Decreto su alternanza scuola lavoro: testo approvato e commento
Come reso noto nei giorni scorsi il 24 marzo scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il decreto sull’alternanza scuola lavoro, che di seguito riportiamo
Come reso noto nei
giorni scorsi il 24 marzo scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il decreto sull’alternanza scuola lavoro, che di seguito riportiamo.
La versione definitiva contiene alcune novità rispetto ai testi precedenti, ma la sostanza rimane invariata.
Innanzitutto si conferma, all’art. 1, che gli studenti che abbiano compiuto 15 anni di età possono frequentare l’intera formazione dai 15 ai 18 anni in alternanza scuola lavoro. L’espressione “intera formazione” liquida in sé l’ipotesi che si tratti di una modailtà didattica, perché in quanto tale in nessun caso essa potrebbe riempire un intero percorso, scolastico o formativo che sia.
In tal senso, quindi, si introduce un ulteriore percorso formativo, che si affianca a quello di istruzione liceale, a quelli di istruzione e formazione professionale, e all’apprendistato, per l’espletamento del
diritto dovere all’istruzione. Che ai percorsi di alternanza saranno destinati gli studenti scolasticamente più deboli e “meno adatti allo studio” rischia di diventare realtà, a fronte di ipotesi che venivano negate nel corso degli incontri.
I percorsi saranno realizzati sulla base di apposite convenzioni tra le singole istituzioni scolastiche e formative e le imprese, loro associazioni, camere di commercio, enti pubblici e privati (art. 1 comma 2; art.3 commi 1-2).
Le risorse cui attingere per il finanziamento di queste attività sono da ricercare all’interno “degli ordinari stanziamenti di bilancio” delle istituzioni scolastiche e formative. Con i tagli realizzati sui trasferimenti alle scuole per l’ordinaria attività, mentre si sbandiera al mondo l’importanza di aver introdotto l’alternanza, dal punto di vista finanziario se ne nega nei fatti la praticabilità. Era del resto l’annotazione della stessa commissione
Bilancio della Camera che, nel corso dell’esame parlamentare, aveva proprio evidenziato l’assenza di risorse per la realizzazione di quanto a parole si introduce.
Si istituisce un apposito Comitato nazionale (art.3 comma 2), di cui francamente non si comprende il senso ed il significato, tranne quello di costruire l’ennesimo tavolo, i cui poteri appaiono alquanto vaghi e nebulosi. A questo Comitato viene attribuito il compito di definire i requisiti dei soggetti che ospitano studenti. Era questa, in parte, una nostra
specifica richiesta , che però avremmo voluto vedere soddisfatta all’interno del decreto, con un dettaglio maggiore rispetto agli elementi da garantire da parte delle imprese ospitanti.
Nulla si dice né si indica per quanto attiene al rapporto ore d’aula e ore di lavoro: tutto viene rinviato alle singole convenzioni, che quindi potrebbero prevedere, nel pieno rispetto di norme che non danno alcuna indicazione, un rapporto pressocchè esclusivo a favore dell’uno o dell’altro momento.
Ciò può produrre, quindi, all’interno dello stesso territorio, una enorme differenziazione di percorsi attivati dalle diverse istituzioni scolastiche e formative.
Peraltro questa assenza di indicazioni incide ed in modo non marginale, anche sul personale. Infatti, poiché si afferma (art.. 4 comma 2) che i periodi di lavoro “fanno parte integrante dei percorsi formativi”, le ore e le discipline previste dal curricolo per quel determinato indirizzo potrebbero subire modifiche sostanziali, in rapporto proprio al numero di ore impegnate dal lavoro. Alcune discipline potrebbero persino scomparire, altre subire profonde riduzioni, oppure tutte essere ridotte. Sono evidenti le ricadute, sia sulla qualità della formazione dello studente che sul personale, che potrebbe trovarsi in una situazione professionale profondamente diversa da quella per la quale è assunto.
Si produce, inoltre, un’ ulteriore invasione in materia contrattuale, laddove (art.5) si introduce il tutor interno all’istituzione scolastica e formativa, oltre che aziendale. E per di più si afferma che i compiti svolti dal tutor saranno riconosciuti ai fini della valorizzazione della professionalità docente.
I profili professionali e l’organizzazione del lavoro sono materie di competenza contrattuale, che non possono essere definiti unilateralmente. Viceversa, in questo modo, si rileva un attacco pesante al contratto e ai diritti dei lavoratori.
In tutti i casi, i periodi di lavoro non costituiscono rapporti di lavoro, come specificato dal comma 2 dell’art. 1.
L’assenza di indicazioni sul rapporto tra ore di studio e ore di lavoro e questa precisazione aprono scenari che potrebbero avvicinare molto questi periodi ad esperienze di lavoro minorile non retribuito né regolato piuttosto che ad esperienze formative.
Insomma c’è di che preoccuparsi sul versante dei diritti dei minori coinvolti in queste esperienze. Anche perché nessun ruolo viene attribuito al sindacato, a livello aziendale, che invece proprio in questo senso poteva svolgere una sana azione di controllo sociale contro ipotesi di sfruttamento o comunque di uso distorto di un istituto le cui finalità formative dovrebbero costituire un vincolo non superabile.
Dulcis in fundo, all’art. 7 si prevede la possibilità, da parte delle istituzioni scolastiche, di far frequentare corsi integrati agli studenti impegnati in alternanza scuola lavoro, negli istituti di istruzione e formazione professionale. Rileviamo un’interpretazione del concetto di integrazione alquanto distorta, che in sostanza potrebbe tradursi in una consegna all’istruzione e formazione professionale, da parte delle scuole, di studenti iscritti presso la scuola ma “poco adatti” ad un percorso di istruzione. In alcun modo possiamo condividere questa opzione.
Roma, 1 aprile 2005