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La FLC CGIL ha partecipato nel mese di novembre a Malaga in Spagna alla Sesta Conferenza Internazionale dell’EI/IE su l’Università e la Ricerca

Dieci anni dopo la raccomandazione del 1997 dell’Unesco sulle condizioni di lavoro del personale docente nelle università,i sindacati membri dell’EI/IE si sono incontrati nella sede dell’Università di Malaga per fare il punto.

04/12/2007
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All’ordine del giorno le questioni inerenti alla mobilità del personale, alla fuga dei cervelli, alla difesa delle libertà accademiche, all’AGCS (Accordo Generale sul Commercio dei Servizi) applicato all’istruzione e alla mondializzazione nonché alla precarizzazione del lavoro con i contratti a tempo determinato.

La conferenza di Malaga ha dato ai partecipanti l’opportunità di discutere e di mettere a confronto la situazione attuale nei differenti paesi e di elaborare proposte riguardo alle future attività dell’EI/IE.

Sempre nell’ambito della Conferenza si è voluta analizzare la situazione delle donne e delle Pari Opportunità nelle università e nella ricerca, approfondire la questione delle tasse universitarie insieme all’Unione Europea degli Studenti (ESU) in un contesto più vasto di privatizzazione.

E’ stata denunciata la carenza di finanziamenti pubblici all’origine di una minore libertà accademica. In alcuni paesi si sono riscontratee denunciate “compressioni” dei diritti accademici sotto l’effetto delle leggi contro il terrorismo e notevoli limitazioni alla mobilità e alla libera attività dei ricercatori e degli studenti e perfino un controllo sempre più pressante sull’attività di insegnamento.

Soprattutto nell’ambito della medicina, ma non solo, i finanziamenti privati hanno limitato la ricerca di base e la libertà della ricerca ed indirizzato l’attività verso il profitto; è emerso un vasto sistema di controllo sulle pubblicazioni considerate “dovute” dal settore privato e finalizzate al mercato.

La libertà accademica e la ricerca vanno di pari passo ed i sindacati hanno rivendicato, con forza e determinazione, il compito di operare e di tutelare il mondo accademico dalla dipendenza di interessi economici che condizionano e obbligano i ricercatori, soprattutto i giovani precari, a sottostare a logiche di mercato, e di sollecitare l’aumento dei finanziamenti statali.

Tutti i paesi hanno denunciato “l’escalation” del lavoro precario che limita non solo la libertà accademica e della ricerca, ma anche quella personale e che impedisce la partecipazione attiva, costringendo l’individuo in una emarginazione sociale inaccettabile.

A tale proposito l’EI/IE si è fatta promotrice di una campagna sull’Istruzione di qualità e pubblica, sulla necessità di una contrattazione collettiva per la tutela dei diritti di tutti, precari e non, e di una seria lotta al precariato che i governi devono affrontare con finanziamenti pubblici consistenti, protezioni sociali per tutti, e diritto alla formazione permanente.

Vanno riconosciute pienamente, le competenze acquisite all’estero; si deve favorire l’accesso all’istruzione superiore allo studente lavoratore, per una università pubblica con maggiore flessibilità.

I sindacati internazionali hanno rivendicato l’urgenza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato come unica tipologia di contratto applicabile, e la ricerca di tale tutela con ogni mezzo legale possibile, nonché la necessità di limitare i contratti temporanei a non più di tre anni, rinnovabili una sola volta.

Le università vivono su una contraddizione istituzionalizzata: tanti giovani precari mal pagati ed un invecchiamento del personale stabilizzato, situazione estrema che impedisce ogni forma di crescita programmata per il futuro. I sindacati devono quindi garantire ai giovani precari attraverso la contrattazione collettiva il riconoscimento della propria professionalità, diritti e garanzie sindacali.

L’EI/IE intende anche farsi promotrice di una ampia campagna di stabilizzazione e di lotta contro il precariato.

La complessità sociale e le modificazioni dei modelli accademici devono portare al dinamismo delle università, alla qualità nella diversità e ad una nuova coesione sociale con il miglioramento delle condizioni di lavoro delle persone.

Si è ribadita l’importanza della dimensione culturale ed educativa delle persone e quindi dell’ Educazione degli adulti, della cooperazione tra i paesi e dello scambio di buone pratiche, della collaborazione tra istituzioni e sindacati.

La libera circolazione degli individui e la mobilità dei docenti, dei ricercatori e degli studenti favoriscono un più alto ed esteso livello educativo, implicano un aggiornamento delle materie, dei programmi, dei metodi ed una valutazione permanente con la partecipazione e la disponibilità degli insegnanti.

Sono necessarie strategie a lungo termine, riconoscimento dei diplomi e dei diritti derivanti dalla cittadinanza europea.

I concorsi debbono essere trasparenti con candidati selezionati anche in altri paesi europei per migliorare il livello dell’offerta formativa e favorire l’accesso ai giovani.

Molto lontano dall’essere risolto il rispetto delle Pari Opportunità nell’ambiente universitario anche nei paesi più avanzati. Anche se la donne sono le più brave, l’indice di parità dei generi è molto variabile tra un paese e l’altro e comunque nettamente sfavorevole al sesso femminile. Le donne subiscono ancora gli effetti dovuti a dei modelli di ruolo non superati. Salari più bassi per stessa tipologia di lavoro e responsabilità, permanenza nei livelli più lunga, meno progressione di carriera, più lavoro precario e più part time con pensioni conseguentemente più basse e più povertà, poca applicazione delle politiche sulle pari opportunità nei contratti, tante parole e poco interesse generale “vero” con una costante significativa, pochi finanziamenti a disposizione.

Dove il lavoro è poco pagato e precario ci sono pochi uomini e molte donne.

I sindacati devono concretizzare nella contrattazione collettiva le politiche per le pari opportunità, lavorare con i datori di lavoro per equilibrare i salari, colmare le differenze, sorvegliare ed eliminare i processi discriminatori nelle carriere, imporre l’equità, trovare strategie nonché sollecitare leggi del lavoro a tutela delle lavoratrici e verificare l’impatto delle leggi regionali sul problema.

I programmi di studio devono tener conto dell’integrazione di genere, prevedere master “per” il genere; insomma, è urgente passare dalla teoria alla pratica e coinvolgere gli uomini nella lotta.

Gli accordi AGCS sull’educazione, che fanno dell’istruzione una merce, sono stati ampiamente denunciati a Malaga anche se con qualche variante da parte degli USA, paese in cui questi accordi spaziano dalle elementari alle superiori, all’università, all’educazione degli adulti, alla ricerca, alla medicina, allo sviluppo oppure dai libri ai diritti d’autore con accordi tentacolari e complicati. Questi accordi si fanno soprattutto con paesi in via di sviluppo che ovviamente ne traggono pochi vantaggi. Per combattere tale fenomeno è importante la comunicazione per sapere che cosa succede in Europa e nel mondo. L’impatto di questi accordi, a caratteristiche regionali o bilaterali, sull’istruzione pubblica è devastante e vanno monitorati e combattuti.

E’ in aumento la privatizzazione del settore pubblico con l’idea che privato è più efficace mentre in realtà si attacca il servizio pubblico che assicura l’equità e la crescita della collettività.

Nascono i PPP (partenariato pubblico privato): sono contratti a lungo termine in cui il pubblico è associato al privato. Lo scopo sarebbe di snellire il pubblico, insegnare allo Stato a ridurre i costi, gestire i servizi pubblici condividendo responsabilità degli investimenti, rischi e benefici e questo non solo nelle comunicazioni o nei trasporti ma anche nel settore dell’istruzione.

In realtà i PPP gonfiano i costi e rimangono, per una certa politica, “interessanti” in quanto la spesa pubblica viene iscritta fuori bilancio. Si tratta quasi di unmonopolio che non favorisce la concorrenza; essi impongono le loro regole e lo Stato è responsabile dei rischi come bancarotta, cessazione ecc. Il privato, che dovrebbe aiutare il pubblico a crescere, lo costringe invece alle sue dipendenze ed in più non è in grado, per mancanza di conoscenza del settore, di individuare e raggiungere gli obiettivi istituzionali.

C’è in realtà nei PPP una divisione illegale dei rischi: i costi sono socializzati ma i guadagni sono privatizzati.

Con i PPP mancano l’informazione e la trasparenza e si limitano il ruolo ed il funzionamento dello Stato.

Questo provoca effetti negativi sull’intero funzionamento dell’università in quanto le priorità sono determinate da interessi di mercati e non rispondono alle necessità formative. Le programmazioni vengono interrotte, mancano i locali, gli spazi e si ricorre ad esternalizzazioni per la gestione dei servizi; si riscontrano inoltre effetti devastanti sul personale con il blocco delle assunzioni. L’università di Montréal ne è un triste esempio.

I PPP possono fare crollare un’Istituzione.

L’ ESU (Unione Europea degli Studenti) ha denunciato l’aumento generalizzato delle tasse universitarie, la diminuzione dei laureati per il futuro in quanto le iscrizioni sono in calo, l’indebitamento delle famiglie per gli studi dei propri figli, la dipendenza dai genitori (per l’Italia i cosiddetti bamboccioni!), la mano lunga del privato che finanzia a seconda delle sue scelte e senza equità.

Ancora oggi sul diritto all’istruzione incidono l’ambiente geografico e culturale, il sociale, la famiglia, e si conviene che sia necessario che studenti e professori si uniscano per lottare all’insegna di una campagna sui diritti all’Istruzione.

Infine, l’EI/IE intende tenere sotto stretta sorveglianza il nuovo programma PISA per l’Insegnamento Superiore. La metodologia dell’indagine predisposta da economisti, che l’OCDE vuole proporre anche per l’università e la ricerca, ha suscitato non poche perplessità: concezione “economista” della libertà accademica, dei programmi di studio, del lavoro dei docenti e alto rischio di modelli che vanno contro la nostra idea di servizio pubblico di qualità. Insomma, una istruzione finalizzata al mercato e legata al fattore economico da contrastare con forza.

La mobilità dei professori e degli studenti fa parte delle strategie necessarie affinché le università possano svolgere al meglio la loro missione e non va intesa come precarietà e incertezza per il futuro bensì come crescita professionale individuale e dell’intero sistema.

Nei singoli paesi si deve lavorare affinché a livello nazionale, europeo ed anche internazionale, operi una rete efficace di esperti in grado di dare, a tutti, le informazioni riguardanti le proposte di borse e di dottorati a disposizione, in piena trasparenza. E’altrettanto necessario poter confrontare oltre che conoscere il sistema università e ricerca globalmente, analizzare e rendere noti e comparabili i diversi piani d’azione, le norme, gli orientamenti, allo scopo di migliorare l’informazione e la qualità, integrare, migliorare e valutare i livelli di formazione per imparare dai propri errori e da quelli degli altri, promuovere l’università e la ricerca e dareuna nuova dimensione sociale all’insegnamento superiore nonostante le diversità esistenti nei singoli paesi.

Un obiettivo certamente ambizioso ma quasi obbligato per giungere al pieno riconoscimento delle qualifiche professionali e per la giusta ed equa valorizzazione del sistema educativo nel suo complesso.

I sindacati devono partecipare a questo processo e vigilare affinché questa strategia non vada confusa con un’operazione economica o di mercato, il cui effetto nefasto sarebbe quello di produrre rivalità e concorrenza tra le istituzioni, e venga invece monitorata, accompagnata e sostenuta nell’ottica di una cooperazione costruttiva, sempre nel rispetto delle singole missioni.

Per una maggiore mobilità nazionale ed internazionale bisogna fare in modo che si possano capitalizzare gli studi ed i crediti, dare maggiori caratteristiche comuni a diplomi e programmi nel rispetto delle diversità e delle autonomie, creare nuovi masters, insomma, non si deve andare alla ricerca di un’omogeneizzazione artificiosa ma di un’armonizzazione dei sistemi; i sindacati diventano attori fondamentali nel coniugare innovazione e tutela dei diritti dei docenti.

In questo processo di cambiamento della cultura universitaria è indispensabile la partecipazione attiva delle rappresentanze sociali e di categoria e niente può essere imposto.

Si registra purtroppo al livello internazionale la tendenza da parte delle istituzioni ad emarginare, se non escludere, insegnanti, ricercatori, studenti e personale tecnico amministrativo dalla elaborazione delle nuove strategie con il rischio di proporre un sistema universitario selettivo che diventi la mera classificazione delle università e la promozione dell’eccellenza per pochi e la conseguente creazione di diplomi con pesi diversi sul mercato.

La cultura è alla base della libertà di ogni singolo individuo e le università hanno una missione pubblica ben precisa: quella di unire capacità, competenze e qualità e di favorire una ricerca pubblica motore dell’innovazione e della crescita sociale nel mondo.

Roma, 4 dicembre 2007