Regno unito: meno test e meno disarticolazione per i nuovi esami.
Regno Unito, Luglio 2003
Luglio
Regno unito: meno test e meno disarticolazione per i nuovi esami. Che gli esami inglesi fossero un problema è diventato evidente lo scorso anno quando la modifica dei criteri di valutazione del cosiddetto A-level ( grosso modo la nostra maturità liceale), fatta all’insaputa dei candidati, provocò prima l’abbassamento delle medie ( e conseguentemente dell’ammissione nelle università a numero chiuso) e poi via via il siluramento di tutto lo staff ministeriale e valutativo, fino al Ministro dell’Educazione Estelle Morris. Quest’ultima oggi ribadisce che rifarebbe la stessa cosa, ma la lezione deve essere servita al governo laburista se il Guardian di sabato 12 luglio intitolava “Le scuole affrontano la rivoluzione degli esami”.
In cosa consisterà questa rivoluzione, che minaccia di mettere in discussione gli A-level, i Gcse e le qualifiche professionali come gli inglesi li avevano conosciuti ultimi 50 anni?
Meno test, più formazione a tempo pieno ( nel senso di meno apprendistato e più scuola), meno esami, una valutazione più basata sulla frequenza scolastica, ma anche il riconoscimento del lavoro volontario dei ragazzi, delle competenze in lettura, calcolo e tecnologie dell’informazione e della comunicazione: questi saranno gli assi della riforma.
Mike Tomlison, l’ex-ispettore incaricato di presiedere la task force che dovrà formulare il nuovo esame definisce un “minestrone alfabetico” la situazione esistente nel paese, una delle peggiori del mondo industrializzato: sono stati identificati 3700 corsi di studio con altrettanti programmi e circa 800 differenti qualifiche dentro cui dovevano districarsi gli alunni britannici. Nel 2000 solo il 58% degli alunni diciassettenni studiava nella formazione a tempo pieno, collocando l’Inghilterra al 25° posto tra i 29 paesi dell’Ocse per regolarità degli studi e mantenendo assai basso il numero dei passaggi all’università e all’istruzione superiore, che il governo laburista vorrebbe portare almeno al 50% della popolazione in età.
Per l’occasione la denominazione “diploma” viene preferita al termine “baccalaureato” che ha assunto in questi anni significati fuorvianti, e questo diploma sarà definito a quattro livelli:
1) di entrata, a 14 anni, con gli obiettivi del vecchio “key stage 3”
2) di base, con risultati simili a quelli dei vecchi Ds e e Es del Gcse
3) intermedio, come il vecchio Gcse quinquennale
4) avanzato, equivalente al vecchio A-level
Ogni livello del diploma avrà tre o quattro elementi: generali come lettura, calcolo e TIC; specialistico-professionali; supplementari, di complemento ai corsi specialistici; extracurricolari (tra questi ultimi potrà valere sia il far parte delle squadre sportive della scuola che il partecipare lal gestione scolastica). Gli studenti potranno scegliere otto specialità al livello intermedio e tre al livello avanzato, dai 16 anni in su. Non mancherà la possibilità di acquisire crediti: “Un ragazzo potrebbe smettere a 17 anni e decidere di rientrare a 21” dice Tomlison.
Per gli studenti dovrebbe essere ridotto lo stress da valutazione e anche le prove scritte dovrebbero avere un peso minore soprattutto nel settore professionale.
Insomma mentre da noi in Italia si decantano i vantaggi della disarticolazione del sistema, proponendone una specie di scissione ameboide che ( tra licei statali e professionali regionali, corsi omogenei e corsi non omogenei, a tempo pieno e in alternanza) si sa dove comincia ma non dove finisce, chi, come gli inglesi, ha già sperimentato i limiti di questo sistema si propone di riaggregare, stabilire percorsi certi e codificati, titoli meno parcellizzati e più comprensivi.