WTO. Le valutazioni della CGIL e della CES sul documento conclusivo
Sesta Conferenza ministeriale Hong Kong
Pubblichiamo il testo della dichiarazione di Titti Di Salvo, responsabile dei rapporti internazionali per la segreteria confederale, e della CES sulla conclusione della conferenza del WTO di Hong Kong. Un'analisi più dettagliata dei contenuti del documento conclusivo sarà pubblicata successivamente. Il testo del documento conclusivo della Conferenza è reperibile (in inglese francese e spagnolo) sul sito www.wto.org
Roma, 21 dicembre 2005
DICHIARAZIONE DI TITTI DI SALVO, SEGRETARIA NAZIONALE CGIL
La Conferenza ministeriale di Hong Kong si è chiusa con un documento di basso profilo, nel quale viene sostanzialmente negata la centralità dello sviluppo e non trovano spazio alcuno le richieste sindacali di una valutazione preventiva dell’impatto di ulteriori liberalizzazioni degli scambi su occupazione e qualità delle condizioni di lavoro: la parola occupazione non è neanche citata in alcuna parte del documento conclusivo.
Hong Kong ha reso visibili una nuova architettura dell’economia mondiale e il peso politico di paesi, quali Cina, Brasile, India, Sudafrica, ma i contenuti restano molto lontani dall’obiettivo proclamato dello sviluppo, in coerenza con gli Obiettivi del Millennio dell’ONU, e da una seria considerazione dei diritti e delle norme del lavoro sancite dalle Convenzioni fondamentali dell’OIL, mentre si conferma la drammatica latitanza della politica nel dare risposte a un mondo sempre più multipolare e sempre più ingiusto e nel ristabilire una gerarchia corretta tra gli obiettivi e le funzione del sistema delle istituzioni internazionali.
Malgrado l’unità dei paesi in via di sviluppo e il riconoscimento politico del ruolo di leadership assunto dal gruppo dei G20, in particolare da Brasile e India, e malgrado alcuni piccoli passi in avanti su agricoltura e cotone e a favore dei paesi più arretrati, infatti la sostanza dell’accordo, in particolare nel campo dei servizi e dei prodotti industriali, ma anche per le ambiguità degli stessi capitoli agricolo e del cotone, vede prevalere una volta di più gli interessi delle economie più avanzate.
Si pregiudicano inoltre seriamente gli spazi di intervento pubblico, soprattutto nelle politiche sociali e industriali, sia per i paesi sviluppati sia per quelli in via di sviluppo, mentre la mancanza di un esplicito riconoscimento del rapporto tra sviluppo e quantità e qualità dell’occupazione, come si è già visto nella vicenda del settore tessile, fa temere altre e più gravi conseguenze occupazionali nel Sud come nel Nord del mondo.
L’Unione Europea esce politicamente indebolita per la sua incapacità di interloquire positivamente con l’emergere del fronte unitario dei paesi in via di sviluppo ed è apparsa unita solo nell’arroccamento sulle sue posizioni e incapace persino di inserire significative risorse aggiuntive nella sua stessa proposta di “aiuti per il commercio”. Infatti il cosiddetto “pacchetto sviluppo” rivolto ai paesi più arretrati risulta più un elemento decorativo, frutto essenzialmente della ricollocazione di risorse già stanziate, che un effettivo inserimento della priorità dello sviluppo all’interno dei pilastri fondamentali del negoziato: agricoltura, prodotti non agricoli (NAMA) e servizi. Il Governo italiano ha primeggiato nell’allinearsi al basso profilo dell’Unione Europea e la pur positiva citazione degli standard sociali e ambientali, contenuta nell’intervento del ministro Scaiola, è apparsa più un atto formale che un elemento coerente di una politica commerciale.
Se l’accordo di Hong Kong salva il WTO dal fallimento definitivo che sarebbe conseguito ad un vertice senza esito, dopo quelli di Seattle e Cancun, la conclusione del round di Doha non è affatto scontata, essendo i prossimi mesi di trattative cruciali per la definizione del merito su tutti i temi oggetto del negoziato. Le proposte e gli interessi dei singoli paesi restano molto divergenti con la possibilità che non si giunga a un accordo conclusivo o che siano inserite clausole ancor più negative, soprattutto nel caso di una piena liberalizzazione del mercato dei servizi e dei beni comuni. Lo stesso sistema multilaterale del commercio è quindi ancora a rischio di fallimento, con la proliferazione di accordi bilaterali che rendono, se possibile, i paesi in via di sviluppo ancor più ricattabili.
La CGIL continuerà anche nei prossimi mesi di negoziato a lavorare per l’unità del movimento sindacale europeo e internazionale e per consolidare una rete di alleanze con ONG e altre espressioni della società civile intorno all’obiettivo di dare alla globalizzazione dell’economia e degli scambi regole e politiche di intervento pubblico che promuovano, ovunque nel mondo, sviluppo, occupazione e diritti del lavoro. Il perseguimento di questi obiettivi richiede uno sforzo ulteriore per consolidare la solidarietà tra sindacati del Nord e del Sud del mondo, misurandosi con le differenze di interessi materiali che essi si trovano a rappresentare.
LA CES CONSIDERA L’ACCORDO DEL WTO A HONG KONG UNA VITTORIA ILLUSORIA
La Confederazione Europea dei Sindacati valuta che l’accordo tra i governi raggiunto a Hong Kong, se permette la continuazione del negoziato commerciale avviato a Doha, abbia mancato l’obiettivo fondamentale di promuovere lo sviluppo e l’occupazione con dignità e diritti.
L’Unione Europea, accettando la scadenza del 2013 per la fine dei sussidi agricoli all’esportazione, è lontana dall’aver ottenuto impegni simili da parte degli USA (in particolare sul cotone) e dal Giappone.
La debolezza politica dell’Unione Europea è sempre più evidente. Il suo isolamento nel corso di tutta la settimana della Conferenza e la sua difficoltà nell’attivare alleanze innovative incentrate sullo sviluppo con i paesi in via di sviluppo, riuniti nel gruppo dei G90, sono preoccupanti.
L’occupazione è il grande assente di questo accordo. Nessun strumento è stato posto in essere per misurare l’impatto sull’occupazione degli accordi nei tre settori fondamentali: agricoltura, accesso al mercato dei prodotti non agricoli (NAMA) e servizi.
Inoltre, una volta di più i governi hanno rifiutato di inserire un riferimento all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e ai diritti sociale e alle norme fondamentali sul lavoro. La violazione di diritti civili, politici e sociali fondamentali continua a non essere riconosciuta come una violazione dell’ordine politico internazionale e perciò anche degli accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Il round negoziale di Doha doveva essere quello dello sviluppo. La CES giudica che la realtà è molto lontana da ciò. In assenza di un’integrazione delle condizioni per lo sviluppo nei tre pilastri fondamentali del negoziato le conseguenze di questo accordo per i paesi meno sviluppati potrebbero essere disastrose.
La CES si impegnerà nei prossimi mesi a far conoscere e difendere queste sue opinioni e inoltre a portare alternative e maggiore trasparenza nel dibattito socio-economico internazionale, in particolare a Ginevra (sede del WTO) e nell’Unione Europea. Le questioni, fondamentali per l’umanità al pari di uno sviluppo sostenibile, quali la promozione dei diritti sociali e ambientali e la salvaguardia della salute collettiva, non devono essere trascurate dai negoziati del WTO.