Illegittimo il licenziamento del lavoratore che denuncia illeciti dell’azienda
Lo ha sentenziato la Corte di Cassazione in un recentissimo pronunciamento. Per la suprema Corte il comportamento del lavoratore non costituisce giusta causa o giustificato motivo di licenziamento.
Con sentenza n. 6501 del 14 marzo 2013 la Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo, perché privo di giusta causa e giustificato motivo, il licenziamento del lavoratore per aver denunciato alle competenti autorità illeciti da parte dell’azienda. La suprema Corte ha quindi accolto pienamente in via definitiva il ricorso di un lavoratore il quale, assieme a cinque colleghi, aveva denunciato con un esposto alla magistratura irregolarità che sarebbero state commesse dalla società di cui era dipendente in relazione a un appalto per la manutenzione di semafori, ribaltando la precedente sentenza della Corte di Appello che aveva invece dato torto al lavoratore. Al lavoratore era anche stato imputato di aver corredato la denuncia con documenti aziendali senza avere informato i superiori e di aver diffamato la società e di aver quindi leso il rapporto fiduciario.
La sentenza infatti stabilisce che “se l'azienda non ha elementi che smentiscano il lavoratore e/o che ne dimostrino un intento calunnioso nel presentare una denuncia od un esposto all'A.G., deve astenersi dal licenziarlo, non potendosi configurare come giusta causa la mera denuncia di fatti illeciti commessi in azienda ancor prima che essi siano oggetto di delibazione in sede giurisdizionale. Diversamente, si correrebbe il rischio di scivolare verso - non voluti, ma impliciti - riconoscimenti di una sorta di "dovere di omertà" (ben diverso da quello di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c.) che, ovviamente, non può trovare la benché minima cittadinanza nel nostro ordinamento.” Ne consegue che senza la dimostrazione dell’intento calunnioso il provvedimento di licenziamento è privo di giusta causa e giustificato motivo e pertanto illegittimo.
In altre parole, non può nemmeno lontanamente ipotizzarsi che rientri fra i doveri del prestatore di lavoro il tacere anche fatti illeciti (da un punto di vista penale, civile od amministrativo) che egli veda accadere intorno a sé in azienda.
Appare, inoltre, significativa la precisazione fatta dalla suprema Corte circa la definizione dei limiti e confini del concetto di rapporto fiduciario tra dipendente e datore di lavoro e degli obblighi che ne conseguono per il lavoratore. La sentenza afferma: “Va poi escluso in punto di diritto che il denunciare od esporre all'A.G. fatti potenzialmente rilevanti in sede penale sia contegno extralavorativo comunque idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro, vuoi perché si tratta di condotta lecita e certamente non contraria ai doveri civili (è addirittura penalmente doverosa nelle ipotesi di obbligo di denuncia o di referto: cfr. artt. 361 e ss. c.p.), vuoi perché il rapporto fiduciario in questione concerne l'affidamento del datore di lavoro sulle capacità del dipendente di adempiere l'obbligazione lavorativa e non già sulla sua capacità di condividere segreti non funzionali alle esigenze produttive e/o commerciali dell'impresa”.