Educazione degli adulti e Formazione Continua
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16:05
A Marco Broccati, Vice Segretario generale della FLC Cgil, il compito di chiudere i lavori della giornata.
Ricorda come questo seminario fa parte di uno schema di 9 seminari che rispecchiano i filoni principali su cui si articola il nostro programma.
Dopo la conferenza di programma vedremo meglio come possiamo essere soggetto rappresentativo di realtà diverse all’interno di una cornice unitaria. Teniamo presente l’articolo 1 del nostro statuto, noi siamo iscritti alla CGIL, non a sindacati di categoria.
I seminari che stiamo svolgendo hanno un andamento diversificato, ma con elementi comuni. Alcuni macro-temi si ripetono: 1) il ruolo del sistema pubblico, con il necessario equilibrio tra pubblico e privato; 2) il ruolo del territorio, infatti le modifiche istituzionali rafforzano molto il ruolo delle Regioni; 3) l’inscindibilità del sistema formativo; 4) il tema delle risorse, per cui è improponibile qualsiasi progetto senza risorse adeguate.
Il tema di oggi poteva risultare più basso dal punto di vista dell’attenzione, invece ha registrato un alto grado di approfondimento specifico. Quindi il tema deve assumere nel nostro programma una forte priorità, divenire un tema centrale.
Esiste in Italia una alta percentuale di analfabetismo, da cui discende l’importanza della formazione degli adulti e della formazione continua; vari temi si incrociano: risorse, autonomia, offerta formativa, inclusione. Il settore appare frammentato e con molte sovrapposizioni.
Accanto all’educazione degli adulti e alla formazione continua nel nostro ragionamento occorre associare la formazione professionale.
Pettenello ha ragione: non si devono inventare cose nuove, ma organizzare quello che c’è già. Occorre far sì che l’offerta formativa sia altamente specializzata, rivolta ad adulti e, soprattutto, rivolta ai più deboli, se la formazione è un diritto di cittadinanza - e lo è -, mentre si rileva che la formazione va dove c’è già.
E’ necessario un quadro normativo di sostegno, quindi sì ad una legge, però non deve essere una pre-condizione per fare qualcosa. Intanto dobbiamo lavorare con quello che c’è.
Un altro punto: l’obiettivo politico della UE è raggiungibile? e come? (sempre ammesso che le risorse lo consentano!) Come aumentare la quantità mantenendo uno standard di qualità accettabile?
E’ una scommessa puntare sul pubblico.
Terzo punto: la questione degli accreditamenti e dei crediti. Non si può risolvere con schemi tecnici. La questione sta nel sistema di valutazione, quindi ci sono elementi molto complessi.
Ultimo punto: il ruolo del sindacato. C’è un campo vastissimo da esplorare, ad esempio i contratti nazionali: si possono aumentare le risorse per la formazione, si può introdurre una banca del tempo, si può creare un legame tra percorsi formativi e salario. Finora abbiamo verificato che le controparti sono assolutamente impreparate.
Sui temi oggi richiamati il sindacato può fare molto: dall’informazione dell’offerta formativa concordata nelle concertazioni territoriali, alla formazione degli addetti e, nella contrattazione territoriale, affrontare la programmazione dell’offerta, l’apertura delle sedi (scuole, università, ecc.).
Quanto oggi è stato discusso sarà oggetto delle nostre prossime riflessioni per arricchire e completare il documento della Conferenza di Programma.
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15:50
Silvana Paruolo del Segretariato per Europa - CGIL
Il problema della formazione degli adulti e la formazione permanente non è solo quello delle risorse, ma anche di come esse vengono spese. Occorre che la formazione sia un diritto esigibile e su questo la FLC Cgil deve assolutamente impegnarsi: bisogna innanzitutto far nascere il diritto, definire di cosa si parla (cioè dell’istruzione e della formazione che parte dopo la scuola dell’obbligo) e, finora, in Italia questa cultura non c’è; occorre adeguare le competenze in sintonia con il progresso tecnologico e quindi definire i destinatari. E’ necessaria una redistribuzione delle risorse, basti pensare che se si utilizzasse il FSE, dividendolo pro capite a tutti i lavoratori, disoccupati e in cerca di prima occupazione, risulterebbe che per ciascuno si potrebbe spendere circa 500 euro, indubbiamente non sono molti, ma è meglio del nulla.
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15:30
Giancarlo Cerruti - Responsabile Dipartmento Formazione Ricerca CGIL Piemonte.
Interviene sul tema della formazione continua e la contrattazione collettiva, chiarendo in premssa che per formazione continua si intende quella rivolta a chi è in condizine occupazionale. Bisogna partire da tre assunti: 1) la formazione continua va intesa come bene pubblico e meritorio (meritorio perchè a fronte di una dmanda insufficiente il pubblico, lo Stato elabora politiche attive per favorirle; 2) la Formazione continua come parte dell'attività lavortiva regolata dalla contrattazione; 3) la Formazine continua è elemento determinante per la costruzione della cittadinanza attiva.
Nelle politiche sindicali occorre quindi ricercar e stimolare la responsabilità sociale dell'impresa (come richiesto dalla stessa Unione Europea)rispetto all'occupabilità e dalla qualità del rapporto di lavoro che deve favorire una modifica ed un arricchimento della professionalità del lavoratore.
Va assicurato il diritto alla formazione durate la vita lavorativa. Tale diritto si fonda tuttavia su altri diritti: 1) diritto all'informazione e all'orientamento nella vita professionale (es. tutorato all'interno dell'impresa); 2) certificazione della formazione svolta; 3) programmazione negoziata delle attività di formazione aziendali da svolgere dentro l'orario di lavoro; 4) diritto del singolo, tutelato collettivamente, alla formazione (es. banca del tempo); 5) congedo individuale retribuito per formazione; 6) diritto alla formazione nei ransiti da un lavoro all'altro.
Ciò ovviamente richiede la revisione del governo delle politiche formaztive che richiederebbero due fonti di finanziamento: una di natura contrattuale, l'altra con fondi pubblici. Occorre poi ripensare la gestione delle carriere con un forte collegamento alla formazione. Per un progetto di tale portata (ma qui si parla di un progetto a medio-lungo termine) che ci consenta di raggiungere il 12,5% di cittadini dai 35 ai 64 anni in formazione come stabilito a Lisbona, occorre ovviamente investire nuove risorse.
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15:00
Franco Viano dell'Assessorato al Lavoro della regione Piemonte, sostiene che il ruolo della regione sarà fondamentale. Accenna alla setenza della Corte costituzionale sull'uso dei fondi interprofessionali sulla formazione Professionale. L'impostazione della regione Emilia Romagna non abbatte l'intervento dello Stato ma dice che sulla F.P. le regioni hanno competenza e l'attività dei Fondi va relazionata alle Regioni. In Piemonte si investe molto per la formazione continua, di iniziativa aziendale o concertata o di iniziativa individuale; si fa di più pe ri quadri, poco per le donne ecc. come affermato già da Frigo nel suo intervento.
Le distanze dagli impegni di Lisbona sono grandi, si dovranno definire obiettivi più realistici. Lo 0,305 per la formazione continua alimenta il fondo di rotazione nazionale del F.S.E. che è indispensabile per fare la formazione.
Le affermazioni di principio delle regioni non sono supportate da investimenti: le Regioni non fanno altro che ripartire il F.S.E..
Problema preoccupante in prospettiva saranno i fondi dimezzati dal 2007. I fondi vanno cofinanziati!
Alcune azioni urgenti per evitare la riduzione delle risorse:
Mancheranno risorse per gli interventi (dal 4,6% al 10% previsto). Oggi è definito un accordo europeo per poter scegliere i campi di intervento e questo è un vantaggio, ma le risorse saranno dimezzate. Ogni stato dovrebbe garantire l’1,24% del PIL per questo settore, ma si teme che non ci si arrivi. La decurtazione sarà probabilmente del 40%. E’ indispensabile concludere questi impegni prima che l’Inghilterra prenda la Presidenza del semestre europeo: loro non vogliono più dell’1%.
Per usare meglio le risorse, riprendere il controllo degli strumenti. Oggi prevale la formazione aziendale dove molti lavoratori sono coinvolti con forti limiti nella qualità. Gli interventi per la Legge 236 vengono concertati con le Organizzazioni Sindacali ma questi accordi ra e parti richiedono tempo e i soldi non vengono spesi (ad oggi solo il 30% è stato speso).
Regole . Chi fa formazione deve essere accreditato, deve certificare e garantire qualità. La Legge 53 fornisce risorse. La regione ha collocato ¾ delle risorse per la formazione continua e ¼ per la formazione individualizzata.
La formazione si svolge in larga parte fuori orario di lavoro, le Regioni devono svolgere la loro funzione senza troppi rallentamenti.
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14:30
Spetta a Franco Frigo dell’Isfol riprendre i lavori nel pomeriggio. Nell'affrontare il tema "Formazione continua e politiche contrattuali" esordisce evocando l’importanza di una continuità tra formazione permanente ( che afferisce all’interesse generale) e formazione continua ( che afferisce agli interessi del lavoratore o dell’impresa): la formazione permanete dovrebbe essere il contenitore della formazione continua e questa può essere o scelta autonomamente dal lavoratore o decisa dall’azienda. Fino al 1994 la formazione continua era essenzialmente rivolta ai cassintegrati, la legge Treu ha cambiato le cose e da allora è servita prevalentemente ai lavoratori delle piccole e medie imprese. Si pone un problema di governo dei due interessi alla formazione continua.
I dati sulla formazione non sono sempre attendibili perché si riferiscono ad un arco di tempo limitato (4 mesi) comunque ne emerge una diffusione nelle grandi città, fra i maschi, di età intorno ai 35 anni. E chi lo ha fatto lo rifà. Alla fine risulterebbero formati 2.000.000 di lavoratori su 11.000.000 di cui solo il 24% con più di 45 anni di età e per il 65% già diplomati o laureati. I finanziamenti provengono da fondi FSE.
La formazione continua ha costi alti che occorre abbattere.
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13:40
Interviene Carmine Cirella della CGIL Molise, che sostiene che l'obiettivo di Lisbona di portare al 12,5% la percentuale di adulti inseriti almeno in una attività di formazione, a partire dal 4% del nostro Paese, sicuramente può essere perseguito rafforzando in primo luogo la formazione professionale dei lavoratori e dei diplomati inoccupati. Se da un lato, va presidiato da parte nostra, come parte sociale, il territorio - e le sue dinamiche - dove si realizzano concreatamente gli obiettivi e si sviluppano anche le esperienze per l'innovazione, d'altra parte non possiamo trascurare alcune questioni di fondo, che riguardano il nostro modo di vedere la scuola, la formazione professionale, l'università.
In primo luogo è necessario assumere un approccio per certi versi "fondativo" di un sistema di formazione, senza ovviamente sottovalutare le esperienze positive realizzate ed alcuni risultati, pur se ancora problematici, raggiunti con la stagione concertativa della fase di realizzazione degli accordi sulla politica dei redditi.
L'avvio dei fondi interprofessionali, per la formazione dei lavoratori, la proposta dell'obbligo scolastico elevato a 18 anni, la necessità di una normativa nazionale che definisca le politiche e le risorse necessarie alla realizzazione del diritto di ciascuno alla formazione per tutto l'arco della vita, impone la risoluzione di alcune questioni che si trascinano da lungo tempo senza trovare soluzioni soddisfacenti. Il riferimento è alla necessità di una definizione chiara e condivisa di un sistema di competenze professionali, di un altrettanto chiaro sistema della loro valutazione e certificazione, di un accreditamento delle strutture eroganti specialmente in ordine alla dotazione di risorse, a tutti i problemi che unitariamente dovrebbero configurare una chiara riconoscibilità dei sistemi formativi.
Se i livelli di istruzione e formazione del nostro Paese, sono al di sotto delle medie europee e lontano dagli obiettivi di Lisbona è, anche perché sono inconsistenti, per lo più residuali o in nuce, i sistemi di formazione che sottostanno alle filiere formative. L'intreccio concertazione/contrattazione/formazione, è lo snodo per ridefinire e rilanciare anche il ruolo del sindacato, che non può accettare l'idea che la formazione per essere trasparente ed efficace debba essere affidata solo alla scelta individuale, occorre evidenziare anche la domanda colletiva di formazione riferita al territorio, alle realtà settoriali, distrettuali, aziendali. E' necessario quindi un governo ed un raccordo dei sistemi formativi che devono dialogare ed integrarsi, nella distinzione netta dei ruoli ed anche degli interessati; non è concepibile accettare l'idea della formazione come merce e la sua erogazione come mercato, quando le risorse sono prevalentemente pubbliche.
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13:25
Intervene Pasquale Calaminici dell'Irre Piemonte.
"il relatore ritiene fondamentale e importante elaborare una legge quadro che serva a rendere più agibile, trasparente ed efficace il ruolo dell'Eda. Lo stesso governo si è dichiarato disponibile a concordare una legge complessiva per l'Eda. In merito alle risorse, bisogna avere maggiori certezze attraverso un quadro normativo che stabilisca sia le priorità che i finanziamenti.
In secondo luogo, l'offerta formativa per gli adulti, deve essere meglio specificata, con l'attenzione che l'offerta a catalogo non funziona nei confronti dell'utenza con un bassa scolarità, per cui in questi casi bisogna utilizzare metodi e strumenti ad "hoc". Questo dovrebbe essere compito specifico dei Ctp che, attualmente, invece hanno sviluppato soprattutto i corsi brevi e modulari di inglese ed informatica, corsi rivolti ad un pubblico con bisogni culturali già più elevati.
Ultima questione: i Comitati previsti dall'Accordo Stato Regione del 2000 non hanno decollato, quindi è inutile ribadirne la necessità. E' in conclusione,opportuno riprendere esperienze come il Polis, legate all'estensione di livelli di scolarità pensati e rivolti al pubblico più fragile."
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13:00
Interviene ora Maurizio Carbonera, Direttore del Centro per il Lavoro di Rozzano (Comune della Provincia di Milano con 38.000 abitanti). Maurizio si è presentato come Direttore del centro, ma anche come sindacalista della Camera del lavoro di Milano e Sindaco di un Comune della Provincia di Milano. Mette in evidenza l'intreccio dei soggetti coinvolti nella questione formazione per gli adutli:
i soci che hanno costituito i centri per il lavoro sono i Comuni, le Organizzazioni Sindacali Confederali e le imprese della zona.
I Centri per il lavoro, hanno ampia autonomia e in ogni Comune ce n'è uno perché le specificità di ciascun territorio implica forti differenze tra l'uno e l'altro.
Obiettivo: incidere sulla disoccupazione e accompagnare al lavoro persone con situazione sociale disagiata.
Lavoro sviluppato: orientamento delle persone, iniziativa sul mercato del lavoro e sull'offerta di formazione.
In particolare:
lettura delle richieste di lavoro delle aziende con informazioni utili a chi progetta formazione;
relazione con il CTP locale, per cogliere le opportunità di formazione che si presentano - per esempio quelle del Fondo Sociale Europeo;
continuo confronto con le strutture private esistenti sul territorio, agendo in tempo reale per i bisogni dei lavoratori;
Valutazioni: l'appiattimento dell'offerta formativa e l'omogeneità sono un problema anche in questa zona;
lo 0,30% dei fondi interprofessionali è anch'esso utilizzato per corsi di inglese e informatica e relazioni umane, e questo è uno spreco.
Continuazione dell'esperienza; la Provincia di Milano con la Colli aveva aperto una concorrenza sregolata, l'attuale giunta di centrosinistra riafferma il ruolo pubblico del servizio per l'impiego, un servizio pubblico capace di competere nel miglior senso del termina.
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12:00
Gabriella Giorgetti, del Centro Nazionale della FLC Cgil, interviene sul "Ruolo dei CTP". Questa la sintesi del suo intervento: "Cerco di stare in un campo di proposte concrete: i seminari che Flc sta facendo hanno lo scopo di arricchire la proposta anche su questo versante.
Premesso che è chiara l’assenza di sistema nel campo della formazione degli adulti, intendo ragionare sul senso dei CTP e sulle professionalità di chi ci lavora, con affermazioni che sono mie personali e vogliono essere un contributo alla discussione.
Interverrò al riguardo del lato istruzione del sistema integrato EDA.
È un settore interessante perché, chi ci lavora è generalmente molto motivato ed interessato a fare innovazione.
Sulla scia di quanto già detto nei precedenti interventi, quel che è stato evidenziato come rischio dell’identità dei cataloghi, mi pongo la domanda: qual è la specificità dei CTP?
Due fattori: 1) un’utenza molto diversificata (immigrati, donne, drop out…); 2) il fatto di tener insieme/cercare di tener insieme l’alfabetizzazione funzionale e l’educazione alla cittadinanza.
Che cosa significa l’affermazione che abbiamo lanciato sull’obbligo a 18 anni vista dal lato dell’utenza dei CTP? Oggi ampio spazio è per i drop out minorenni; io sono favorevole a che ai CTP si iscrivano in misura maggiore gli ultra 18enni, anche se so che questo comporterebbe il rischio di perdere professionalità alte oggi maturate.
Solo una presa in carico collettiva, un lavoro in rete con gli altri soggetti che erogano offerta formativa può ovviare l’inconveniente.
La rete dei CTP, deve allargarsi alla scuola serale; bisogna avere un progetto specifico su programmi, riconoscimenti, personale.
I CTP offrono una tipologia variegata di offerta; bisogna ripensare la loro configurazione. Non ha più senso tenere insieme CTP e scuola del mattino: spesso i dirigenti scolastici non riconoscono la specificità del settore, ci sono problemi nella gestione di spazi e risorse.
Dobbiamo creare scuole dedicate all’educazione degli adulti, perché significa dare una maggiore identità e avere soggetti più credibili nel territorio. Può non essere una tesi condivisa. Ragioniamoci. Credo che sia necessario creare una rete fra i CTP; dare loro una maggiore autonomia finanziaria (non è possibile che i finanziamenti derivino solo dalla 440, quando restano, e dai fondi europei) e amministrativa ; pensare ad una figura di responsabile della gestione.
Bisogna anche aumentare i luoghi dove si fanno i corsi: il memorandum europeo dice di avvicinare l’offerta formativa all’utente. Non è ampliare il numero dei CTP, ma aumentare le sedi.
Dal punto di vista del sindacato questo significa farsi carico delle ricadute sull’organizzazione del lavoro e il relativo riconoscimento.
Data la complessità delle funzioni e dell’utenza, occorre ripensare il profilo professionale dei docenti: in un precedente contratto avevamo parlato di formazione iniziale e in itinere. Nessuno rivendica separatezza, ma specificità sì. L’organizzazione del lavoro è più complessa: non basta la competenza d’aula.
C’è un eccesso di precarizzazione e un sottodimensionamento degli organici. Servirebbe potenziare la contrattazione regionale sia rispetto le risorse finanziarie sia rispetto il personale.
Altro rischio che oggi si corre è la trasformazione dei Ctp in “corsifici” perché i finanziamenti vengono dati per il numero di alunni e il numero dei corsi. Scelte di accompagnamento in percorsi più finalizzati vengono penalizzate. Occorre ripensare i criteri sulle risorse.
Come sindacato dovremmo osare di più. Il settore è piccolo e gode di ampia autonomia organizzativa; varrebbe la pena usarlo come campo di sperimentazione."
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11:00
Ludovico Albert (Assessorato al Lavoro della Provincia di Torino) affronta il tema "Il ruolo del territorio": "Non occorre attendere leggi particolari, c’è già il 112, che però non viene applicato, è tuttora lettera morta.
Si spera in una legge quadro nazionale, che avvii una programmazione nazionale, in attesa alcune situazioni territoriali (province, comuni) hanno iniziato ad utilizzare gli spazi esistenti.
Le norme esistenti, rendono disponibili già oggi risorse a volte consistenti per interventi sulla formazione continua, sui disoccupati.
In particolare, per la formazione permanete esistono finanziamenti che nei fatti vengono però utilizzati per intervenire sulla formazione professionale.
Il ruolo progettuale degli enti locali è limitato essenzialmente alla definizione dei luoghi (sedi dei corsi) e l’impegno delle spese per l’edilizia. Questo in assenza di finanziamenti specifici da parte dello stato.
Rispetto alle sedi per i corsi occorre rispondere anche alle richieste provenienti dal terzo settore.
Altro spazio d’intervento per gli enti locali territoriali viene dalle risorse che vengono dai fondi interprofessionali.
Nei fatti, piuttosto che il controllo della progettazione da parte degli enti territoriali, cresce il governo dell’offerta a partire da uno sviluppo del sistema dei vaucher.
E’ certamente più semplice lasciare la scelta agli individui.
Il sistema dei vaucher diminuisce notevolemente i costi per la progettazione da parte delle diverse agenzie di formazione e fa crescere la responsabilità degli allievi chiamati ad una compartecipazione (20%) questo induce attenzione alla qualità della formazione.
Gli enti territoriali hanno grosse difficoltà ad intervenire sulla qualità della formazione erogata. Nei fatti diminuisce la responsabilità del pubblico nella programmazione. La rincorsa dei vaucher da parte delle agenzie di formazione nei fatti limita la diversificazione dell’offerta ed impoverisce la specializzazione dei diversi soggetti.
Gli spazi maggiori di intervento degli enti territoriali dovrebbero essere legati ai bisogni specifici del territorio, alla bassa scolarità, all’esigenza di accompagnare i giovani verso la stabilizzazione del lavoro.
Gli enti pubblici non sono in grado di valutare la qualità.
Per parlare di qualità occorre definire riferimenti nazionali che oggi mancano.
Per altro, in particolare nella nostra provincia, l’assenza di finanziamenti vanifica il ruolo dei comitati locali che quasi non si riuniscono più."