La FLC Cgil e la tutela della Lingua nazionale
Il 9 marzo la FLC Cgil ha partecipato a Parigi ad una conferenza stampa in difesa della propria lingua, del plurilinguismo e del rispetto delle diversità culturali.
Accanto alla difesa del plurilinguismo e alla tutela della seconda lingua comunitaria, come da nostra ultima iniziativa a Roma il 16 marzo 2009, la FLC Cgil pensa che sia altrettanto importante tutelare la lingua nazionale.
Queste due posizioni non sono per nulla in contrasto ma assolutamente complementari e stiamo partecipando attivamente alla costituzione di un Comitato internazionale a Parigi affinché le diversità culturali vengano rispettate, per il Diritto dei Lavoratori ad esprimersi nella loro lingua nazionale nel proprio paese.
Un popolo che rinuncia alla sua lingua rinuncia alla sua anima.
Ogni giorno assistiamo ad un impoverimento, ad un deterioramento e ad una contaminazione della lingua di Dante con un abuso di parole straniere amate, in particolar modo, anche dai nostri politici.
Basti pensare a “I care” di Veltroni o alla “Question Time” di Violante o al Welfare che inonda i nostri giornali, sempre con la presunzione che tutti capiscano l’inglese.
La nostra pubblicità soffre dello stesso male e siamo prigionieri di un inglese gergale e, nella nostra vita quotidiana, di un “globish” peraltro di scarsa qualità, come continuano a ripeterci impietose statistiche.
L’idea che si vuole veicolare sulla necessità di una lingua inglese universale, è molto più pericolosa di quanto si potrebbe pensare e non corrisponde agli ultimi studi fatti.
La storia dovrebbe servire ad apprendere e ad evitare ulteriori errori.
Sembra che non sia così.
Il pericolo di estinzione di lingue etniche propone, di nuovo, ciò che è già avvenuto con il latino e la distruzione delle culture antiche, ivi compresa la cultura etrusca, e costituisce, a nostro avviso, una grave minaccia per l’umanità.
Perdere la propria lingua, bloccarne l’evoluzione per mancanza di uso e di pratica, porta ad una perdita di identità perché la lingua di un popolo rappresenta la cultura di questo stesso popolo.
La lingua non è, solo, un insieme di parole, ma è sentimento e cose.
Accettare il dominio di un’altra lingua sulla propria lingua nazionale mette in pericolo tutti i popoli numericamente piccoli, anche se ricchi di cultura e di storia. Essi rischiano concretamente di scomparire e di soccombere.
L’Italia dovrebbe riflettere su questa equazione.
“Se vuoi vendere qualcosa, parla la lingua del tuo cliente”. E’ un vecchio detto dei commercianti, confermato anche da recenti studi. In un’indagine della Camera per il Commercio tedesca svolta in Spagna nel 2003 è emerso che le aziende spagnole che hanno utilizzato il tedesco per condurre le proprie trattative in o con la Germania hanno saputo consolidarsi decisamente meglio sul mercato tedesco rispetto a quelle imprese che hanno sono ricorrere all’inglese.
Il successo negli affari si fonda su relazioni durature, impossibili da portare avanti se non si conosce la lingua del mercato d’arrivo.
In un’altra ricerca, condotta da David Graddol, sul futuro della lingua inglese si è rilevato che il dominio dell’inglese come lingua economica andrà progressivamente diminuendo e che, sin da ora, è possibile notare una maggior presenza del giapponese, dello spagnolo del francese e del tedesco.
Recenti studi sull’influsso delle conoscenze linguistiche straniere sulle esportazioni europee hanno dimostrato che l’inglese, pur essendo la lingua dominante, sicuramente non può essere considerata ancora la lingua franca.
Statisticamente parlando, e se vogliamo affrontare in modo serio l’evoluzione delle lingue nel mondo, per i prossimi cinquanta anni, dobbiamo di nuovo considerare gli studi di D. Graddol il quale ha valutato che la popolazione di lingua cinese arriverà a quasi 1,4 miliardi, che l’inglese sarà al quarto posto dopo l’arabo, più o meno allo stesso livello dello spagnolo, circa 500 milioni di persone.
I giovani che non sanno le lingue si precludono tante possibilità di lavoro non solo sul mercato internazionale ed europeo ma anche nel proprio mercato interno come denunciano altri studi fatti in Gran Bretagna. Un giovane che parla più lingue e conosce più culture comunica meglio, è più aperto e molto più adattabile perché ha più capacità interculturali. Sono sempre di più i paesi europei che applicano questo principio.
In questo mondo che continua ad avvicinarsi e in cui la possibilità di accedere alle informazioni e di stringere contatti cresce in maniera esponenziale, non bisognerà tanto scegliere quale lingua è meglio studiare ma quante lingue imparare e in che modo. Questo noi dobbiamo spiegare ai genitori.
In Italia il nostro governo ha una visione limitativa e obsoleta del mercato. Manca inoltre al nostro paese una politica linguistica nazionale che abbia un progetto linguistico complessivo che comprenda l’intero arco dell’apprendimento delle lingue, dalla scuola all’università, capace di compiere una scelta risoluta e priva di ripensamenti riguardo all’insegnamento delle lingue, non già in chiave strumentale ma quale componente di apertura culturale complessiva, elemento attivo di integrazione europea e cittadinanza partecipativa, conoscenza dell’altro e di sé attraverso la cultura.
Il 9 marzo 2009 la FLC Cgil è andata a Parigi al “Palais Bourbon”, sede dell’Assemblea Nazionale, a difendere in una Conferenza stampa la propria lingua, il plurilinguismo e il rispetto delle diversità culturali.
Perché il plurilinguismo è libertà.
Perché la lingua nazionale è l’anima di un paese.
Roma, 17 marzo 2009