, confermandosi come l’unico paese dell’OECD che spende meno dell’1%, 0.5 punti percentuali al disotto della media OECD. Minore ovviamente anche la spesa annua per studente (7.723 dollari), circa il 30% in meno di quanto investono i paesi tecnologicamente più avanzati. In aggiunta, una considerevole porzione della spesa per gli istituti d’istruzione superiore va alle attività di ricerca e sviluppo. Il confronto di spesa per studente per i servizi educativi a livello d’istruzione superiore colloca l’Italia ad un livello inferiore al 40% della media OECD, davanti solamente a Grecia, Polonia e Turchia.
In compenso nella passata decade, si è verificata un’inversione di tendenza per quanto riguarda le spese per l’istruzione superiore proveniente da fonti private (pari al 30,6%) per cui l’Italia si colloca la di sopra della media OECD, con una partecipazione alle spese che è salita dal 17,1 al 30,6%, dal 95 al 2004. Un incremento inferiore solo a quello dell’Australia e della Repubblica Slovacca. Infine, l’Italia fa parte del gruppo di paesi con tasse d’ingresso all’università più basse, ma che si caratterizza anche per la bassa porzione di studenti (meno del 40%) che godono di prestiti o di borse di studio.
Per quanto riguarda il numero di ore annuali di lezione, l’Italia si conferma ancora una volta ai primi posti – più di 8000 ore fra i 7 e 14 anni contro una media OECD di 6.898. Anche il numero medio di studenti per classe è inferiore alla media OECD (18.3 studenti per classe nella scuola primaria e 20.9 nella secondaria inferiore contro una media rispettivamente del 21.5 e 24.1). Al di sotto della media OECD, anche il rapporto alunni/docenti pari a 1.6 studenti per insegnante nella scuola primaria (media OECD 16.7) e 10.7 nella secondaria (media OECD 13.4). Questi dati, uniti al fatto che ben il 42% del tempo di insegnamento agli studenti dai 12 ai 14 anni è dedicato all’italiano, alla matematica e alle scienze (leggermente superiore alla media OECD, pari al 39%) pongono, a parere dell’OECD, interrogativi sull’efficienza del sistema educativo italiano, in relazione a quanto emerge dagli esiti della ricerca PISA.
Andamento opposto per quanto riguarda gli stipendi dei docenti che continuano ad essere assai bassi rispetto agli standard OECD: nella secondaria inferiore un docente italiano, con 15 anni di servizio, guadagna circa 8.500 dollari in meno della media OECD. Stessa situazione per gli altri ordini di scuola, primaria e secondaria superiore, con un livello salariale inferiore al 20%. Inoltre, la crescita dei salari è lenta in confronto con la media OECD, pari a 24 anni.
I bassi salari sono, infine, in parte compensati da un numero di ore d’insegnamento annuale leggermente inferiore alla media OECD (rispettivamente 735 e 601 ore contro una media di 803 e 707).
Roma, 24 settembre 2007