Un’Italia unita e indivisibile
Articolo di Dario Missaglia, presidente nazionale Proteo Fare Sapere
Dopo il 75° della Costituzione, l’omaggio commosso e forte di spirito europeista al ricordo di David Sassoli, ecco il Presidente Mattarella celebrare volutamente all’aperto, sul piazzale del Quirinale a Roma, il tricolore della Repubblica, simbolo di un’Italia “unita e indivisibile”.
A questo punto, anche i sordi che non volevano sentire hanno dovuto prendere atto. E così la manovra corsara sull’autonomia differenziata, condotta dal Ministro Calderoli, si è incagliata rumorosamente sugli scogli. Non che i rischi siano scomparsi e dunque occorre continuare a vigilare e a contrastare il disegno, ma è difficile negare che una fase si sia conclusa.
La manovra del Ministro, tesa a stretto giro di posta a portare nel paniere della Lega l’autonomia differenziata lungamente attesa da Veneto, Lombardia, Friuli e con qualche ambiguità e debolezza anche nei paraggi dell’opposizione, ha trovato nel suo percorso, ostacoli via via più consistenti.
Aveva iniziato una sensibile protesta di alcune regioni del Sud, rispetto alle quali comunque il Ministro supponeva di avere in tasca più di una carta da spendere per allentare le resistenze. Queste resistenze erano invece cresciute in sede di Conferenza Stato Regioni perché non appena il tema dell’autonomia differenziata trova la giusta collocazione all’interno del processo previsto dal Titolo V del 2001, i problemi si complicano e aprono a percorsi complessi, tutti da approfondire con tempi troppo lunghi per il manovriero ministro.
Questo elemento di portata generale, il fatto cioè che l’autonomia differenziata non possa essere un escamotage normativo da chiudere in fretta ma va posto alla attenzione preliminare di tutte le istituzioni, dei cittadini e delle associazioni della società civile, era stato sollevato con forza alla stessa presidenza del Consiglio, già ai tempi del Presidente Draghi, dalla Cgil, nonché da giuristi ed esperti di sicura competenza.
E nel mondo della scuola, la più esposta nel disegno di rapina del Ministro a una regionalizzazione inaccettabile sotto ogni profilo, la protesta sindacale trainata da Flc Cgil e dal suo Segretario generale Francesco Sinopoli, aveva visto ben presto l’adesione in diverse forme del movimento sindacale di categoria e la ribadita contrarietà delle principali associazioni professionali della scuola.
Insomma, un muro o scoglio, per riprendere la metafora. Ma l’uomo navigato a mille battaglie parlamentari e inesauribili commissioni per gli emendamenti, pur incassando sempre più a fatica le avversità, teneva duro sull’obiettivo.
Le preoccupazioni del navigatore sono cresciute quando la Presidente del Consiglio ha iniziato a sussurrare che sarebbe stato curioso parlare di autonomia differenziata senza aprire un dibattito sul presidenzialismo. E qui l’ostacolo si fa rilevante perché se l’autonomia differenziata del Ministro è distribuzione di più poteri alle regioni (soprattutto alle più ricche), il presidenzialismo, pur nelle sue diverse forme, tende a rafforzare il ruolo dell’esecutivo o comunque del potere centrale. Rebus dunque molto complesso anche per i giocatori esperti di normative oscure. Ci vorrà tempo.
La sua navigazione ha infine trovato lo scoglio più duro, quello decisivo, che forse il navigatore esperto non aveva visto o comunque sottovalutato.
Perché il Presidente Mattarella, che di norme se ne intende, vista la sua esperienza di Presidente della Corte costituzionale e Ministro della Pubblica istruzione, non è uso a clamori o toni sopra le righe ma non perde mai d’occhio le condizioni di salute della nostra Costituzione. Ed è intransigente in questa sua vocazione istituzionale.
Il segnale, si fa per dire, è giunto netto e con un profilo di evidente irritazione quirinalizia. Da Bergamo, luogo ormai triste per la Lega di Salvini ma proiettato verso un 2023 in cui insieme a Brescia sarà capitale della Cultura, nel corso della annuale conferenza dei Sindaci d’Italia, il Presidente Mattarella ha così esordito: “Riannodo volentieri i fili di un dialogo che, in realtà, immaginavo fosse concluso l’anno scorso a Parma” (luogo della stessa conferenza tenuta nel 2021).
In quella circostanza aveva affermato: “La Costituzione sancisce il principio di eguaglianza per i cittadini e naturalmente, vale per i Comuni, che devono essere posti tutti in condizione di adempiere ai compiti loro affidati, per poter concorrere a realizzare il principio costituzionale della pari dignità dei cittadini”.
Ora a Bergamo, tra lo sgomento di qualche uditore, il Presidente ha inciso queste parole: “Punti fermi sono la garanzia dei diritti dei cittadini che, al Nord come nel Mezzogiorno, nelle città come nei paesi, nelle metropoli come nelle aree interne, devono poter vivere la piena validità dei principi costituzionali”.
Ogni parola è soppesata e scelta con evidente cura e l’impatto è stato tale che il navigatore corsaro ha dovuto ripiegare le vele. Ritirandosi, ci ha fatto sapere che ora, in attesa di un annetto di riflessione, bisogna costruire un ponte tra le Regioni e i Comuni, ovvero ricostruire le Province.
E così, dopo il Ponte sullo Stretto, la Lega ha i suoi due ponti sui quali lavorare. Non sappiamo con quanto entusiasmo in terra veneta o lombarda. La Lega nelle ultime elezioni ha perso tre milioni di voti a favore di Fratelli d’Italia e cerca lo strattone per recuperare almeno là dove le perdite bruciano di più. Ma è intollerabile voler presentare questa dinamica tutta interna a un partito come la “questione nazionale del momento”.
Intendiamoci, la questione nazionale c’è. Basterebbe rileggere le diverse sentenze della Corte Costituzionale sui conflitti interpretativi delle norme del Titolo V per rendersi conto che questa condizione di incertezza istituzionale pesa come un macigno nella gestione delle politiche pubbliche. Le difficoltà, ad esempio, che tanti Comuni, soprattutto i più piccoli, incontrano nella gestione dei fondi del PNRR non sono forse segno evidente di un nodo irrisolto dell’assetto istituzionale e amministrativo del Paese?
Anche il sostanziale blocco dell’autonomia scolastica che pure potrebbe ancora oggi costituire risorsa decisiva per un nuovo modello di scuola, diverso nella organizzazione interna e aperto a una nuova dimensione orizzontale, è largamente condizionato da forze politiche che vogliono mettere le mani sulla scuola e renderla subalterna ai poteri locali. Se una regione volesse dialogare con le scuole sui progetti, i curricoli, gli orari, le relazioni con i soggetti del territorio, potrebbe farlo mettendo sul tavolo idee e risorse finanziarie. È, e sarebbe, possibile costruire una scuola capace di tenere insieme e far crescere la comunità nazionale anche attraverso nuove forme di partecipazione delle comunità locali. Il quadro normativo disponibile, dalla legge 59/97 al DPR 275/99, consentirebbe già oggi orizzonti del tutto inediti per la scuola pubblica.
Ma non è questo l’obiettivo di chi vuole la scuola regionalizzata: anzi, rendere impraticabile l’autonomia scolastica serve a legittimare la richiesta di autonomia differenziata. Non desiderano una scuola migliore ma più potere sulla scuola, per piegarla agli interessi locali. Lo stesso desiderio di potere che anima il neo Ministro Valditara, assai più attratto dal centralismo ministeriale che da quello regionalista.
Centralismi ambedue nemici della scuola, della scuola autonoma, aperta alla società civile e al territorio, luogo di confronto e ricerca, di relazione con i soggetti della prossimità. Solo dalla valorizzazione di questa scuola, nel quadro di un assetto chiaro e stabile di relazioni istituzionali orizzontali, sarà possibile disegnare il nuovo paesaggio scolastico sconvolto dal calo demografico e sarà possibile realizzare un PNRR, che attende ancora di essere finanziato per intero da questo governo, come occasione di innovazione nelle scuole e nei territori.
Una scuola regionalizzata sarebbe un palese tradimento del mandato costituzionale e l’avvio di un processo pericoloso di indebolimento di uno dei fattori che sino a oggi, con tutte le contraddizioni che conosciamo, concorre a tenere unito il Paese, a rinsaldarne i legami profondi, a contrastare le diseguaglianze sociali. Una comunità nazionale non tollera che un diritto fondamentale come quello dell’istruzione possa essere esposto a derive tribali e a egoismi localistici.
Per queste ragioni il progetto governativo di autonomia differenziata va contrastato e sconfitto con la più ampia partecipazione possibile.
Siamo orgogliosi che la nostra Costituzione, con il Presidente Mattarella, sia in buone mani. Motivo in più per rilanciare come Proteo Fare Sapere, in questo inizio del 2023, una battaglia culturale e politica sui grandi valori e sulle sfide concrete che il mondo della scuola deve affrontare anche in un contesto così difficile e drammatico.
Dario Missaglia
Presidente nazionale Proteo Fare Sapere