Articolo 27

La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.

01/12/2008
Decrease text size Increase text size

Costituzione della Repubblica italiana

Art. 27

La responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte.

_______________

L’articolo sancisce i principi della personalità della pena e di non colpevolezza fino alla condanna definitiva. Quella di “responsabilità penale” è la condizione di chi subisce le conseguenze del proprio agire: ad esempio, una sanzione detentiva comminata a seguito del riconoscimento di colpevolezza di un reato che la prevede. Non è possibile, quindi, sostituzione personale nella responsabilità penale, come lo è, viceversa, in quella civile, cioè nell’obbligo al risarcimento dei danni causati da un atto illecito. Un imputato, che opponga ricorso contro una sentenza di condanna, non può essere considerato colpevole della colpa per cui pure è condannato in prima istanza fino alla pronuncia della sentenza definitiva sulla stessa imputazione. Vige, dunque, nel nostro sistema la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva: questo principio, affermato già da Montesquieu e presente anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ha trovato piena attuazione solo col codice di procedura penale del 1989.

Il secondo comma attribuisce alla pena una funzione rieducativa, ripudiando ogni trattamento contrario al senso di umanità: il diritto di ogni individuo a non essere sottoposto né a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti viene garantito anche dalla Costituzione europea e va ad inserirsi nella più ampia tutela della dignità umana (v. il precedente art. 3) e del diritto all’integrità della persona (v. il successivo art. 32). A questi principi è ispirata la Legge 354/75 di riforma dell’ordinamento penitenziario.

Il terzo comma, nel testo approvato dall’Assemblea Costituente, recitava: “Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”. Il testo attuale è frutto della Legge costituzionale n. 1 del 2 ottobre 2007, che ha eliminato la pena di morte anche dai codici penali militari di guerra. La norma costituzionale, nella sua formulazione originaria, appariva ormai in conflitto con l’evoluzione sia dell’ordinamento italiano sia di quello europeo nonché contraddittoria con lo stesso art. 2 della Costituzione. La modifica apportata ha, tra l’altro, reso più forte la posizione dell’Italia nella richiesta di sospensione universale delle pene capitali (la cosiddetta “moratoria internazionale sulla pena di morte”).

Indice

Nonno, cos'è il sindacato?

Presentazione del libro il 5 novembre
al Centro Binaria di Torino, ore 18.

SFOGLIALO IN ANTEPRIMA!