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La condizione dell'apprendimento e della diffusione della lingua italiana, in Italia e all'estero

Pubblichiamo il documento promosso dalla Fondazione Di Vittorio e FLC CGIL, con il sostegno di CGIL, SPI, INCA e Associazione Proteo Fare Sapere.

06/06/2016
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La mancata risposta alla crisi economica rompe equilibri, esaspera gli animi, riapre il conflitto sociale; la crisi sociale, mobilita paure e rancori, alimenta i populismi, smuove le dinamiche politiche. Tutto ciò indubbiamente, fa rumore. Non fa invece nessun rumore la crescita dell'ignoranza, dell'analfabetismo dilagante che sta pervadendo tutto il mondo “avanzato”, anche quei paesi che abbiamo sempre ritenuto virtuosi dal punto dei vista civico e culturale (Giappone, Finlandia, ecc).

Sta dunque accadendo una dinamica imprevista: una società che mai come in passato offre ai giovani un lungo percorso formativo, con il passare degli anni, vede sbiadire quel patrimonio fino al suo smarrimento.

L'Italia, dentro questo quadro, come la Spagna, si colloca nelle ultime posizioni. Questo è stato confermato dalla terza indagine PIACC 2014 (indagine internazionale sulla diffusione delle competenze “linguistiche” e “matematiche” tra gli adulti) ed elaborato ed approfondito dagli studi di Tullio De Mauro che da anni cerca di richiamare le responsabilità politiche e pubbliche al dilagare dell'ignoranza nel nostro Paese: ignoranza sul possesso della lingua italiana e quindi sulla capacità di interpretare correttamente un messaggio e sulla capacità di intendere cifre e tabelle. In una parola, un vuoto drammatico nel civismo del Paese.

Se come affermano gli esiti della ricerca e le annotazioni di De Mauro, solo un 30% della popolazione adulta può comprendere il linguaggio e le dinamiche della politica, come sorprendersi del successo di messaggi e parole d'ordine che fanno venire i brividi? Come non vedere che un dilagante analfabetismo mina le basi del civismo e della partecipazione democratica delle persone ed impedisce evidentemente anche qualsiasi ambizione “internazionale” della nostra lingua?

Quando nel 2014, alla presenza del sottosegretario Giro, si sono tenuti gli Stati generali della lingua italiana a Firenze, la Fondazione Di Vittorio e la FLC CGIL, con il sostegno della CGIL, dello SPI, dell’Inca e dell’Associazione Proteo, ha sollecitato un cambio di passo sulle politiche per la diffusione della lingua italiana nel mondo.

Svanita la polvere retorica che in queste occasioni un po' inevitabilmente si alza, di quell'evento non è rimasto nulla. Abbiamo anche sperato che l'Expo, con il suo carico di successi del “made in Italy”, sollecitasse il Governo a prendere in mano con più decisione il tema della diffusione della nostra lingua ma le attese sono andate deluse.

Ministero degli Esteri e Miur continuano nelle vecchie logiche, le risorse diminuiscono, il Governo deve comunque procedere all'attuazione della delega prevista dalla legge 107/2015. Tutto ciò malgrado il fatto che la legge 107/2015, pur tra tante e note contraddizioni, non manca di richiamare il valore della diffusione delle lingue straniere, della lingua italiana anche come L2, della “scuola per tutti”.

Chi sembra non volersi rassegnare a questo stato di cose, è il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Nell'ottobre dello scorso anno, in occasione del Congresso della Dante Alighieri, il Presidente Mattarella non solo aveva richiamato il tema del finanziamento dello Stato per la diffusione della lingua (avendo presente gli sforzi finanziari crescenti di Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna a fronte di una riduzione delle risorse pubbliche in Italia) ma aveva soprattutto sottolineato che “c'è un grande sforzo da fare, che può unire con competenze specifiche pubblico e privato, per diffondere la nostra lingua su Internet e sui social media”.

Insomma l'invito del Presidente a superare barriere e particolarismi,è stato molto chiaro ed andrebbe ora riversato pienamente nella delega che il Governo si appresta a definire, individuando un nuovo modello di governance in grado di rilanciare ad ampio raggio l'apprendimento della lingua italiana all'estero ma anche tra gli immigrati che sono presenti nel nostro territorio.

Sia guardando la drammatica condizione dell'analfabetismo interno e l'inedita dimensione formativa determinata dalla presenza degli immigrati, sia le difficoltà a tenere il passo con altri Paesi nella diffusione della lingua italiana all'estero, appare evidente che senza una ruolo centrale della rete pubblica di formazione, non vi sono prospettive per risposte positive a tutto campo.

Per quanto riguarda la formazione degli adulti, benissimo la valorizzazione del terzo settore e del volontariato ma la scommessa di fondo, sulla quale noi stessi siamo impegnati, è il successo della rete dei CPIA come rete pubblica in grado di garantire, anche con l'opportuno coordinamento del mondo del volontariato, che la formazione arrivi a tutte le fasce sociali e in primo luogo alle fasce più marginali e meno acculturate. E questa indicazione andrebbe praticata anche sul versante della buona accoglienza degli immigrati. Ha colpito anche l'opinione pubblica il fatto che le 12 persone giunte in Vaticano al seguito di Papa Francesco, già nel loro secondo giorno di permanenza, siano state impegnate nella prima “lezione” di apprendimento della lingua italiana. Perché l'apprendimento della lingua del paese ospitante è un fattore fondamentale di integrazione; la conoscenza inoltre demolisce il pregiudizio, la paura e apre al dialogo, all'incontro. Il Governo dovrebbe investire di più sui CPIA come rete per l'insegnamento dell'italiano L2, promuovendo una collaborazione tra Ministero degli Interni e CPIA, perché se tarda l'apprendimento della lingua italiana, diventa inarrestabile la tendenza a ritrovarsi tra “ simili” ma è proprio in questo modo che si formano i ghetti con tutte le note dinamiche negative.

Resta solo da augurarsi che il Governo sia consapevole della delicatezza e della enorme importanza che la delega in questione riveste sia nell'ambito delle politiche dell'istruzione che dello sviluppo civile del Paese.

Nonno, cos'è il sindacato?

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