I percorsi integrati Scuola-FP dalla teoria alla pratica ovvero integrazione o confusione?
La rilevazione, effettuata attraverso le nostre strutture regionali, dello stato dell’arte dei cosiddetti percorsi integrati scuola- formazione professionale derivati dall’accordo Stato-Regioni hanno messo in luce una confusione molto grossa tra i vari, differenti e spesso inconciliabili modelli esistenti non solo a livello nazionale ma anche a livello delle singole regioni
La rilevazione, effettuata attraverso le nostre strutture regionali, dello stato dell’arte dei cosiddetti percorsi integrati scuola- formazione professionale derivati dall’accordo Stato-Regioni hanno messo in luce una confusione molto grossa tra i vari, differenti e spesso inconciliabili modelli esistenti non solo a livello nazionale ma anche a livello delle singole regioni. Questo ulteriore elemento di confusione è frutto della pratica di devolvere alle singole province i compiti organizzativi in merito.
Già lo scorso anno avevamo individuato le diverse modalità istitituzionali adottate. A queste si sono aggiuntealtre differenze sviluppatesi sul piano pratico.
Solo poche regioni e qualche provincia praticano un’integrazione degna di questo nome, lasciando la titolarità alla scuola e introducendo un 15-20% di formazione professionale. Nella maggior parte dei casi, infatti,la titolarità di questi corsi è affidata alla formazione professionale. Nei casi, minoritari, in cui invece la titolarità è affidata alle scuole non si tratta tanto di corsi integrati, quanto di veri e propri corsi di formazione professionale gestiti con personale scolastico. Per converso in alcuni casi di gestione da parte della formazione professionale, questa gestisce anche gli insegnamenti disciplinari propri della scuola e a volte per un numero di ore consistente.
Si può dire che l’unica cosa che è veramente integrata è la confusione dei ruoli.
La diffusione di queste esperienze è ancora limitata. Difficilmente i corsi raggiungono la frequenza di 20 alunni e si attestano sui 10-15 alunni, nonostante in alcune regioni molte domande siano rimaste inevase. L’idea che ci si può fare è che gli alunni coinvolti non arrivino a 20.000, ma anche quanti di questi siano effettivamente quattordicenni è difficile da definire. Invece da più parti viene denunciato uno sfilacciamento sul controllo delle evasioni scolastiche: fatto sta che ovunque abbiamo mancanze all’appello che, nell’insieme, potrebbero anche pareggiare il conto con coloro che sono iscritti ai corsi “integrati”. Insomma, tranne qualche fortunata eccezione, si ha l’impressione chei corsi in questione servano più a togliere gli alunni dalle classi normali che a recuperarli dalla strada
Emerge anche che in non pochi casi i corsi sono iniziati e si sono conclusi con scansioni diverse rispetto all’anno scolastico. Questo fatto implica difficoltà nei “rientri a scuola” eventuali e enfatizza il ruolo di questo canale come canale a latere, con scarse possibilità sul recupero scolastico di questi ragazzi. Ciò viene confermata anche dalle scelte di rientro operate dai ragazzi al termine di ciascun anno. La cosa diventerà cruciale quest’anno anno quando arriveranno a conclusione i primi trienni sperimentali e si dovrà decidere dove e come questi ragazzi potranno eventualmente proseguire gli studi.
Roma, 18 novembre 2004