La campagna contro la Direttiva Bolkestein
Paesi Bassi, dicembre 2004
La campagna contro la Direttiva Bolkestein
Il movimento sindacale è impegnato, insieme con la rete dei movimenti, a bloccare la direttiva Bolkestein, che se approvata aprirebbe pesanti varchi alla deregolamentazione dei servizi pubblici, in particolare quelli d’interesse generale, come la scuola. Tale direttiva, presentata nel gennaio scorso quale contributo al rilancio della strategia di Lisbona, ha suscitato un’ampia opposizione ed è stata oggetto di più seminari e workshop al Forum sociale Europeo di Londra. Con la presente scheda si vuole fornire una prima informazione sui contenuti della direttiva e le mobilitazioni in atto, sostenute anche dalla FLC Cgil, in quanto i contenuti della direttiva sono in perfetta sintonia con quelli degli Accordi sulla commercializzazione dei servizi, di cui il settore educazione costituisce un aspetto importante.
Roma, 7 dicembre 2004
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I contenuti della direttiva
La direttiva Bolkestein, dal nome dell’estensore, il commissario ultra liberista olandese del gabinetto Prodi, si propone l’obiettivo di uno sviluppo dei servizi europei in un nuovo quadro giuridico che sopprima gli ostacoli alla libera circolazione dei prestatori di servizi tra gli Stati membri e alla libertà d’istituzione dei servizi, un settore che costituisce la principale area economica dell’Unione Europea, con il 66% del prodotto interno lordo e il 75% dell’occupazione UE.
In pratica la direttiva, che copre una larga fascia d’attività connesse ai servizi e si applica ai prestatori di servizi stabiliti in uno Stato membro, introduce una generalizzata liberalizzazione transfrontaliera dei servizi. Al fine di eliminare il più possibile ostacoli alla libertà d’istituzione di un servizio, si propongono misure di semplificazione amministrativa, come lo sportello unico, procedure semplificate d’autorizzazione, il divieto di condizioni imposte da uno Stato. In particolare, per eliminare gli ostacoli alla circolazione dei servizi, si propone il principio del paese d’origine, per cui chi presta il servizio è soggetto solo alla legge del Paese in cui ha sede l’impresa e non a quella del Paese dove fornisce il servizio. Lo stesso principio si attua per il distacco di lavoratori. La direttiva affida, infatti, al paese di distacco la responsabilità di vigilare sul rispetto delle condizioni d’impiego e di lavoro.
Le principali conseguenze
Principio del paese d'origine
E’ il punto maggiormente contestato della direttiva. Sottoponendo i prestatori di servizi alle sole disposizioni dello Stato d’origine del prestatore, c’è un rischio reale di concorrenza abusiva nei settori non armonizzati a livello europeo, con conseguenze in termini di dumping economico e sociale. Di fatto, questa norma incoraggerebbe i fornitori a collocare le loro sedi nei paesi della UE a più bassi vincoli fiscali, sociali e di tutela dei consumatori.
Legislazione del lavoro
Il rischio è che nel caso di distacco temporaneo di un lavoratore, il principio del paese d’origine diventi la norma cui attenersi per quanto riguarda il rapporto di lavoro. Ciò avrebbe inevitabili ripercussioni sulla legislazione del lavoro in quanto s’indebolisce il funzionamento delle protezioni minime esistenti, soprattutto in assenza di regole europee sul lavoro ad interim.
Servizi d’interesse generale
Il progetto Bolkestein tratta i servizi d’interesse generale, come la sanità, alla stregua di qualsiasi altro servizio, in assenza di una chiara definizione, da parte della Commissione, di una direttiva - quadro sui servizi generali, come richiesto da un ampio fronte sindacale e sociale dallo stesso Parlamento europeo.
La situazione attuale e i t empi della discussione
La direttiva Bolkestein è una direttiva a codecisione, promossa dalla Commissione che deve essere approvata sia dal Parlamento europeo sia dal Consiglio Europeo. Nella riunione del Consiglio sulla Competitività (i ministri con incarichi relativi agli affari sociali non sono stati coinvolti nella discussione), tenutasi il 25 novembre, sono emerse numerose perplessità con pareri non unanimi.
Anche a livello del Palmento europeo, si profila una serie di modifiche. La proposta è stata esaminata l’11 novembre scorso nell’audizione pubblica del parlamento Europeo e gli stessi sostenitori della liberalizzazione dei servizi hanno ammesso che la proposta iniziale dovrebbe essere modificata, come ha dichiarato al termine dell’audizione l’eurodeputata belga Anne Van Lancker, che dovrà preparare il rapporto del Parlamento sulla questione entro l’inizio dell’anno prossimo, per essere discusso in seduta plenaria all’Europarlamento.
Una prima votazione in prima lettura dovrebbe, infine, esserci verso la fine del primo semestre 2005. L’ipotesi è di arrivare ad una conclusione entro giugno 2005, data limite in cui tutti i paesi che fanno parte del WTO dovranno dichiarare le offerte di liberalizzazione dei servizi verso l’esterno e le richieste dei servizi per il proprio territorio. E’ noto che l’Unione Europea sta esercitando una forte pressione su questo tema, soprattutto sui paesi del Sud del mondo perché dichiarino le proprie disponibilità.
La posizione del sindacato e la mobilitazione
Mentre le organizzazioni professionali e del padronato si sono dichiarati sostanzialmente in favore del progetto, il movimento sindacale ha espresso in modo netto la propria opposizione ai contenuti della direttiva Bolkestein, a livello della CES e delle principali federazioni di settore interessate (costruzioni, servizi pubblici e privati).
Una campagna a vasto raggio è stata lanciata dalla Fsesp (Federazione sindacale europea dei servizi pubblici), che in “10 ragioni per il no” chiede il rigetto del testo attuale. Secondo la Fsesp, la direttiva Bolkestein è una proposta squilibrata, ove la qualità costituisce il principale ingrediente mancante, che rischia di ghettizzare i servizi d’interesse generale in una loro meccanica separazione tra “economici” e “ non economici” e che riduce a meri ostacoli le regolazioni nazionali sugli standard dei servizi e sulla contrattazione collettiva.
Inoltre, in corrispondenza con la riunione del Consiglio di competitività a Bruxelles, si è tenuta una manifestazione indetta dalla FETBB (federazione europea dei lavoratori delle costruzioni e legno) e dalla FSESP. Mobilitazione che ha visto la partecipazione anche dei movimenti come deciso al terzo forum sociale di Londra hanno chiamato alla mobilitazione contro la direttiva.
Per i prossimi mesi sono previste numerose altre iniziative nazionali ed internazionali, tra cui la manifestazione europea del prossimo 19 marzo contro la guerra e il neoliberalisno, lanciata dal Forum Sociale Europeo di Londra e la settimana di mobilitazione sul commercio, dal 10 al 16 aprile 2005, lanciata dal FSM di Mumbay.
LA FSESP: Le dieci ragioni per il no
La Federazione Sindacale Europea dei Servizi Pubblici (FSESP) ha espresso con chiarezza il suo no alla proposta di direttiva. Ci sono almeno dieci buoni motivi, dice la più grande federazione di categoria della Confederazione europea dei sindacati (CES):
I cittadini europei vogliono un’Europa equilibrata.
Questo è un momento cruciale per la costruzione dell’Unione Europea. L’ideologia della concorrenza a qualsiasi prezzo occulterà ogni altro aspetto? La FSESP è per un’ Europa che si ricolleghi ai suoi cittadini e che bilanci la concorrenza con gli altri valori, principi e standard che pure si trovano nel Trattato.
Le promesse non sono state mantenute. La proposta di direttiva mette fine al dibattito sui servizi d,interesse generale.
La Commissione promise di consultare ampiamente la società civile sulla libertà dei servizi sociali per adempiere alle loro responsabilità, liberi da una politica che li incateni alla concorrenza. La consultazione deve avvenire prima che siano proposte altre misure che influiscano sulla loro operatività.
La proposta non è equilibrata.
Persino i sostenitori della bozza di direttiva hanno dubbi sul suo contenuto. La FSESP ritiene che ci sia poco da guadagnare e molto da perdere nel cercare di migliorare una brutta proposta. La Commissione dovrebbe ritirare la sua proposta.
Gli standard dei servizi pubblici, le buone condizioni di lavoro e gli accordi collettivi sono porte, non ostacoli, alla qualità.
Piuttosto che lanciare una proposta “fragorosa”, si dovrebbe trovare un percorso diverso per sviluppare la crescita, l’occupazione e la sostenibilità nella fornitura dei servizi – un percorso che distingue tra barriere “buone” e “cattive” e che rispecchi un ampio interesse pubblico;
La qualità: l’ingrediente mancante.
Ci sono molti interrogativi sul modo in cui la direttiva influirà sulla qualità di tutti i servizi, non soltanto su quelli pubblici. Nell’assenza degli standard di qualità, la direttiva non migliorerà il livello dei servizi forniti agli utenti ed ai cittadini.
I Servizi di Interesse Generale non devono diventare un ghetto.
La FSESP ritiene che le sfide di fronte all’UE riguardo alle cure sanitarie o alla cura degli anziani siano troppo importanti per essere lasciate al mercato. Le autorità pubbliche devono essere in grado di esercitare il controllo.
Non è questione di “economico “ e “non economico”.
Tutte le attività hanno un aspetto economico. Questo non è il punto, quello che conta è se queste attività abbiano prevalentemente scopi commerciali o meno. Nell’affermare che non avrà alcun effetto sui Servizi d’interesse genearle ‘non economici’ la Commissione evade la questione reale.
I gestori pubblici e privati non sono uguali. La FSESP respinge con forza un concetto di ‘neutralità’ che pone i gestori pubblici e privati su un piano paritario. Il settore pubblico non può abdicare dalle sue responsabilità verso i cittadini, laddove gli operatori privati possono sia scegliere, sia limitare le loro.
Questa è una differenza fondamentale.
Le sentenze della Corte di Giustizia Europea non possono essere l’unica fonte d’ispirazione.
Mentre si dovrebbero prendere sul serio le sentenze della Corte di Giustizia Europea, esse non avrebbero dovuto costituire la base principale della bozza di direttiva. Le sentenze sono, va da sé, fondate su casi specifici, mentre la proposta di direttiva propone un ampio quadro (de)regolatorio.
Sono necessarie la solidarietà e la sussidarietà.
Per affrontare le sfide future, serve un approccio europeo positivo sui servizi d’interesse generale. Oggi ci sono dibattiti separati che si sovrappongono, sui servizi d’interesse generale, sui partenariati pubblico-privati, gli appalti pubblici, le attività in-house, gli aiuti di stato, la bozza di direttiva sui servizi, ecc. Un quadro legislativo sui servizi d’interesse generale farebbe convergere tutti questi dibattiti. I principi di parità, costi abbordabili, accessibilità, continuità, efficienza, responsabilità e partecipazione dei cittadini nei servizi pubblici – e l’inclusione di garanzie economiche – sono il punto d’inizio per tale dibattito.